66 ROUTE (2)

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66 Route  &

Gente Sconosciuta

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Il clima che cambia

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Gente Sconosciuta  (1)  &  (2)

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i miei libri

 

 

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Era mezzogiorno nel cuore del deserto di Mojave….

Perry, seduto su una valigia di vimini, stava suonando un’armonica.

Dick era in piedi sul ciglio di un’autostrada nera, la Route 66, gli occhi

fissi su quel vuoto immacolato, come se il fervore del suo sguardo po-

tesse far sì che si materializzassero degli automobilisti.

Pochi lo esaudivano e nessuno si fermava per i due autostoppisti. Un

camionista, diretto a Needles, California, aveva offerto loro un passag-

gio, ma Dick aveva rifiutato. Non era la ‘sistemazione’ che lui e Perry

volevano.

Aspettavano un viaggiatore solitario con un auto decente e dei quattrini

nel portafogli: uno sconosciuto da derubare, strangolare e abbandonare

nel deserto. Nel deserto il suono spesso precede la visuale. Dick sentì

le deboli vibrazioni di un’auto che si avvicinava, non ancora visibile.

 

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Anche Perry le aveva sentite, si infilò l’armonica in tasca, prese la vali-

gia di paglia (questa, il loro unico bagaglio, straripava e cedeva sotto il

peso dei souvenirs di Perry cui si erano aggiunti tre camicie, cinque

paia di calzini bianchi, un flacone di aspirina, una bottiglia di tequila, un

paio di forbici, un rasoio di sicurezza e una lima per unghie; il resto dei

loro effetti era stato impegnato o affidato al barista messicano o spedi-

to a Las Vegas; per il resto il nulla delle loro vite si univa in un abbrac-

cio mortale con la loro ispirazione e volontà di vita. Il Male ha con sé

sempre una valigia con cui dividere le speranze di una vita migliore

cui riempire il vuoto ed il Nulla di quella misera esistenza sui bordi di

una strada, sui bordi di una terrazza, sui bordi del Nulla….).

 

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Rimasero a guardare…. (con una radiolina portatile e delle voci…).

Ora l’auto apparve e si ingrandì fino a divenire una Dodge berlina, az-

zurra, con un solo passeggero, un tipo normale, scarnito Perfetto.

Per loro era come l’anima di un futuro pasto… solo Perfetto, ignaro….

Dick alzò la mano facendo segno, disse qualcosa…

La Dodge rallentò e Dick rivolse all’uomo un sorriso smagliante…

demoniaco… L’auto quasi si fermò, ma non del tutto, e il guidatore si

sporse dal finestrino per inquadrarli da capo a piedi. L’impressione che

davano era chiaramente poco rassicurante.

L’auto balzò in avanti e partì veloce. Dick si portò le mani attorno alla

bocca e gridò con voce da ragazzino: ‘Sei un bastardo fortunato!’.

Poi scoppiò a ridere e si issò la valigia sulla spalla (e la radiolina ac-

cessa).

 

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Nulla poteva irritarlo veramente perché, come disse in seguito, era ‘trop-

po felice di essere nuovamente nei cari vecchi USA’.

Ad ogni modo sarebbe arrivato qualche altro automobilista. Perry tirò

fuori la sua armonica e suonò le prime note di quella che era diventata la

loro ‘marcia funebre’; la canzone era una delle preferite di Perry e ne ave-

va insegnato a Dick tutti i cinque versi. Al passo, l’uno di fianco all’altro, si

avviarono lungo l’autostrada cantando: ‘I miei occhi hanno visto la gloria

dell’avvento del Signore; Egli distrugge l’uva dei vigneti della collera, ed il

nettare che da essa proviene’.

Nel silenzio del deserto echeggiavano le loro voci angeliche e giovani:

‘Gloria! Gloria! Alleluia! Gloria! Gloria! Alleluia!’.

(T. Capote, A sangue freddo)

 

(Dedicato a tutti i Perry ed i Dick che la Storia partorisce nella triste sua

memoria, che la loro violenza ci torni utile per esorcizzare il male dalla

nostra umile dimora, dall’umile via.)

 

 

 

 

 

 

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LA MASCHERA DELLA VIOLENZA (2)

Precedenti capitoli:

La maschera della violenza &

Ma nel futuro si può sperare?

Certo che no se è la violenza a parlare…

Prosegue in:

Il martello delle streghe (& stregoni…)

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i miei libri

 

 

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… Da quando l’idea della personalità si è impossessata degli uomini,

su di loro grava la necessità di proteggere la loro peculiarità. Adesso

la maschera non libera più gli impulsi inibiti, ma li nasconde.

Sul volto si mostra la corazza dell’autocostrizione. La mimica, che

prima si accompagnava al mascheramento, ora si adegua alla ge-

stualità.

La presenza incantatrice della maschera si trasforma nella distanza

sociale del modo di apparire quotidiano. L’espressione diventa rappre-

sentazione, l’emozione dramma, il volto una maschera.

La società-bene, quella della casta per intenderci, e non solo quella,

(organizza mostre per la morte di Pasolini dopo averlo ucciso migliaia

di volte sullo stesso terreno; vende Cristo ed i suoi libri eretici al banco

della meccanica bomba in maschera, ballo mascherato della grandi

celebrità bisognose di attenzioni e valide protezioni…) condivide con i

critici l’ostilità per la maschera.

L’attività della critica all’ideologia e al potere è quella di smascherare,

svelare e scoprire le intenzioni e gli interessi nascosti.

Anch’essa, tuttavia, crede nell’unica vera realtà che si ottiene rove-

sciando la rappresentazione. Dietro le quinte del decoro ipotizza l’in-

teresse personale e il bieco risentimento.

La veridicità delle maschere caratteriali è solo simulata, la parola d’-

onore è una menzogna. L’innocenza è finzione, i sentimenti intimi non

sono che mosse studiate a tavolino e ripetute al telefonino, (comanda-

te dal puparo di turno – voto di scambio artificio mascherato al ballo del

nuovo miracolo politico mafioso pasciuto ed anche risoluto padrino di

turno, dopo l’inchino al boss divino…. Cristo lo prega per una nuova

umil offerta….).

Certo l’indignazione e lo spavento sono grandi, quando la facciata si

sgretola e, sotto la mascherata della civiltà, viene alla luce la smorfia….

(Proprio quella ci allieta, cara congrega, senza di essa mai potremmo

scrivere di essa, la storia, che con la bocca così storta si inchina alla

porta della peggior mafioso della storia, è proprio quella la moneta e la

maschera che il popolo venera da quando urlò Barabba al mondo in

pena:  Dio ancora non è morto oh popolo che così componi la tua im-

monda preghiera, maschera della storia….).

(W. Sofsky, Il paradiso della crudeltà)

 

 

 

 

 

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CONTRO LA GUERRA (2)

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Contro la guerra

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Contro la guerra  (3)  &

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contro la guerra 2

 

 

 

 

 

… E se qualcuno la facesse avvertita, non avrebbe ragione di inveire

contro questo scempio?

Che nuovo spettacolo vedo io mai?

Quale inferno ci ha partorito questo mostro?

C’è chi mi chiama matrigna perché ho disseminato qua e là in que-

sto mondo sterminato, qualche creatura velenosa, perché ho creato

animali selvaggi.

Quale supermatrigna ci ha dato dunque questa belva mai vista,

questo flagello del mondo intero?

Una creatura tutta dolcezza ho fatto io, pacifica, gentile, misericor-

diosa: unica nel creato.

Come è mai potuto degenerare in una simile belva?

Non vedo più nessun tratto dell’uomo, della mia fattura.

Quale spirito maligno ha corrotto la mia opera?

Quale strega gli ha tolto per incantesimo la natura umana e gli

ha dato la natura di una bestia?

Quale Circe ne ha mutato la forma originaria?

Vorrei dire a quel misero di mettersi allo specchio; ma che cosa

vedrebbero gli occhi, se la ragione gli fa difetto.

Eppure guardati, guerriero furibondo, se puoi, caso mai ti av-

venga di rinsavire.

Dove hai trovato quella minacciosa criniera?

Dove hai preso l’elmo lucente e i corni di ferro?

E le cubitiere aguzze, le squame, i denti di bronzo?

E le scaglie metalliche?

E le frecce micidiali?

 

contro la guerra 2

 

Di dove hai tirato fuori cotesta voce a dir poco bestiale, cotesta

ghigna a dir poco animalesca?

Dove hai preso il tuono e il fulmine, più spaventoso e più mici-

diale del fulmine stesso di Giove?

Io ho fatto di te una creatura in certo modo divina; come ti è ve-

nuto in mente di trasformarti in una belva così feroce, che nes-

sun’ altra belva appare più tale in confronto all’uomo?

…Queste e molte altre cose del genere direbbe, credo la natu-

ra creatrice.

(Erasmo, Contro la guerra)

 

 

 

 

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VAN DER VEER RIFIUTA DI SERVIRE L’ESERCITO (2)

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Van der Veer rifiuta di servire l’esercito &

L’Apocalisse

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L’Apocalisse (1) &  (2)

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‘Le Sante Scritture riconoscevano dei padroni e degli schiavi,

è sempre stato così; ed ecco che i vostri ‘scrittori’ vogliono cam-

biare il mondo!’, si diceva della schiavitù.

‘I filosofi, i saggi della terra hanno riconosciuto unanimamente la

legittimità, la santità della guerra e noi crederemo che la guerra

sia inutile?’, si dice oggi della guerra.

Ma la coscienza cresce sempre più si afferma; e il numero degli u-

omini che riconoscono la verità nuova aumenta ogni giorno; e l’i-

ronia e il disprezzo fanno posto all’astuzia e all’impostura. Si so-

stiene l’errore, ma senza fingere di ignorare; non si nega più l’as-

surdità, la crudeltà delle istituzioni che si difendono, ma si allega

che l’abolizione è ancora impossibile e che bisogna rimetterla a

un’epoca indeterminata.

‘Senza dubbio, la schiavitù è un male; ma l’umanità non è matu-

ra per la libertà, e la liberazione degli schiavi produrrà terribili

disgrazie’, si diceva della schiavitù quarant’anni fa.

‘Senza dubbio, la guera è un male, ma finché gli uomini saran-

no simili alle bestie feroci, la soppressione degli eserciti produr-

rebbe mali maggiori’, si dice della guerra oggi.

 

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Tuttavia l’idea fa strada; essa cresce, brucia la menzogna; ed è per

giungere il tempo in cui l’assurdità, la follia, il danno e l’immorta-

lità dell’errore saranno così evidenti che nessuno oserà difender-

le.

E’ avvenuto così della schiavitù, in sessant’anni in Russia e in

America, e oggi è similmente della guerra. Allora si era schiavi-

sti senza osare di giustificare la schiavitù, oggi non si tenta più

di giustificare né la guerra né l’esercito; si tace, si conta sulla for-

za dell’inerzia che li mantengono ancora; ma si sa benessimo che

tutta questa crudele e immorale organizzazione non ha che un’-

apparenza di solidità e può crollare da un momento all’altro per

non mai più risorgere.

Che una goccia di acqua si infiltri in una diga, che una sola pietra

cada da un colossale adeficio, che una sola maglia si rompa della

rete la più resistente, e la diga è trasportata via, l’edificio crolla, la

rete si lacera.

Imposto da motivi comuni all’umanità intera, il rifiuto di obbe-

dienza di Van der Veer può essere, secondo me, questa goccia

d’acqua, questa pietra, questa maglia rotta.

Il rifiuto di obbedienza di Van der Veer sarà forzatamente segui-

to da rifiuti consimili, e sempre più frequenti.

Appena il numero di questi rifiuti sarà considerevole, gli uomi-

ni che, ieri ancora, pretendevano che la vita è impossibile senza

la guerra, gli stessi uomini, e sono legione, diranno che, già da

lungo tempo, essi proclamano la follia e l’immoralità della guer-

ra e consigliano di agire come ha fatto Van der Veer.

E allora, della guerra e dell’esercito, sotto la forma che essi han-

no attualmente, non resterà che il ricordo.

E questi tempi sono vicini.

(Lev Tolstoj, Una rondine fa primavera)

 

 

 

 

 

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