QUARTA PASSEGGIATA: il ritorno dell’eroe (noi non siamo… ‘Capaci’)

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Terza passeggiata

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Il Falcone di Federico (stupor mundi) &

Migrazioni & Relazioni

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Il ritorno dell’eroe (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

 

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Il re Renaud tornò dalla Guerra

Tenendo le budella nelle mani.

Sua madre era sulle mura merlate,

che vide venire suo figlio Renaud.

 

‘Renaud, Renaud, rallegrati!

Tua moglie ha partorito un re!’.

‘Né della moglie, né del figlio,

io non saprei gioire.

 

Andate, madre, andate avanti,

fatemi fare un bel letto bianco;

non resterò a lungo:

a mezzanotte spirerò.

 

Ma fatelo fare qui in basso,

che la partoriente non senta!’.

E quando venne mezzanotte,

il re Renaud rese l’anima.

 

Non era ancora mattino,

che i valletti piangevano presto.

Non era ancora tempo di colazione,

che i servitori hanno pianto.

 

‘Ditemi, madre cara

per cosa piangono i nostri valletti?’.

‘Figlia mia, lavando i nostri cavalli,

hanno lasciato affogare il più bello’.

 

‘E perché, madre cara

per un cavallo piangere così?

Quando il re Renaud tornerà,

porterà con sé cavalli più belli’.

 

‘Ah! Ditemi, madre cara,

cos’è che sento battere qui?’.

‘Figlia mia, sono i falegnami

Che aggiustano il pavimento’.

 

‘Ah! Ditemi, madre cara,

cos’è che sento suonare qui?’

‘Figlia mia, è la processione

Che esce per le rogazioni’.

 

‘Ah! Ditemi, madre cara,

che cosa cantano i preti qui?’

‘Figlia mia, è la processione

Che fa il giro della casa’.

 

E quando riuscì ad alzarsi,

volle andare alla messa.

E quando passarono otto giorni

Volle uscire in ghingheri.

 

‘Ah! Ditemi, madre cara,

che abito mi prendo oggi?’

‘Prendete il verde, prendete il grigio,

prendete il nero come miglior scelta’.

 

‘Ah! Ditemi madre cara,

che significa questo nero?’

‘A una donna che si rimette dopo un parto,

il nero è il più adatto’.

 

Ma quando fu tra i campi

Tre pastori andavano dicendo:

‘Ecco la moglie di quel signore

che seppellirono l’altro giorno!’.

 

‘Ah! Ditemi madre cara,

cosa dicono quei pastori?’

‘Dicono di affrettarsi,

altrimenti si perde messa’.

 

Quando entrò in chiesa

Le diedero il cero.

Si accorse, inginocchiandosi,

della terra fresca sotto la sua panca.

 

‘Ah, ditemi, madre cara,

perché la terra è fresca qui?’

‘Figlia mia, non posso più nasconderlo:

Renaud è morto e seppellito’.

 

‘Renaud, Renaud, mio conforto,

eccoti dunque tra i morti!

Divino Renaud, mio conforto,

eccoti dunque tra i morti!

 

Poiché il re Renaud è morto,

ecco le chiavi del mio tesoro.

Prendete i miei anelli e i miei gioielli,

nutrite bene il figlio (di) Renaud!

 

Terra apriti! Terra spalancati!

Che io vada con Renaud, il mio re!’

La terra si aprì, la terra si spalancò,

e la bella fu inghiottita.

 

 

 

 

 

xavier dumoulin 2

TERZA PASSEGGIATA: secoli di attesa….

 

Precedente capitolo:

Prima  &  Seconda passeggiata….

Prosegue in:

Quarta Passeggiata &

Dialoghi con Pietro Autier: sfide della Natura &

gli occhi di Atget: Viaggi Onirici:  Gente di Passaggio

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Migrazioni & Relazioni (5)  &  (6)

Da:

i miei libri

 

 

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Camminavo, o meglio mi trascinavo, attraverso quella

che sembrava una palude un paese una città un quar-

tiere una nazione uno stato una presunta civiltà…

interminabile e priva di alberi, di geni di vita di cultura,

sotto un cielo di piombo grigio fumo impastato di odori

di scarti chimici….

Mio compagno era un uomo talmente vecchio da spa-

ventarmi, sebbene sentissi che lo conoscevo, o che

per lo meno lo avevo conosciuto in questa o in un’altra

vita.

I capelli bianchi gli scendevano lungo le spalle, e la bar-

ba arrivava sino a terra. Nonostante l’età, era più forte di

me, perché seguiva senza sforzo un sentiero che mi af-

faticava. Improvvisamente innanzi a noi apparve una ca-

sa solitaria.

Era molto antica, simile alle fattorie del New England co-

struite dal 1640 al 1680, con un tetto a mansarda esage-

ratamente obliquo, ricoperto da tegole di legno.

Mentre ci avvilivamo alla casa il vecchio disse, rivolto a

me: ‘Non è cambiata’.

Io non risposi, e il vecchio aggiunse: ‘In duecento (o in cin-

quecento anni), non è cambiata e non solo la casa…’.

Ancora rimasi in silenzio, e lui disse: ‘Sei stato un folle ad

aspettare di rinascere; io sono più saggio, e ho vissuto per

tutto quel tempo’.

Non appena ebbe detto questo, mi parve di ricordarmi di lui.

Era vestito di stracci così scoloriti e informi che era impos-

sibile immaginarne la provenienza: avrebbero anche potuto

esser pezzi di sacco cuciti insieme. Ma come lo ricordavo

io era giovane vestito di un soprabito rosso e alti stivaloni,

con una grande parrucca nera e il cappello a tre punte.

La sua faccia in questo vago ricordo, era liscia, ma scura

per le radici di una barba prodigiosamente fitta.

Allora dissi anch’io: ‘Non è cambiata’.

Ci avvicinammo alla casa ed entrammo, trovando all’interno

uno strato di intonaco caduto, e una generale rovina. Comin-

ciammo a salire la scala pericolante.

Il vecchio disse: ‘La troveremo proprio come prima’.

Io aggiunsi: ‘Dopo due o cinque secoli, la cosa sarà sempre

la stessa, la troveremo di sopra’.

Ancora salivamo…

L’edificio aveva due soli piani, ma la fine dell’antica scala sem-

brava non arrivasse mai. Su, su, su… finché le pareti intorno a

noi si confusero con la nebbia e le nubi turbinanti… e sempre

salivamo…

‘La troveremo come prima; non è cambiata’… ancora più su,

più su… finché   finì o…. iniziò il sogno…..

 

(H. P. Lovecraft, Duecent’anni di attesa)

 

 

 

 

 

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SECONDA PASSEGGIATA: & il collegio

 

 

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Un fatto… e un sottotitolo:

Le facce della politica

(più che l’onor poté lo digiuno…)

Precedente capitolo:

Prima passeggiata

Prosegue in:

Terza passeggiata &

Le sfide della Natura &

Il libretto da guida… &  La testa del lupo (prenderò Old Club Foot!)

Foto del blog:

Relazioni pericolose (3)  &  (4)

Da:

i miei libri

 

 

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Don Alonso, dunque, decise di mettere il figlio in collegio (ancora non

conosceva la moderna pedagogia di Rousseau…), sia per allontanar-

lo dalla sua indulgenza, sia per risparmiarsi delle preoccupazioni…

Avendo saputo che a Segovia c’era un certo dottor Cabra, che per

professione educava i figli dei signori, ci mandò don Diego e anche

me, perché lo accompagnassi e lo servissi.

La prima domenica dopo la Quaresima cademmo nelle mani della

fame in persona: considerando tanta miseria, posso dirlo senza il ri-

schio di esagerare. Era un prete che assomigliava a una cerbottana,

abbondante solo in lunghezza, con una testa piccola, i capelli rossic-

 

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ci, gli occhi sprofondati nel cranio, tanto che sembrava guardare dal

fondo di due ceste, così infossati e scuri che sarebbero andati bene

come botteghe da mercanti; il naso in bilico fra Roma e la Francia,

tant’era camuso e deforme, perché se l’erano mangiato i bubboni di

una costipazione, e certamente non i vizi per i quali bisogna spender

denaro; la barba stinta per paura della bocca vicina, che, dalla gran

fame, sembrava minacciasse di mangiarsela; di denti gliene manca-

vano non so quanti e credo che fossero stati esiliati come fannulloni

e vagabondi; il gargarozzo lungo come quello di uno struzzo, con un

pomo d’Adamo così sporgente, che sembrava andasse a cercarsi da

mangiare spinto dalla necessità; le braccia secche, ciascuna simile

a un fascio di sarmenti.

 

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A guardarlo dalla cintola in giù, sembrava una forchetta o un compas-

so, con due gambe lunghe e striminzite. L’andatura era molto lenta; se

si agitava un po’, gli risuonavano le ossa come le battole di San Lazza-

ro. La parola consunta; la barba fluente, perché non se la tagliava mai

per non spendere, ma lui diceva che gli faceva schifo vedersi la mano

del barbiere in faccia, che sarebbe morto piuttosto di permettere una

cosa del genere; i capelli glieli tagliava uno di noi.

Nei giorni di sole portava un berretto che sembrava rosicchiato dai topi,

con dei buchi così grandi che poteva passarci un gatto e con decora-

zioni di unto; era fatto di qualcosa che un tempo era stato panno, con i

 

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risvolti di forfora. La sottana, secondo alcuni, era miracolosa, perché

non si sapeva di che colore fosse. Alcuni, vedendola così spelacchiata,

dicevano che era di pelle di rana; altri affermavano che era pura imma-

ginazione; da vicino sembrava nera, da lontano azzurrognola. La indos-

sava senza cintura; non portava a colletto, né polsini.

Con i capelli lunghi e la sottana misera e corta, sembrava un lacchè del-

la morte. Ognuna delle scarpe poteva essere la tomba di un gigante.

Quanto alla sua stanza, non c’erano neanche i ragni. Faceva degli scon-

giuri contro i topi, per paura che gli rosicchiassero alcuni tozzi di pane

che teneva in serbo. Il letto ce l’aveva per terra e dormiva sempre da u-

na parte, per consumare le lenzuola.

… Insomma era arcipovero e stramisero…

 

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Caddi dunque nelle mani di costui e rimasi in suo potere con don Diego.

La sera in cui arrivammo ci indicò la nostra camera e ci fece un breve

discorsetto, senza dilungarsi per non sprecar tempo; ci disse che co-

sa dovevamo fare. E così restammo occupati fino all’ora di mangiare.

Andammo di là…..

Prima mangiavano i padroni e noi domestici li servivamo.

Il refettorio era un bugigattolo. Intorno a un tavolo sedevano fino a cin-

que signorini. Io per prima cosa cercai i gatti e, non vedendoli, chiesi

come mai non ce ne fossero a un servo di vecchia data, il quale era

così magro che portava già il marchio del collegio. Cominciò a com-

 

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muoversi e disse: ‘Come gatti? Chi vi ha mai detto che i gatti amano i

digiuni e le penitenze? Si vede che siete nuovo, perché siete grasso’.

Io, a questo punto, cominciai ad affliggermi; e ancora più mi spaventai

quando notai che tutti quelli che vivevano nel collegio da tempo erano

magri come chiodi, con delle facce che sembravano spalmate di po-

mata corrosiva.

Il dottor Cabra si sedette e diede la benedizione…

Mangiarono una cena eterna, senza inizio né fine…

Portarono del brodo dentro una scodella di legno, così chiaro, che, a

mangiarne, Narciso avrebbe corso un pericolo maggiore che alla fonte.

Notai con quale affanno le dita macilente sguazzavano all’inseguimen-

to di un cece solitario e sperduto che stava sul fondo. Ad ogni sorta Ca-

bra diceva: ‘Dicano quel che vogliono, ma non c’era niente di meglio del

minestrone; tutto il resto è vizio e gola’.

 

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Non appena finì di dirlo, si mise a bere avidamente dalla sua scodella, af-

fermando: ‘Questa è tutta salute e fa bene alla mente’. ‘Ti venisse un ac-

cidente!, dicevo fra me, quando vidi un servo simile a un mezzo spettro,

tanto era smunto, con un piatto di carne fra le mani che sembrava se la

fosse strappata di dosso.

Come contorno c’era un navone sperduto e il maestro, vedendolo, dis-

se: ‘C’è un navone? Per me non c’è pernice che possa reggere il con-

fronto. Mangiate, che mi fa piacere vedervi mangiare’.

Distribuì ad ognuno una porzione così piccola di carne di montone che,

 

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fra quello che si attaccò alle unghie e quello che rimase fra i denti, cre-

do che si consumò tutto, lasciando il ventre vuoto e scomunicato seb-

bene non avesse colpe. Cobra li guardava e diceva: ‘Mangiate, che

siete ragazzi e mi rallegra vedere il vostro appetito’. Pensi un po’, Sua

Signoria, che condimento per quelli che sbadigliavano di fame!

Finirono di mangiare e rimasero dei tozzi di pane sul tavolo e due buc-

ce e qualche osso nel piatto; il direttore del collegio disse: ‘Lasciate

questo per i servi, che devono mangiare pure loro; non dobbiamo vo-

lere tutto per noi’. ‘Che Iddio ti faccia andare di traverso quel che hai

mangiato, miserabile, che hai fatto un tale affronto alla mia pancia!’,

dicevo io.

 

Diego Velazquez - Il cardinale infante Ferdinando d'Asburgo in tenuta da caccia - 1635-36

 

Diede la benedizione e disse: ‘Su lasciamo il posto ai servi, e voi an-

date a fare un po’ di moto alle due, così non vi farà male quello che a-

vete mangiato’. Allora non riuscii a trattenermi dal ridere sguaiatamen-

te.

Si irritò, mi disse di imparare a essere discreto, poi aggiunse altre tre

o quattro sentenze antiche e se andò. Toccò a noi sederci e io, veden-

do che le cose andavano male e che il mio ventre chiedeva giustizia,

poiché ero più sano e più forte degli altri, mi gettai sul piatto come tut-

ti, e riuscii a mettermi in bocca due dei tre tozzi di pane e una di buc-

ce.

 

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Gli altri cominciarono a brontolare; udendo il rumore, entrò Cabra di-

cendo: ‘Mangiate come fratelli, perché Dio vi dà di che saziarvi; non

litigate, che ce ne n’è per tutti’.

Ritornò fuori al sole e ci lasciò soli…

Assicuro Sua Signoria che ne vidi uno, il più debole, un biscaglino che

si chiamava Jurre, che si era a tal punto scordato di come e da quale

parte si mangiava, da portarsi due volte agli occhi una scorzetta che

gli era toccata e alla terza le mani non riuscivano a dirigersi verso la

bocca. Io chiesi da bere, perché gli altri, essendo quasi digiuni, non lo

facevano, mi diedero un bicchiere d’acqua; e quasi non l’avevo anco-

ra avvicinato alla bocca, quando, come se fosse stata l’acqua dell’of-

fertorio della messa, me lo tolse il ragazzo spiritato di cui ho parlato.

Mi alzai con il cuore profondamente addolorato, vedendo che stavo

in una casa dove si brindava al ventre,… senza renderlo partecipe….

 

(F. de Quevedo, L’imbroglione)

 

 

 

 

 

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PRIMA PASSEGGIATA

prima passeggiata

 

Prosegue in:

Seconda passeggiata: & il collegio….

Dialoghi con Pietro Autier:  Le sfide della Natura

Gli occhi di Atget:  Il libretto da guida…

Foto del blog:

Il libretto da guida (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

  

 

 

E ora eccomi solo sulla terra, non avendo altro fratello, prossimo

amico, che me stesso.

Sociabilissimo e amorevolissimo tra gli uomini, io ne fui proscritto

per unanime accordo; nella raffinatezza dell’odio, essi hanno cercato

quale tormento potesse meglio incrudelire sulla mia sensibile anima,

e hanno violentemente spezzato tutt’i legami che a loro mi tenevano.

 

prima passeggiata

 

Li avrei amati a dispetto di loro stessi, gli uomini; non hanno potuto

sottrarsi al mio affetto che rinunciando a esserlo.

Ed eccoli stranieri, sconosciuti, nulli insomma per me; e per averlo

voluto. Ma io, distaccato da loro e da tutto, io stesso che cosa sono?

Ecco quello che mi resta da indagare.

Sfortunatamente, questa ricerca dev’essere preceduta da uno sguardo

sulla mia posizione: traverso quest’idea bisogna per forza che io pas-

si, per giungere da loro sino a me.

Da quindici anni in qua, che mi trovo in questa strana posizione, essa

mi sembra ancora un sogno: sempre mi figuro che un’indigestione mi

travaglia, che dormo un sonno cattivo, e che sono in procinto di sve-

gliarmi affatto sollevato dalla mia pena, trovandomi in mezzo agli

amici.

Sì, non c’è dubbio: bisogna che io abbia fatto, senz’accorgemene, un

salto dalla veglia al sonno, o piuttosto dalla vita alla morte.

 

prima passeggiata

 

Strappato, non so come, dall’ordine delle cose, mi sono veduto preci-

pitare in un caos incomprensibile, in cui non distinguo proprio nulla;

e per quanto rifletta sulla mia situazione attuale, meno posso compren-

dere dove mi trovo.

Come avrei potuto prevedere il destino che mi aspettava?

Come posso concepirlo, ancora oggi che gli sono in preda?

Potevo supporre, nel mio buosenso, che un giorno io, il medesimo

uomo che ero, il medesimo che ancora sono, sarei stato ritenuto, sen-

za il minimo dubbio, un mostro, un assassino; che sarei diventato l’-

orrore del genere umano, il trastullo della canaglia; che ogni saluto

fattomi dai passanti sarebbe stato lo sputarmi addosso; che un’intera

generazione si sarebbe dilettata, per unanime accordo, a seppellirmi

ancora vivo?

 

prima passeggiata

 

Quando lo strano rivolgimento avvenne, preso alla sprovvista, ne fui

dapprima sconvolto.

Inquietudine e indignazione mi prostrarono in un delirio cui dieci

anni non furono troppi per calmarsi; e in questo periodo, caduto di

sbaglio, di colpa, di stoltezza in stoltezza, con la mia imprudenza ho

procurato ai reggitori della mia sorte altrettanti strumenti che abil-

mente hanno messo in opera per determinarla senza scampo.

A lungo mi sono dibattuto, violentamente quanto vanamente.

Senza scopi e artifici, senza dissimulazione e cautela, schietto, aperto,

impaziente, impulsivo, non ho fatto altro, col dibattermi, che impigli-

armi ancora peggio e offrire incessantemente ai miei nemici qualche

nuovo pretesto; ed essi hanno avuto cura di non trascurarli mai.

Infine, sentendo inutili tutt’i  miei sforzi e tormentandomi in pura per-

dita, ho preso il solito partito che mi restava da prendere, ossia quello

di sottomettermi alla mia sorte, senza recalcitrare oltre contro il desti-

no.

In questa rassegnazione ho trovato compenso a tutt’i miei mali, per

calma che procura, e che non potrebbe conciliarsi col travaglio conti-

nuo d’una resistenza penosa quanto sterile.

A questa pace un’altra cosa ha contribuito: tra tutte le raffinatezze dell’-

odio, i miei persecutori ne hanno omesso una, che la loro avversione

gli ha fatto dimenticare; era di graduarne accortamente gli effetti, in mo-

do da poter mantenere e rinnovare i miei dolori senza tregua, recando-

mi sempre qualche nuovo attacco.

 

prima passeggiata

 

Se avessero avuto la furbizia di lasciarmi qualche barlume di speranza,

con questa mi terrebbero ancora; potrebbero ancora fare di me il loro

trastullo con qualche falsa lusinga, e poi accasciarmi con un tormento

sempre nuovo, a causa della mia aspettazione delusa.

Ma essi hanno esaurito in anticipo tutte le loro risorse; non lasciando-

mi nulla, si sono tolti tutto a se stessi.

La diffamazione, lo scherno, l’obbrobrio, di cui mi hanno coperto, non

sono ormai suscettibili di essere aumentati o attenuati; noi siamo ormai

egualmente incapaci, essi di aggravarli, io di sottrarmici.

Si sono talmente affettati nel portare al colmo la misura della mia mise-

ria, che tutta la potenza umana, aiutata da tutte le milizie dell’inferno,

non vi saprebbe aggiungere altro. Lo stesso dolore fisico, invece di au-

mentare le mie pene, me ne distrarrebbe; strappandomi le grida, forse

mi risparmierebbe i gemiti, e gli strazi del corpo mi sospenderebbero

quelli … del cuore.

(J.J. Rousseau, Le passeggiate solitarie)

 

 

 

 

 

prima passeggiata

  

VIAGGI ONIRICI: il correttore di bozze (20)

Precedenti capitoli:

Viaggi onirici: il correttore di bozze (19)  &  (18)

Prosegue in:

Viaggi onirici: ‘lezioni di vita’ (22/21)

Foto del blog:

‘Savoir Vivre’ &

‘Savoir Mourir’

Appunti, ricordi…, dialoghi e rime:

i miei libri

 

 

il professore

 

 

 

 

Nonheimer torse la bocca in un ghigno cattivo.

– Cosa devo, mettere a nudo la mia mente per soddisfare la

vostra curiosità intellettuale? E’ questo il prezzo che mi costa

il fatto che mi abbiate risparmiato l’incriminazione per falsa

testimonianza?

– Mettetela come volete,

disse impassibile la Calvin.

– Ma datemi una spiegazione.

– In modo da consentirvi di fronteggiare in futuro con maggior

cognizione di causa altri eventuali attacchi anti-robot?

– Perché no?

– Sapete,

disse Ninheimer,

– ve la darò questa spiegazione, se non altro per il piacere di

constatare che non vi può servire a niente. Come potrebbe?

Voi non siete in grado di comprendere i motivi che spingono

gli uomini ad agire in un certo modo. Voi potete comprendere

solo le vostre maledette macchine perché siete voi stessa una

macchina con sembianze umane.

 

il professore

 

Ansimava, adesso, e non aveva più incertezze nel linguaggio.

Era come se la sua eterna ricerca della precisione ormai non

avesse più scopo.

– In due secoli e mezzo,

disse,

– le macchine hanno preso a poco a poco il posto dell’Uomo e

distrutto il valore dell’artigianato. La ceramica viene fabbricata

a mano con stampi e presse. Copie insignificanti delle opere

d’arte vengono copiate e contraffatte tecnicamente attraverso

una matrice. Chiamatelo progresso, se credete! L’artista è

costretto a occuparsi di teoria, è confinato al mondo delle idee.

Deve elaborare con la mente un progetto, e poi le vostre macchi-

ne come Easy, EZ-28, fanno tutto il resto….

– Voi non lavorate la ceramica,

disse la dottoressa Calvin.

– Sono un saggista, sono una persona creativa! Non lo sono le 

vostre macchine! Scrivo articoli e libri per redigere i quali non

basta trovare le parole e metterle insieme nell’ordine giusto.

Se tutto si limitasse a quello, non ci sarebbe gusto, non ci sareb-

be soddisfazione.

– Un libro deve prendere forma nelle mani dello scrittore. Biso-

gna vedere i capitoli susseguirsi l’uno all’altro gradatamente,

lavorarci intorno con cura, apportare modifiche che a volte van-

no oltre l’idea originaria da cui si era partiti. Bisogna controllare

le bozze, osservare come appaiono le frasi quando sono stampa-

te e correggerle ulteriormente. C’è un rapporto continuo tra 

noi e il nostro lavoro a tutti gli stadi dell’impresa in cui si è coin-

volti, e questo rapporto è piacevole e più di ogni altra cosa ci

compensa della fatica che facciamo creando.

 

il professore

 

Queste soddisfazioni il vostro robot Easy EZ-28 ce le toglie com-

pletamente.

– Se è per quello anche le macchine per scrivere e le macchine

tipografiche ve lo tolgono. Cosa propone, di tornare a redigere

manoscritti con la penna d’oca e a lume di candela.

– Le macchine per scrivere e le macchine tipografiche ci tolgono

parte della soddisfazione, ma il vostro EZ-28, il vostro robot,

fono-comandato ce la toglierà tutta.

Per il momento è in grado di occuparsi e vedere solo delle …..

bozze. Ma prima o poi lui o altri robot come lui si assumeran-

no il compito di esaminare gli originali, cercare le fonti, mani-

polarle, copiarle, controllarle, e magari trarre in maniera pre-

ventiva delle conclusioni a vantaggio di altri…

Questo a casa mia si chiama truffa ….e plagio……..

Avrei voluto salvare i futuri ricercatori da una simile catastrofe

regno del …male……………

(Isaac Asimov, Tutti i miei robot)

 

 

 

 

 

il professore

 

SE IL PRANZO NON AVETE DIGERITO (santa Ildegarda cura l’appetito)

Precedente capitolo:

In senso Inverso

Prosegue in:

Viaggi onirici: l’incubo (lo sdoppiamento del DUE) (17/16)

Foto del blog:

Lo sbarco (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

 

 

 

Santa Ildegarda raccomanda per lo stomaco

appesantito la presente ricetta:

POMATA DI SANTA ILDEGARDA

 

“Se si propaga un fumo nebbioso (non di scarico o altro…) 

dallo stomaco all’intestino (e questo rispone in malo modo)…

dell’essere umano, causando lì dei dolori, allora è necessario

prendere della salvia, cinque volte tanto di brionia e dieci

volte tanto di erba ruta nel vino facendo cuocere queste erbe

nell’acqua fino all’ebollizione.

Dopo aver colato l’acqua, mettere le erbe cotte, ancora calde,

là dove si avvertono…i dolori e legarle con una benda come

una compressa.”

RICETTA: Piante mescolate con la salvia, la brionia e l’erba

ruta nel vino.

 

se il pranzo non avete digerito

 

Per migliorare la digestione, Ildegarda dà una specie di ‘rimedio

universale’, il SIVESAN che guarisce le malattie e mantiene la

salute.

 

“Si prendano dei semi di finocchio, di cui metà di galanca, e la

metà di galanca di dittamo, e la metà di dittamo di pelosetta, poi

si polverizzano, si filtrano e dopo una mezz’ora dal pranzo si

mette questa polvere nel vino caldo e la si beva.

Questa polverina tiene sano l’uomo che è sano, fortifica il malato,

procurando all’uomo una buona digestione, dandogli forza,

un bel colorito al viso, ed essa aiuterà ogni persona, sia sana

o malata, se la prenderà dopo i pasti.”

RICETTA: SIVESAN (polverina di finocchio mescolata ad altre

piante): Galanga, Finocchio, Dittamo, Pelosetta.

Fruct. Foeniculi pulv. 16,0

Rhiz. Galancae pulv. 8,0

Hb. Dictami alb 4,0

Hb. Pilosellae pulv. 2,0

 

  

 

 

 

se il pranzo non avete digerito

 

O MISOPOGON

Precedenti capitoli:

Misopogon (1)  (2)  (3)  (4)

Eretico, gnostico….. ed apostata:

Una lettera…

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier 2:  il cimitero di guerra &

Gli occhi Atget:  la persecuzione…

Foto del blog:

Misopogon (1)  &  (2)

 

 

 

 

 

Oggi, infatti, sembra tanto disonorevole coltivare la

poesia quanto lo sembrava un tempo arricchirsi diso-

nestamente.

Certo, non per questo rinuncerò all’aiuto che può ve-

nirmi dalle Muse. Ho visto anche i barbari, al di là

del Reno, cantare canti selvatici, composti proprio

come gracchiano gli uccelli che sollevano urla aspre,

e godere nei canti. 

Penso infatti che capiti la stessa cosa ai cattivi cantori,

insopportabili al pubblico, gradevolissimi a sé stessi;

e anch’io, volgendo questo nella mente, sono solito

ripetere a me stesso il detto di Ismenia, certo non con

identico fondamento, ma, come sono persuaso, con

uguale fierezza:

che canterò per le Muse e per me stesso.

(Giuliano Imperatore, Misopogon)

 

 

 

 

 

o misopogon

  

INQUISITORI (sosta a Roma) (4)

Precedenti capitoli:

Inquisitori (sosta a Roma)

Inquisitori (sosta a Roma) (2)

Inquisitori (sosta a Roma) (3)

Prosegue in:

Una ‘bolla’ per il paradiso (5)

Foto del blog:

Inquisitori

sosta a Roma

Da:

Frammenti in rima

 

 

 

Con lui il marmo decorato

sulla piazza,

ove con lo sguardo schifato

immoliamo e puniamo il peccato già nominato.

Se gli occhi del disgraziato sacrificato

sono uguali a quelli del quadro (che adoriamo….),

non datemene colpa.

L’idea mi viene quando brucio

ogni eretico

per vedere stessa pena,

… perché il popolo allieta.

Questa è l’arte mia segreta

non andate di fretta.

Commissionata ad ogni artista

che non vuole fare ugual fine

nel quadro della storia,

perché narra il mio ardire

e sposa la vera fede

con la sacra memoria.

Così la tela per mano del pittore

dona la luce alla vista assopita

di un diverso ricordo.

Ora ammira in alto sul soffitto

dipinto l’intero paradiso,

memoria di un rogo

che l’ha appena ucciso.

E’ l’Abbazia della storia,

io ne curo arte e architettura

.. specchio della vera Parola….

(G. Lazzari, Frammenti in Rima, 

Dialogo con il nobile che vende parola,

Fr. 15/7)

 

 

 

inquisitori 4

 

 

  

Nella sete del (falso) martirio di papa Pio V c’è il risvolto in-

teriore della sua assidua ed ossessiva caccia all’eretico e della

violenta intolleranza che mostrò nei confronti di ebrei e non 

cristiani in genere.

Tutte le forze della Chiesa e tutte le istituzioni furono piega-

te in questa direzione. Anche le istituzioni di natura politico-

diplomatica, come le nunziature, dovettero adeguarsi al nuo-

vo corso.

Le immagini con cui i suoi rappresentanti, quindi la ‘Storia’ 

lo definirono, misero in primo piano proprio quella santità

che in tempi successivi doveva essere sancita definitivamen-

te con la beatificazione: era un “padre commune di mente san-

ta, di vita innecentissima… un papa sì buono et sì sancto”.

La purezza della fede era componente di quella santità che 

Michele Ghislieri riconduceva finalmente sul trono di Pietro:

e la stessa politica internazionale del papato doveva essere 

influenzata profondamente dalla preoccupazione della dife-

sa della fede.

Nel momento più alto e di maggior successo della iniziativa

internazionale del papato, e cioè in occasione della Lega con-

tro i Turchi, Pio V – nel concistoro convocato il 18 giugno 1571

per l’invio degli ambasciatori ai principi cristiani – ribatté a-

spramente al cardinal Cristoforo Madruzzo che proponeva di

inviare alla Lega anche i principi della Confessione Augustana: 

non ci poteva essere accordo o pace con gli eretici, nemmeno

coi più moderati di loro; anzi, i più moderati erano i più peri-

colosi, perché potevano meglio sedurre i fedeli e confondere

le idee.

Dunque, nessun accordo contro la “purezza” della fede (???).

Le sorti della guerra sarebbero state risolte dal Dio degli eser-

citi. Era una concezione della guerra santa più feroce e intran-

sigente di quella che si attribuiva ai Turchi.

Tanta durezza e così feroce fanatismo suscitavano perplessità

e discussioni negli stessi ambienti della Curia romana.

Si diceva che l’eresia minasse il potere dai fondamenti: ma l’-

unico a esserne veramente minacciato era il potere del papa,

nella sua duplice natura.

Le ‘due anime’ che abitavano il corpo dell’autorità papale si

incontravano qui. I roghi accesi da papa Pio V e la sua politi-

ca della guerra santa – contro gli eretici prima che contro gli

infedeli – furono strettamente legati al suo uso dell’Inquisi-

zione come ‘santo ufficio’ da anteporsi a tutti gli altri.

Dopo di lui, nessun papa (ma bensì altri  regimi e monarchi) 

interpretarono più in termini così assoluti e universalistici

una tale concezione della purezza della fede.

(A. Prosperi, Tribunali della coscienza)

 

   

 

 

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