Precedenti capitoli:
Le vie dei canti: i coloni (6)
Prosegue in:
Terzo sogno: Rubarono tutta la frutta dagli alberi…&
Le vie dei canti: i nativi (8)
Foto del blog:
Da:
La logica scolastica diceva che , se non era già stato fatto , voleva dire
che non era fattibile. D’altro canto, affermare ,come facevo , che l’arte
delle rinomate grotte della Dordogna seguiva gli stessi criteri e la stes-
sa logica dell’arte degli aborigeni australiani o dei boscimani del deser-
to del Kalahari suscitava scandalo e anche risentimenti.
La scoperta di paradigmi universali proponeva una dimensione difficile
da afferrare , in un mondo umanistico, più descrittivo che analitico, abi-
tuato a definire soprattutto caratteristiche locali, e a cercare più le diffe-
renze che le affinità.
Nell’arte dei primordi troviamo infatti archetipi e paradigmi del nostro es-
sere e che abbiamo ancora profondamente dentro di noi . L’arte rupe-
stre è un fenomeno mondiale comune alle popolazioni non letterate che
inizia con l’Homo sapiens e viene sovente a cessare quando la gente
che la pratica acquisisce una forma di comunicazione del tipo che
chiamiamo scrittura…
In moltissimi complessi d’arte preistorica ed etnologica , in tutti i conti-
nenti e in tutte le categorie ricorrono tre tipi di segni grammaticali diver-
si tra loro: Pittogrammi, figure nelle quali riteniamo di riconoscere forma
identificabili con oggetti reali o immaginari, animali uomini o cose.
Ideogrammi, segni ripetitivi che vengono talvolta definiti come dischi,
frecce, rami, bastoncini.
Psicodrammi, segni nei quali non si riconoscono e non sembrano rap-
presentati né oggetti né simboli. Sono slanci, violente scariche di ener-
gia, che potrebbero esprimere sensazioni quali vita o morte o odio, o
anche esclamazioni o auspici .
(E . Anati – Verso una nuova lettura dell’arte preistorica – Le Scienze 1998)
Tentiamo di svelare parte della nuova frontiera della comunicazione e del
viaggiare, o forse se ci è più familiare, ‘navigare’. La scoperta di mondi che
si celano in queste caverne del futuro. Lentamente con passo esitante ed
indeciso, esploriamo questa ghirlanda di simboli che provengono dallo
schermo e dopo, una volta addentrati all’interno della grotta, diventano un
groviglio di ideogrammi, pittogrammi e psicodrammi. Lo stupore è il mede-
simo del bambino a cui nella culla vengono applicati dei giochi didattici per
stimolare la sua emotività visiva e non solo. Si rimane affascinati, increduli.
Si prova anche un certo imbarazzo, pare cosa incredibile che si possa in-
teragire in un solo istante con migliaia di informazioni diverse digitando u-
na singola parola.
Ed a ogni ‘cunicolo’ che si apre si possono fare scoperte affascinanti o al
contrario si può lasciare la propria impronta per gli altri ‘cavernicoli’ di pas-
saggio. Per la celebrazione dei riti in onore della caccia, della terra, della
fertilità, del dominio, del potere, ….. per gli Dèi. Tutto appare o può appa-
rire incredibile. Ma i nuovi sacerdoti, maestri di cerimonia, detentori di
questo potere regale che corre sempre più veloce in fibre ottiche di miliar-
di di ragnatele invisibili attorno alla nostra capanna, quali altre sorprese
sapranno dispensarci, oltre alle cattedrali custodi della liturgia e della cele-
brazione per questi deserti che sono i nostri villaggi?
Di quale tipo di alimento si nutrono queste immense torri, parabole, alberi
di ferro in cima a montagne di cemento?
Di che cosa si cibano queste nuove forme inorganiche a cui ci sforziamo
di attribuirgli una propria intelligenza se non addirittura una primordiale for-
ma di coscienza?
Cosa infondono nei nostri spiriti già provati, in un villaggio globale sempre
più estraneo all’anima del mondo?
Su quali intenti fondano la loro cultura teologica o scientifica?
Quale sogni sapranno donarci queste cattedrali del tutto, dove tanti pelle-
grini si accalcano per l’illusione di una nuova presa di coscienza. L’illusio-
ne di un futuro appena sperato e sognato …. ma mai raggiunto. L’illusione d
el nuovo protagonismo all’ombra del sapere e della conoscenza.
No!
Sogno altri viaggi, altri mondi, altre fantasie, anche quando non ho mezzi
per concedermele.
Sogno il sogno del sogno.
Quando un poco bastava per farci socchiudere gli occhi e immaginare quella
neve, quei venti, quei mari, quegli imperatori, quei filosofi, quelle spie, quei
poeti …. e con essi tutti i personaggi che affollano il nostro ‘io’.
Quello che fummo siamo o saremmo stati.
Tutte quelle fantasie a cui segretamente ci siamo ispirati, a cui ci siamo mo-
dellati. Perché erano e sono parte di noi. Per non parlare poi di tutte quelle o-
pere, colori, forme, e talvolta anche odori che abbiamo provato assieme ai
brividi, all’èstasi, alle vertigini …. dinnanzi all’arte.
I primordi dell’immateriale sulla materia che prende forma. La scrittura in as-
senza di numero e regola. Quanti poemi dinnanzi a questo sé primordiale.
Quante volte si è rimasti sospesi in una sorta di cunicolo metafisico di fron-
te a determinate forme di colori, immagini, volti, opere. E’ come se stessi-
mo contemplando noi stessi in mille forme o volti differenti. Siamo sempre e-
sistiti e esisteremo per sempre. E quando poi a distanza di anni e decenni
ripercorriamo gli stessi sentieri, strade, panorami e forme la certezza di
quel primo sé unico e originario non ci abbandona in virtù della sua forza e
consistenza.
Tutto il resto sono solo ricordi che attraversano queste pareti di roccia color
metallo, per lasciare di nuovo forma e presenza su una caverna troppo fred-
da per essere sognata, su un villaggio troppo distante per essere immagina-
to nella simmetria di un uguale che è la realtà ancora non del tutto compre-
sa. Non del tutto imparata nei suoi millenari meccanismi che ci vogliono su-
periori e mai inferiori.
Evoluti e mai arretrati. Intelligenti e mai ….. idioti. Dinnanzi ad una natura che
non può pensare vedere e neppure parlare.
E’ mia convinzione che le macchine non possono essere dotate di originalità
nel senso che intende Wiener quando sostine che “le macchine possono tra-
scendere, e di fatto trascendono, alcune delle limitazioni dei loro progettisti,
e nel far ciò esse possono essere efficaci sia pericolose” .
Una macchina non è un genio, non lavora per virtù magiche, non possiede
una volontà e, con buona pace di Wiener, da essa non esce niente che vi
sia stato messo dentro, a parte naturalmente i rari casi di malfunzionamen-
to .
(R . Hofstadter – Godel, Escher, Bach – Samuel 1960)
Mi propongo di considerare la domanda: “Le macchine possono pensare?”
(R. Hofstadter – Godel , Escher , Bach – A. Turing, Mind magazine 1950)
….Si ritorna qui al misterioso comportamento collettivo delle formiche le
quali possono costruire formicai enormi e intricati benché circa 100.000
neuroni del cervello di una formica quasi certamente non contengono al-
cuna informazione sulla struttura del formicaio. Come viene costruito al-
lora il formicaio? Dov’è contenuta l’informazione? Si rifletta in particolare
dove si possa reperire l’informazione che descrive un arco nella costru-
zione dei loro piccoli cunicoli. Essa deve trovarsi nella colonia in qual-
che forma diffusa: nella distribuzione delle caste, nella distribuzione del-
le età e probabilmente in gran parte delle stesse proprietà fisiche del
corpo delle formiche. In altri termini l’intenzione tra le formiche è deter-
minata dal fatto di avere sei zampe dalle loro dimensioni, e via dicen-
do tanto quanto dall’informazione immagazzinata nel loro cervello.
Potrebbe esistere una colonia artificiale di formiche? (!!!)
(R. Hofstadter – Godel, Escher, Bach)
….Garson Poole stava seduto al tavolo della cucina a sorseggiare il
suo caffè di fronte a Sarah.
I tecnici se ne erano andati da parecchio.
– Non farai altri esperimenti su di te, vero? – chiese Sarah ancora in
preda all’ansia.
Poole disse con voce stridula – Vorrei controllare il tempo. Farlo scor-
rere al contrario. Potrei tagliare un segmento del nastro, pensò e riat-
taccarlo al contrario. La sequenza causale scorrerebbe in senso in-
verso, per cui io percorrerei a ritroso la scala che scende dal tetto,
fino alla porta con una spinta aprirei una porta chiusa chiave, cam-
minerei all’indietro verso il lavandino, dove prenderei una pila di
piatti sporchi. Mi siederei a questo tavolo di fronte alla pila di piatti,
e riempirei ogni piatto con il cibo rigurgitato dal mio stomaco ….
Poi trasferirei il cibo nel frigorifero. Il giorno dopo toglierei il cibo
dal frigorifero, lo impacchetterei, porterei i pacchetti al supermar-
ket, distribuirei il cibo qua e là sugli scaffali E infine, al bancone
principale, mi darebbero dei soldi prendendoli dal registratore di
cassa. Il cibo verrebbe impacchettato con altro cibo in grandi
scatoloni di plastica, e trasportato fuori città nelle piantagioni
idroponiche sull’Atlantico, e lì sarebbe riattaccato agli alberi e
gli arbusti o ai corpi di animali morti o spinto in profondità den-
tro il terreno.
Ma cosa dimostrerebbe tutto questo?
Sarebbe solo un nastro video che scorre al contrario …..
Non ne saprei di più di quanto ne so ora , e non è abbastanza.
Ciò che voglio, pensò è cogliere la realtà definitiva e assoluta,
per microsecondo. Dopo niente avrà più importanza conoscerò
tutto; non ci sarà più niente da capire o da vedere.
Potrei provare a fare un’altra modifica, si disse. Prima di prova-
re a tagliare il nastro. Produrrò dei nuovi fori e vedrò cosa suc-
cede. Sarà interessante perché non saprò in anticipo cosa signi-
ficano i fori che io stesso avrò applicato.
Usando l’estremità di un microstrumento , praticò diversi fori , a
caso, sul nastro. Il più vicino possibile all’analizzatore…. non vo-
leva aspettare .
– Mi chiedo se lo vedrai anche tu – disse a Sarah. Evidentemente
no, per quanto poteva congetturare –
– Potrebbe apparire qualcosa – aggiunse .
– Volevo solo avvisarti; non voglio che ti spaventi.
– Oh , Garson – disse Sarah con voce metallica.
Esaminò il suo orologio da polso. Passò un minuto, un altro minuto
ancora .
E poi ……
Al centro della stanza apparve uno stormo di anatre verdi e nere.
Schiamazzarono eccitate, si sollevarono da suolo, svolazzarono con-
tro il soffitto in una fremente massa di piume e ali, frenetica nel suo
impulso, nel suo istinto di scappare via.
– Anatre – disse Poole, meravigliato.
– Ho praticato un foro corrispondente a un volo di anatre selvatiche.
Adesso vedeva qualcos’altro. Una panchina in un parco su cui era se-
duto un vecchio, trasandato, che leggeva un giornale spiegazzato. Il
vecchio guardò in alto, e riuscì vagamente a distinguere Poole; gli sor-
rise per un istante con i denti rovinati, poi tornò a leggere il giornale ac-
cartocciato.
– Lo vedi? – chiese Poole a Sarah.
– Vedi anche le anatre?
In quel momento le anatre e il vagabondo nel parco scomparvero.
Non rimaneva nulla. L’intervallo dei fori era già passato.
– Non erano reali, vero? – disse Sarah.
– E allora come …..
– Neanche tu sei reale – rispose a Sarah.
– Tu sei un fattore di stimolo nel mio nastro della realtà. Un foro che
può essere coperto di vernice. Esisti anche in un altro nastro di real-
tà oppure esisti in una realtà oggettiva?
Non lo sapeva; non poteva dirlo. Forse non lo sapeva neanche Sarah.
Forse lei esisteva in un migliaio di nastri di realtà, forse in tutti i nastri
di realtà che fossero mai stati realizzati .
– Se io taglio il nastro – disse lui – tu sarai dappertutto e in nessun luogo.
Come il resto dell’universo . Almeno fin quando io ne sono consapevole.
(P. K. Dick – La formica elettrica)
(G. Lazzari, Il Viaggio)