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Dialoghi con Pietro Autier: Le sfide della Natura
Gli occhi di Atget: Il libretto da guida…
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Il libretto da guida (1) & (2)
Da:
E ora eccomi solo sulla terra, non avendo altro fratello, prossimo
amico, che me stesso.
Sociabilissimo e amorevolissimo tra gli uomini, io ne fui proscritto
per unanime accordo; nella raffinatezza dell’odio, essi hanno cercato
quale tormento potesse meglio incrudelire sulla mia sensibile anima,
e hanno violentemente spezzato tutt’i legami che a loro mi tenevano.
Li avrei amati a dispetto di loro stessi, gli uomini; non hanno potuto
sottrarsi al mio affetto che rinunciando a esserlo.
Ed eccoli stranieri, sconosciuti, nulli insomma per me; e per averlo
voluto. Ma io, distaccato da loro e da tutto, io stesso che cosa sono?
Ecco quello che mi resta da indagare.
Sfortunatamente, questa ricerca dev’essere preceduta da uno sguardo
sulla mia posizione: traverso quest’idea bisogna per forza che io pas-
si, per giungere da loro sino a me.
Da quindici anni in qua, che mi trovo in questa strana posizione, essa
mi sembra ancora un sogno: sempre mi figuro che un’indigestione mi
travaglia, che dormo un sonno cattivo, e che sono in procinto di sve-
gliarmi affatto sollevato dalla mia pena, trovandomi in mezzo agli
amici.
Sì, non c’è dubbio: bisogna che io abbia fatto, senz’accorgemene, un
salto dalla veglia al sonno, o piuttosto dalla vita alla morte.
Strappato, non so come, dall’ordine delle cose, mi sono veduto preci-
pitare in un caos incomprensibile, in cui non distinguo proprio nulla;
e per quanto rifletta sulla mia situazione attuale, meno posso compren-
dere dove mi trovo.
Come avrei potuto prevedere il destino che mi aspettava?
Come posso concepirlo, ancora oggi che gli sono in preda?
Potevo supporre, nel mio buosenso, che un giorno io, il medesimo
uomo che ero, il medesimo che ancora sono, sarei stato ritenuto, sen-
za il minimo dubbio, un mostro, un assassino; che sarei diventato l’-
orrore del genere umano, il trastullo della canaglia; che ogni saluto
fattomi dai passanti sarebbe stato lo sputarmi addosso; che un’intera
generazione si sarebbe dilettata, per unanime accordo, a seppellirmi
ancora vivo?
Quando lo strano rivolgimento avvenne, preso alla sprovvista, ne fui
dapprima sconvolto.
Inquietudine e indignazione mi prostrarono in un delirio cui dieci
anni non furono troppi per calmarsi; e in questo periodo, caduto di
sbaglio, di colpa, di stoltezza in stoltezza, con la mia imprudenza ho
procurato ai reggitori della mia sorte altrettanti strumenti che abil-
mente hanno messo in opera per determinarla senza scampo.
A lungo mi sono dibattuto, violentamente quanto vanamente.
Senza scopi e artifici, senza dissimulazione e cautela, schietto, aperto,
impaziente, impulsivo, non ho fatto altro, col dibattermi, che impigli-
armi ancora peggio e offrire incessantemente ai miei nemici qualche
nuovo pretesto; ed essi hanno avuto cura di non trascurarli mai.
Infine, sentendo inutili tutt’i miei sforzi e tormentandomi in pura per-
dita, ho preso il solito partito che mi restava da prendere, ossia quello
di sottomettermi alla mia sorte, senza recalcitrare oltre contro il desti-
no.
In questa rassegnazione ho trovato compenso a tutt’i miei mali, per
calma che procura, e che non potrebbe conciliarsi col travaglio conti-
nuo d’una resistenza penosa quanto sterile.
A questa pace un’altra cosa ha contribuito: tra tutte le raffinatezze dell’-
odio, i miei persecutori ne hanno omesso una, che la loro avversione
gli ha fatto dimenticare; era di graduarne accortamente gli effetti, in mo-
do da poter mantenere e rinnovare i miei dolori senza tregua, recando-
mi sempre qualche nuovo attacco.
Se avessero avuto la furbizia di lasciarmi qualche barlume di speranza,
con questa mi terrebbero ancora; potrebbero ancora fare di me il loro
trastullo con qualche falsa lusinga, e poi accasciarmi con un tormento
sempre nuovo, a causa della mia aspettazione delusa.
Ma essi hanno esaurito in anticipo tutte le loro risorse; non lasciando-
mi nulla, si sono tolti tutto a se stessi.
La diffamazione, lo scherno, l’obbrobrio, di cui mi hanno coperto, non
sono ormai suscettibili di essere aumentati o attenuati; noi siamo ormai
egualmente incapaci, essi di aggravarli, io di sottrarmici.
Si sono talmente affettati nel portare al colmo la misura della mia mise-
ria, che tutta la potenza umana, aiutata da tutte le milizie dell’inferno,
non vi saprebbe aggiungere altro. Lo stesso dolore fisico, invece di au-
mentare le mie pene, me ne distrarrebbe; strappandomi le grida, forse
mi risparmierebbe i gemiti, e gli strazi del corpo mi sospenderebbero
quelli … del cuore.
(J.J. Rousseau, Le passeggiate solitarie)