Precedenti capitoli:
Foto del blog:
Veramente il capo supremo del monastero non è lui.
Ora mi spiegherò: capo supremo del monastero è un personaggio
di nome ‘Thupden Oden’ (Luce perpetua della dottrina di Budda).
Questi visse circa cento anni or sono e la sua esistenza terrena fu
distinta da tanta santità, da tale veggente saggezza, da segni cospi-
cui di vicinissima e finale illuminazione che, dopo morto, lo si
considera un ‘Bodhisattva’.
Grande e bella cosa per un monastero avere un vero ‘Bodhisattva’
come capo supremo! E’ come ospitare un ambasciatore dell’Asso-
luto od avere un proprio rappresentante nelle aule adamantine
del cosmo.
E’ un contratto sicuro e consolante con l’indubitabile e l’inamovibile.
In che modo è tornato fra gli uomini ‘Thupden Oden’?
Poco dopo la sua morte s’è incarnato in un altro corpo, in quello
d’un bambino; è dunque rinato, e la sua presenza in questa seconda
veste terrena è stata rivelata da miracolosi avvenimenti.
Il bambino è poi cresciuto, è stato educato con cure speciali nel mo-
nastero ed a Lhasa, è divenuto uomo, ha retto per molti anni le sorti
della comunità, infine anche lui è morto.
Alcuni anni fa (1937) ‘Thupden Oden’ si è reincarnato per la seconda
volta, comparendo di nuovo nella persona d’un bimbo. Non vi sono
mai state, nel senso nostro delle parole, morte e nascita, ma dei tra-
passi della medesima essenza spirituale, del medesimo ‘Bodhisat-
tva Thupden Oden’ da un soggiorno di carne e sangue ad un altro.
Così adesso egli guarda il mondo dagli occhi d’un gracile e penso-
so ragazzo di nove anni.
Nel frattempo fin quando sarà maggiorenne, la direzione temporale
della comunità aspetta al reggente, al ‘Rimpoché Nge-Drup Dorje’.
Più avanti vedremo come tutto questo si ripeta, in maniera incom-
parabilmente più splendida, nel caso del Dalai Lama e del governo
stesso del Tibet.
Mentre attendiamo il Gran Prezioso, un giovane lama di nome Ton-
gye (Alto scopo) mi conduce a visitare le cappelle del convento.
Riguardo a Ton-gye: raramente ho visto nel Tibet una così perfetta
incarnazione dell’ideale di bellezza monastica.
E’ prestante ed imponente, porta i nerissimi capelli lunghi riuniti
con cura dietro al capo; i tratti del volto glabro hanno una serena
venustà mitologica, un po’ Noa-Noa; è timido e solenne, impaccia-
to ed augusto; il drappo togale di monaco gli ricade in pieghe
classiche sul corpo.
Torniamo alla saletta.
Nella stanza acanto si sente quel rapido pesticcìo di piedi, quel
concitato movimento di tonache e sottane, quei tesi e brevi silenzi
che preludono all’ingresso d’un importante personaggio ecclesias-
tico lungamente atteso.
L’Om-tse si affaccia, mi dice di restare dove sono e di preparare la
sciarpa. E’ uso nel Tibet che, facendo visita ad una persona d’impor-
tanza, gli si doni una sciarpa bianca di seta; quegli allora ve ne rende
una simile; è uno scambio che va eseguito con molti inchini, con molti
sorrisi e con quei segni accuratamente studiati e graduati di deferenza
che tutti gli orientali curano ed amano.
Dopo qualche attimo sento il passo lento d’un uomo d’età in sandali;
è il Gran Prezioso che appare sull’uscio; è un vegeto colosso di 84 an-
ni, una vera quercia umana, la cui vivezza ed il cui tono intatto del-
le facoltà splendono nei due occhi furbi, desti, penetranti.
Terminata la visita al Gran Prezioso scendo con l’Om-tse per vedere
un momento il piccolo Bodhisattva vivente: ‘Thupden Oden’.
Dinanzi al monastero vero e proprio sta un’altra e minore costruzio-
ne in cui vivono il bimbo incarnato, i suoi professori ed i seminaristi.
Mi accoglie un grosso lama piuttosto giovane che sembra un cinese;
il grosso lama m’invita con modi molto cordiali a fermarmi nella sua
stanza per bere una tazza di tè.
Il luogo è simpatico, si capisce subito che fra quelle mura vive uno
studioso. Da un lato, lungo il muro, giacciono dei grossi cuscini qua-
drati (den), alti un palmo, che costituiscono nel Tibet le sedie.
Forse su di essi il lama dorme la notte; di giorno vi si siede a gambe
incrociate. Ad un estremo, vicino alla finestra, sta il posto ordinario
di lavoro: un tavolino quadrato, basso, con molti libri, molte scartof-
fie, un calamaio, delle penne.
I libri tibetani sono lunghi, stretti, stampati a mano; le pagine vengo-
no tenute unite da due assicelle di legno e da un pezzo di stoffa che
le avvolge. Molti altri libri stanno appoggiati in un angolo, sopra un
secondo tavolo. Poi c’è un piccolo tabernacolo con delle offerte di ri-
so e di burro; alle pareti stanno appese delle ‘tangka’ (pitture su stof-
fa), di cui una di eccezionale eleganza: è tutta nera nello sfondo e
porta dipinta, con tratti in oro d’una vita gagliarda, la figura terrifi-
cante di ‘Palden Lha-mo. Cosa d’una raffinatezza estrema; capola-
voro di satanismo metafisico espresso in simboli.
Conversando mi accorgo subito che il lama sa moltissime cose, ch’è
una vera miniera d’informazioni; peccato aver fretta, dover ripartire
….E poi la stanzetta è così simpatica!
Vi si respira quella atmosfera serena, staccata dal mondo, dei luoghi
dove trascorre il tempo chi vive pel sapere e lo studio.
(RILETTURA del 1985 all’edizione del 1950:
Il miserando monastero,
Kar-gyu, come s’è già visto, è stato una delle tante vittime delle
violenze barbariche a cui i fanatici cinesi e ragazzini tibetani si
lasciarono andare tra il 1966 e il 1976, incoraggiati dal regime.
Quindi tutto ciò che si dice nel testo, riguardo per esempio al
numero dei monaci ‘che ci vivono’, alle 280 divinità diverse che
vi sono raffigurate in sculture e pitture, va inteso come riferito
al passato e per la precisione ad epoca anteriore agli anni 60.
Certo è che mai più si vivrà quella genuina atmosfera, così co-
me io ebbi modo di viverla. Le facili comunicazioni, la diffu-
sione di notizie, l’imitazione di costumi stranieri, l’arrivo di
energia elettrica, della benzina, della plastica, del gas liquido,
l’influenza della propaganda comunista e dell’indottrinamento
culturale cinese, avranno portato tali mutamenti di fondo da
rendere impossibile, o artificiale e posticcia, qualsiasi restau-
razione anche se genuinamente desiderata e sentita.)
Da:
(Fosco Maraini, Segreto Tibet; Foto e disegni: Sven Hedin)