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E questo soprattutto con i mastri Pietri che vivono dei
loro teatrini.
Conoscete cosa più tremenda dell’ascoltar la messa det-
ta da un prete ateo che la celebra per guadagnarsi i quat-
tro soldi quotidiani?
A morte ogni farsa, ogni finzione consacrata!
Quanti segreti versati nei confessionali!
E se tutti questi desideri, questi aneliti, questi pensieri, e
le orazioni e i sussurri e le invocazioni e le imprecazioni
e i lamenti e i segreti, se tutte queste cose in coro incomin-
ciassero a cantare, levandosi di sotto la consueta salmodia
liturgica del coro canonico?
Nella cassa armonica d’un liuto, entro le sue viscere, dor-
mono tutte le note che le son passate accanto, sfiorandola
nel trascorrer volando, con le ali sonore; e se tutte quelle
note, proprie e altrui, che vi dormono, si destassero, la cas-
sa del liuto scoppierebbe sotto la spinta di quella tempe-
sta sonora.
E allo stesso modo, se si ridestasse tutto ciò che dorme nel
seno della cattedrale, liuto di pietra, ed esplodesse in un
immenso canto corale, la cattedrale crollerebbe, vinta e
sommersa dal grandioso clamore.
Le voci, liberate, cercherebbero il cielo.
La cattedrale di pietra crollerebbe, vinta e sommersa dalla
violenza dello stesso sforzo del canto: ma dalle sue macerie
che seguiterebbero a cantare, risorgerebbe una cattedrale fat-
ta di spirito, più aerea, più luminosa e in pari tempo più soli-
da; un’immensa chiesa che innalzerebbe al cielo, colonne di
sentimento che si ramificherebbero sotto la volta di Dio….,
sciogliendosi dal loro peso morto per mezzo di contrafforti
e di arcate fatte di idee.
E questa non sarebbe una commedia liturgica.
Ma torniamo al teatrino.
Un teatrino esiste nella capitale della mia patria che è anche
quella di don Chisciotte, nel quale si rappresenta la liberazione
di Melisenda o la rigenerazione della Spagna o la rivoluzione
venuta dall’alto; e vi si muovono là nel Parlamento, le figurine
di cartapesta, obbedendo ai fili mossi da Mastro Pietro.
Ci sarebbe bisogno che vi entrasse un folle cavaliere errante che,
senza lasciarsi commuovere dalle alte grida, abbattesse, scapez-
zasse e stroppiasse tutti coloro che là dentro si agitano, e distrug-
gesse e mandasse in rovina la baracca di Mastro Pietro.
E don Chisciotte una volta risarcito il danno, per quanto, a guar-
dar bene, è giusto che chi vive di menzogne, una volta che queste
si siano frantumate, veda risarcito nei limiti del possibile il dan-
no, e pian piano impari a vivere di verità. Giacché spesso si dice:
se togliete la farsa ai commedianti, che hanno imparato a vivere
soltanto di essa, come faranno poi?
Ed è anche vero, d’altra parte, che Dio non vuole la morte del
peccatore, ma solo che si converta e viva; e deve vivere proprio
perché si deve convertire, e affinché viva bisogna che si manten
ga.
Oh, don Chisciotte il Buono, con quanta magnanimità, dopo
aver abbattuto, scapezzato e stroppiato la menzogna, hai pa-
gato quel che essa valeva, dando quattro reali e mezzo per il
re Marsilio di Saragozza, cinque reali e un soldino per Carlo-
magno, e così via per tutti gli altri, fino alla somma di 42 reali
e tre soldini!
Se non costasse di più fare a pezzi il teatrino parlamentare e
anche l’altro!
(Miguel de Unamuno, Vita di don Chisciotte e Sancio Panza)