AMMAZZARE IL TEMPO (la nostra infanzia) (13)

Precedenti capitoli:

Ammazzare il Tempo (chi lo ha ucciso?) (11/10) &

Ammazzare il Tempo (la nostra infanzia) (12)

Prosegue in:

Ammazzare il Tempo (la vita nel suo progredire) (14)

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Ammazzare il Tempo (1)

Ammazzare il Tempo (2)

Da:

i miei libri

 

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 (Da: la nostra infanzia….)

Piuttosto che crescere al di là di un certo punto, essa si sdoppia.

Furono senz’altro necessari secoli di sforzi e prodigi di sottigliez-

za affinché la vita superasse questo nuovo ostacolo.

Essa riuscì a fare in modo che un numero sempre maggiore di

elementi pronti a sdoppiarsi restassero uniti. Con la divisione del

lavoro li vincolò in un indissolubile legame. L’organismo comples-

so e quasi discontinuo funziona così come avrebbe funzionato u-

na massa vivente continua che si fosse semplicemente ingrandita.

Ma le cause vere e profonde della divisione erano quelle che la vi-

ta portava in sé.

 

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Perché la vita è tendenza, e l’essenza di una tendenza consiste

nello svilupparsi a raggiera, creando, per il solo fatto di accrescer-

si, le direzioni divergenti verso le quali si distribuirà il suo slancio.

E’ quanto osserviamo in noi stessi nell’evolversi di quella tenden-

za particolare che nominiamo carattere.

Ciascuno di noi, lanciando uno sguardo retrospettivo sulla propria

storia, constaterà che la sua personalità infantile, per quanto indi-

visibile, riuniva in sé persone diverse che potevano restare fuse in-

 

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sieme solo perché si trovavano allo stato nascente: tale indecisio-

ne ricca di promesse è, del resto, uno degli aspetti più affascinanti

dell’infanzia (… della nostra civiltà…).

Ma crescendo, le personalità che prima si compenetravano diven-

tano incompatabili, e siccome ciascuno di noi vive una vita soltan-

to è costretto a fare una scelta. In realtà, scegliamo di continuo, e

di continuo rinunciamo a molte cose.

 

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La via che percorriamo nel tempo è cosparsa dei detriti di tutto ciò

che avevamo incominciato a essere, di tutto ciò che saremmo po-

tuti divenire.

Ma la natura, che dispone di un incalcolabile numero di vite, non è

affatto costretta a simili sacrifici. Essa conserva le diverse tenden-

ze che, crescendo, si sono biforcate e crea con esse serie diver-

genti di pecie che si evolveranno separatamente.

 

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Non è d’altronde necessario che queste serie abbiano la stessa

importanza, lungo il tragitto, le biforcazioni sono state numerose,

ma accanto alle due o tre grandi strade si sono formati molti vi-

coli ciechi; e anche di queste grandi strade, una sola, quella che

attraverso i vertebrati giunge sino all’uomo, si è dimostrata lar-

ga a sufficienza per lasciar passare liberamente il soffio della

vita.

 

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E’ un’impressione che riceviamo quando paragoniamo, per e-

sempio, le società delle api o delle formiche  con le società u-

mane.

Le prime sono mirabilmente disciplinate e unite, ma rigide; le

altre sono aperte a ogni progresso, ma divise e in continua lot-

ta tra loro. L’ideale sarebbe una società sempre in movimento

e sempre in equilibrio, ma forse questo ideale non è realizzabi-

le: i due caratteri che dovrebbero integrarsi a vicenda, e che al-

lo stato embrionale pure si integrano, accentuandosi diventano

incompatibili.

 

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Se si potesse parlare, non per metafora, di un impulso alla vita

sociale, bisognerebbe dire che l’impulso maggiore si è avuto

lungo la linea evolutiva che fa capo all’uomo, mentre il resto si

è raccolto sulla via che porta agli imenotteri: le società di formi-

che e di api presenterebbero così l’aspetto complementare del-

le nostre società.

Ma questo non è altro che un modo di esprimersi.

Non c’è stato un impulso particolare alla vita sociale.

 

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C’è semplicemente il movimento generale della vita, che crea

forme sempre nuove lungo linee divergenti. Se su due di queste

linee devono comparire delle società, queste ultime dovranno ma-

nifersare sia la divergenza delle direzioni sia la comunanza dello

slancio.

Svilupperanno così due serie di caratteri che ci sembreranno va-

gamente complementari tra loro. Lo studio del movimento evolu-

tivo consisterà dunque nel distinguere un cero numero di direzio-

 

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ni divergenti, nello stimare l’importanza di ciò che si è svolto in

ciascuna di esse, insomma nel determinare la natura delle ten-

denze dissociate e nel farne il bilancio.

Combinando tra loro queste tendenze si otterrà allora un’appros-

simazione, o meglio un’imitazione dell’unico principio motore da

cui prese avvio il loro slancio.

(H. Bergson, L’evoluzione creatrice)

(Fotografie di: Johannes Stotter) 

 

 

 

 

 

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