Precedenti capitoli:
una-stanza-tutta-degli-altri.html
Prosegue in:
contro-la-liberta-dell-arte.html
Gli americani avevano praticamente rinunciato a ogni riparazione
per loro stessi; e, siccome nella riparazione vedevano altrettanti
‘debiti politici’, erano tutt’altro che contrari all’idea di sopprimerle:
atteggiamento indubbiamente saggio, ma qui la saggezza america-
na finiva, poiché gli Stati Uniti non volevano affatto l’annullamento
parallelo dei loro crediti.
I ‘debiti commerciali’ ai loro occhi erano infatti sacri.
La morale internazionale come essi la concepivano esigeva che questi
debiti fossero pagati, anche se il loro rimborso costituiva un contributo
minimo alla prosperità del paese.
Di fronte alle esigenze americane, gli europei furono obbligati a sotto-
scrivere accordi di pagamento, e i primi a farlo furono gli inglesi con
l’accordo Baldwin-Mellon del 18 giugno 1923.
Il 14 novembre 1925 l’Italia riuscì a ottenere un accordo più vantag-
gioso.
Più a lungo resistette la Francia. La crisi del franco, che coincise con
i successivi governi del ‘Cartello delle sinistre’ dal 924 al 926, rese in-
sieme urgente un appoggio finanziario americano e difficile il rag-
giungimento di un accordo.
In due anni, si succedettero nove ministri delle finanze, e soltanto il
29 aprile del 926 venne firmato il cosiddetto accordo Mellon-Béranger.
Ma la Camera dei deputati si rifiutò di ratificarlo, donde una lunga
diatriba tra le opinioni pubbliche francese e americana.
La cosa più chiara in tutta la faccenda fu che, dal 925, data dell’en-
trata in vigore del piano Dawes, la Germania pagava regolarmente
le sue riparazioni.
Un miracolo?
Una riprova della capacità di pagamento tedesca? In realtà, nel
925 Stresemann scriveva al Kronprinz che il pagamento
delle riparazioni sarebbe divenuto impossibile nel 927.
Il demiurgo che impedì che questa ragionevole predizione si veri-
ficasse, fu ancora una volta l’America.
Gli USA in fase di grande prosperità, disponevano di capitali ec-
cedenti che miravano a investire all’estero. Ora, Hoover aveva
convinto isuoi colleghi che l’esportazione di capitali privati do-
veva essere sottoposta a controlli.
Nell’estate del 921, i tre ministri si erano intesi con il banchiere
Morgan il quale si era impegnato, in nome dei suoi colleghi, a non
investire all’estero senza essersi prima consultato con il dipartimen-
to di Stato; inoltre, non si sarebbero fatti prestiti ai governi e ai cit-
tadini dei paesi che non avessero soddisfatto ai loro obblighi nei
confronti degli Stati Uniti. Così, gli americani rifiutarono prestiti
al Giappone, all’URSS e alla Francia, mentre al contrario la Germa-
nia, che non aveva debiti di guerra verso di loro – e per ovvi motivi
– diveniva l’obiettivo principale degli investimenti americani.
Grazie all’afflusso dei capitali americani verso la Germania, tra il
925 e il 930 questa ebbe a disposizione una cospicua quantità di
divise che le permisero di pagare le riparazioni. Come ebbe a scri-
vere nelle sue memorie il dottor Schacht, allora presidente della
Reichsbank, ‘le spese di riparazione furono in definitiva sostenute
dagli stranieri che ci aprirono crediti’.
Sicché, obbedendo ai disordinati impulsi del business americano,
mentre un impavido governo stava a guardare, venne in essere
uno strano maneggio in cui il denaro girava vorticosamente.
Gli americani prestavano alla Germania.
La Germania pagava le riparazioni agli alleati.
Gli alleati rimborsavano i loro debiti all’America.
…In attesa del secondo tragico epilogo o meglio ‘delirio’, fra
….una birra e un aperitivo……