PIONIERI E NATIVI: John Wesley (20)

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pionieri e nativi 20

 

 

 

 

 

(Le preziose immmagini che accompagnano il

presente post sono di pionieri originari attinen-

ti al periodo & luogo storico trattato…)

 

 

I canti profani del negro americano furono, per molto

tempo, gli unici che si potessero udire fra le comunità

degli schiavi.

Ci vollero infatti poco meno di due secoli prima che i-

niziasse, su larga scala, la conversione degli schiavi al

Cristianesimo, e si cantassero quindi le lodi del Signo-

 

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re. Le resistenze alla conversione erano state forti, so-

prattutto da parte dei piantatori, che ritenevano che la

schiavitù non potesse essere giustificata se le sue vitti-

me non fossero state tenute allo stato selvaggio.

Alcuni gruppi religiosi, e in particolare i Quaccheri del-

la Pennnsylvania, i Battisti e i Metodisti, riuscirono pe-

rò infine ad aver ragione delle resistenze: si rendevano

conto, come ha osservato con amaro realismo LeRoi Jo-

nes, che la schiavitù si sarebbe potuta giustificare sol-

tanto con la possibilità della conversione.

 

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quanto ai piantatori, finirono per comprendere che la

prospettiva della salvezza in un’altra vita avrebbe po-

tuto tenere tranquilli gli schiavi in questa.

Ma non compresero solo questo: capirono anche che

la religione avrebbe potuto essere un efficace strumen-

to di controllo sociale.

Il predicatore avrebbe potuto fornire agli schiavi degli

eccellenti motivi perché essi obbedissero ai loro padro-

ni comportandosi nel modo che a questi faceva più co-

modo.

 

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Cominciò così l’opera di predicazione e di conversione,

soprattutto da parte dei ministri della Chiesa Battista e

di quella Metodista.

Non fu facile, all’inizio, trasformare gli schiavi in qual-

cosa che somigliasse ai ‘buoni cristiani’. Il primo risulta-

to fu comunque un ibrido tra paganesimo e Cristianesi-

mo, fra usanze e riti africani e liturgia cristiana.

 

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In un articolo del 30 maggio 1867 pubblicato su ‘The

Nation’ è descritta una tipica funzione ‘afro-cristiana’:

‘I banchi vengono addossati al muro, quando la funzio-

ne vera e propria è finita, e tutti, vecchi e bambini, uo-

mini e donne, una folla grottesca di giovani azzimati

stando in piedi in mezzo alla stanza cominciano a cam-

minare in tondo, tenendosi stretti l’uno all’altro, strisci-

ando i piedi senza mai sollevarli da terra. Il senso dell’-

avanzare è dato dai movimenti scattanti che agitano i

corpi, presto madidi di sudore.

 

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Talvolta ballano in silenzio, talaltra, mentre avanzano

strisciando i piedi, cantano il ritornello dello sperichil

(spiritual), solo raramente lo cantano per intero.

Ma più spesso quelli che cantano meglio e gli ‘shouters’

ormai stanchi si radunano in gruppo su un lato della stan-

za e provvedono all’accompagnamento degli altri, cantan-

do il motivo conduttore, e battendo le mani, anche sulle

ginocchia.

Il ballo e il canto sono pieni di energia, e quando lo shout

dura fino a notte, il cadenzato e sordo rumore dei piedi

strisciati per terra impedisce di dormire a quanti stanno

entro il raggio di mezzo miglio’.

 

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E’ importante notare che questi primi partecipanti al ‘ring-

shout’ dovevano compiere ogni sforzo per non incrociare

i piedi perché, se così avessero fatto, avrebbero ‘danzato’:

avrebbero cioè reso omaggio al demonio….

Ad essi era infatti stato insegnato che la musica profana

e naturalmente anche la danza erano diaboliche. Persino

il banjo, persino il violino, in cui i negri eccellevano, era-

no strumenti del demonio, e ‘devil song’ o quanto meno

‘sinful’, peccaminosi, erano i canti che per decenni erano

risuonati nelle piantagioni.

 

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Non per nulla John Wesley, il fondatore della Chiesa Me-

todista, i cui inni avrebbero influenzato profondamente

la musica religiosa dei negri americani, aveva detto:

E’ un peccato che Satana (e quel certo Pietro…) debbono

avere tutte le migliori canzoni …..

Gli schiavi dovevano comunque avvertire confusamen-

te che anche le cerimonie come quella sopra descritta a-

vevano qualcosa di peccaminoso, proprio per la loro ori-

gine africana, e dunque pagana.

 

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Probabilmente proprio per questo motivo esse si svolge-

vano di notte, in luoghi appartati (per lo più in baracche

isolate, spesso in mezzo ai boschi, per la naturale paura

di essere spiati dai valorosi ‘uomini bianchi’…), e si ricor-

reva a strani espedienti nella speranza di attutire il ru-

more dei canti e delle danze….(ed anche, perché no, del-

le poesie…..).

Quasi sempre all’entrata della baracca veniva collocata,

capovolta, una tinozza per il bucato, oppure un vaso di

ferro, che, sollevati da terra da un lato, avrebbero dovu-

to ‘inghiottire’ i rumori, spegnendoli.

Era già un sintomo di quel complesso di colpa che avreb-

be afflitto per molti decenni i negri americani, che fino

ad epoca recentissima si sono vergognati (forse è più giu-

sto dire che ciò poteva contribuire all’ennesima umiliazio-

ne da parte dell’ ‘uomo bianco’), poco o molto, della loro

 musica e in particolare del blues e del jazz.

(A. Polillo, Jazz)

 

 

 

 

 

 

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