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Immaginate una città dove nessuno
cammina per le strade.
Dove i marciapiedi sono ripulti come soffitti
e l’insegna del barbiere è immobile
come un cadavere.
Non c’è alito di vento.
Le finestre sui palazzi di mattoni a vista
son chiuse da imposte
e una sola luce risplende nel ristorante
aperto tutta la notte mentre il resto
della città rimane nella sua ombra.
Fra un’ora sarà giorno.
Nel ristorante il cameriere conta gli sgabelli vuoti
e guarda la sua immagine riflessa nelle caffettiere.
Alla radio l’annunciatore dice che gli alleati hanno
avuto un’altra vittoria.
Ci sono state poche perdite.
Un uomo con un cappello a falde larghe e
la donna che gli siede accanto stan bevendo caffè o tè;
dall’altra parte del banco un forestiero li guarda
come se non avesse altro su cui mettere a fuoco
lo sguardo.
Si chiede, forse, se essi aspettano l’arrivo
del pulmann del mattino,
se aspettano dei famigliari che portino loro
notizie importanti.
O forse saliranno da soli sul pulmann,
chiederanno all’autista dove sta andando,
e qualunque sarà la risposta gli diranno
che non sarebbe abbastanza lontano.
Quando arrivano al sorgere del sole
i pulmann sono vuoti come letti d’ospedale –
il ronzio del motore è distante come una voce
che venga dal profondo del corpo.
L’uomo e la donna si sono allontanati a piedi,
verso qualche strada buia,
mentre lo sconosciuto rimane incollato
alla sedia.
Quando raccoglie il giornale del mattino
non è sorpreso di leggere che non ci sarà scambio
di prigionieri,
la guerra andrà avanti per sempre,
i Cardinals vinceranno lo scudetto,
non ci sarà cambiamento di tempo.
(Ira Sadoff, I Nottambuli di Hopper, La poesia del silenzio)