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Un bussare discreto ma risoluto alla porta, e l’abate
entrò.
Gudmundur il Poeta, che stava leggendo a Sturla,
si allontanò, il dito ancora preso tra le parole di quel
sacro scritto.
L’abate si sedette alla finestra e Sturla si accomodò sul
letto per parlargli dei segni su cui aveva meditato.
‘Dio sceglie i suoi e li colma di ardente entusiasmo. Ma
quel fuoco va smorzato perché non distrugga colui che
Dio vuole raggiungere’, spiegò l’abate dopo aver ascol-
tato con amabilità, non priva di riserve, e i suoi occhi
erano intensamente azzurri in quel volto pallido che da-
va l’impressione di poter cambiare colore all’improvviso.
‘Io mi limito a suggerirlo, perché noi che viviamo qui ab-
biamo l’esperienza di tutta una vita per capirlo.
I profeti sono una cosa, e noi un’altra, nel nostro modo
di servire dolce e riservato la stessa potenza. I profeti
afferrano i lampi e hanno visioni che muterebbero noi
in cenere.
Noi ci siamo riuniti per vigilare e proteggere le nostre
vite per poter sopportare quella potenza e addomesti-
care quel fuoco senza far spegnere la brace, e mantenerlo
vivo servendolo instancabilmente e con docilità.
Tutti i giorni sono consacrati a questo e sono suddivisi
in ore in cui siamo chiamati a vegliare e ad accogliere il
dono di essere chiamati al santo servizio con umiltà e
gioia per amore del prossimo.
Io non so per quanto tempo vorrai ascoltarmi parlare di
questo, ragazzo, perché noto che ci sono due forze in te,
e ti prego, figlio mio, di vincere l’orgoglio che tanto più
sminuisce un uomo, quanto più crede di salire in alto.
Più l’orgoglioso cerca di governare il destino altrui, più
si allontana dagli altri.
E questo porta alla tirannia, che finirà per essere la sua
rovina.
Più in alto crede di essere arrivato, più in basso cadrà
in eterno inferno.
Ma ti faccio notare anche un’altra cosa, che non so quan-
to tu possa percepire, anche se la senti nel cuore: è ciò
che porta in tutt’altra direzione e va contro tutti i tuoi
sogni a occhi aperti e alla tua ambizione.
E’ troppo presto per parlarne più a lungo.
E in quella direzione che va la strada che ti condannereb-
be a essere solo, e a vivere nelle grotte o in non so quale
solitaria foresta oscura’.
Tacquero per un po’.
Sturla guardava le pareti bianche della cella, in cerca di
una risposta. Infine ruppe il silenzio.
‘Voi forse non sapete nulla degli orrori che avvengono
nel mondo. Voi vedete i mendicanti e la sofferenza attra-
verso una nebbia di benevolenza.
E’ questo che dà quella particolare luce che avete nei vos-
tri occhi, voi guardate tutto attraverso un velo di bontà,
il vostro spirito è costantemente rivolto verso l’alto. E
quando la miseria grida, voi non sentite che il bel messag-
gio delle intenzioni divine, la santa guida verso il cielo.
E’ là che dobbiamo andare noi tutti, o la maggior parte
di noi, verso la beatitudine eterna.
Salvare il mondo, voi dite, voi che siete un sant’uomo.
A me, che non sono che un giovincello venuto da un’isola
lontana, al nord, sulla riva di quell’oceano glaciale che
non finisce da nessuna parte se non all’inferno.
Che non è di un calore ardente, come ci hanno predicato,
ma di un lancinante freddo.
Questo mi dite.
E perché dovrei pensare così?
Il mondo. Cos’è?
L’universo. Cosa ne dice Dicuil? O Isidoro di Siviglia?
Mio zio Snorri parla del disco del cosmo, ma noi viviamo
su un’isola. Sulla riva dell’oceano.
Marinai che intrattengono la segreta convinzione che il
mondo sia una sfera.
Esattamente come i saggi dell’antichità in Grecia.
E Snorri è un poeta’…………
(Thor Vilhjàlmsson, Cantilena mattutina nell’erba)
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Arrivato a mezzo del cammino della vita, mi sedetti per riposare e riflettere.
Tutto ciò che avevo audacemente desiderato e sognato, l’avevo avuto.
Sazio di vergogna e d’onore, di gioia e di sofferenza, mi domandai:
– E dopo?
Tutto si ripeteva con monotonia esasperante, tutto si somigliava, tutto
ritornava.
I vecchi avevano detto:
– L’Universo non ha più segreti: abbiamo trovato la soluzione di tutti gli
enigmi, abbiamo risolto tutti i problemi. Abbiamo visto con lo spettroscopio
che il Sole è privo di ossigeno, il che non gl’impedisce di bruciare così bene
come l’antimonio nel cloro, o il rame nello zolfo.
– Abbiamo disegnato i canali di Marte, che somigliano spiacevolmente alle
immagini delle meteoriti di Widmannstatten e tuttavia è solo da poco che
sappiamo qual sia l’aspetto dell’interno dell’Africa, e non conosciamo ancora
né il Borneo né i mari polari.
(….) Poi un giorno durante i miei esperimenti il cianogeno, il generatore
del blu, nato dal sale giallo, cominciava a svilupparsi, la combinazione
più innocente di tutte, dove il carbonio puro ha stretto con l’inerte azoto
un’alleanza terribile e senza uguali, che ha obbligato la scienza ad
ammettere la propria ignoranza sulla natura di questo miracolo.
I vapori uscirono dal recipiente e presto mi strinsero alla gola come la
difterite o i miasmi non ossigenati d’un cadavere.
I muscoli del braccio cominciavano a paralizzarsi e provavo fitte nel
midollo spinale. Interruppi l’operazione quando cominciò a sprigionarsi
l’odore di mandorle amare; senza sapere perché mi pareva di vedere
un mandorlo in fiore nel viale d’un giardino e udii la voce d’una
vecchia che diceva:
Su! non ci credere, ragazzo.
E così non ho più creduto che il segreto dell’Universo fosse stato svelato, e
sono partito talvolta solo, talvolta in compagnia, per riflettere sul gran
disordine nel quale, nonostante tutto, finii per scoprire una coerenza
infinita.
Questo è il libro del gran disordine e della coerenza infinita.
Eccolo, il mio Universo, come io l’ho creato, e quale mi s’è mostrato.
Pellegrino, passante, se vuoi seguirmi respirerai più liberamente, perché
nel mio Universo regna il disordine, ed è questo la libertà.
Così vagavo lungo il Danubio, dove tante razze avevano vagato prima di
me, e dove Attila aveva lasciato tracce del suo passaggio.
Vicino a questo fiume
enorme, che nasce in Svezia per finire in Oriente, e va quindi in senso inverso
del Sole – e anche della Terra, il che è strano, non è vero? – vidi alcuni fiori
che nascevano lungo la strada.
Abituato all’eterna ripetizione delle cose di questo mondo, provai una viva
gioia nel trovare una pianta che non avevo mai visto prima, e cioè la
viola delle Alpi, il Cyclamen Europaeum, di cui una specie coltivata,
il Persicum, si trova da dieci anni presso tutti i fiorai.
Fui ripreso dal vecchio impulso di classificare e sistemare, e, sradicare la
pianta, sezionai il fiore e contai cinque stami e un pistillo. Questo non mi
diceva molto, perché a questa classe, alla stessa categoria, appartengono
le specie più disparate, come il Convolvolus, il Solanum, la Scrofularia, e
il Polemonium.
La prima impressione era stata quella della violetta.
Le foglie, i fiori, il profumo, il modo di spuntare dalla terra, tutto faceva
pensare alla violetta, ma non era una violetta.
La radice, col suo disco tondo, ricorda in modo impressionante l’Aristolo-
chia Rotunda, ma non lo è. Per un momento, stavo per classificarla fra le
raffinate orchidee, dal fiore grazioso simile a una farfalla.
Quando guardavo l’Asarum che fioriva nei pressi, sotto i noccioli, ero cer-
to che il mio ciclamino fosse un Asarum, tanto più che quest’ultimo è della
stessa famiglia dell’Aristolochia, e inoltre possiede le stesse proprietà
medicinali del ciclamino: la radice di tutt’e due è lassativa ed emetica.
(A. Strindberg, Inferno)