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Il cuore della Bnl sta a Roma, in due grandi uffici al secondo piano
di una palazzina costruita negli anni trenta: in uno, all’angolo tra via
Veneto e via Bissolati, ci lavora il presidente. Nell’altro, affacciato su
via Bissolati, sta il direttore generale. L’ufficio del presidente è quello
che gode della migliore vista e vanta un David di epoca romana ad
accogliere i visitatori. Il potere stava però nell’ufficio del direttore generale,
eliminato dopo lo scandalo di Atlanta.
Il direttore generale è sempre stato il padrone della banca, dice Nerio
Nesi. In Bnl ha sempre comandato uno solo: il direttore generale, conferma
Luigi Sardarelli. Questa anomalia è frutto di una storia che risale agli anni
Venti, quando la banca si chiamava ancora Istituto Nazionale di Credito per
la Cooperazione. La banca delle cooperative, fondata nel 1913, non riscuoteva
ovviamente le simpatie del regime fascista, ben deciso a stroncare le organizzazioni
sindacali e le associazioni fuori del suo controllo e a impadronirsi di tutti i
gangli dello Stato.
Nel luglio del 1925 fu nominato direttore generale dell’istituto un avvocato
mantovano, Arturo Osio, con il compito più o meno esplicito di liquidarlo.
Osio, però, si trovò nell’ufficio che occupava in piazza Barberini e decise che
era meglio trasformare l’istituto di credito, rendendolo la banca del regime,
invece di lasciarlo morire. La sua abilità manovriera e l’appogio del gerarca
di Cremona Roberto Farinacci convinsero Mussolini ad approvare il
progetto: il 19 maggio 1927 l’istituto venne battezzato Banca Nazionale del
Lavoro e della Cooperazione e Osio ne divenne il padrone assoluto. Sarebbe
rimasto in carica ben 17 anni: solo nel 1942 Mussolini lo licenziò, essenzialmente
per colpire il suo protettore Farinacci. Ma nel frattempo la banca, che nel
1927 aveva appena 300 dipendenti, era diventata un’istituzione di cui i
ministeri, i comuni, l’immenso settore del parastato non potevano più fare
a meno. Il suo attivo patrimoniale si era moltiplicato per dieci in termini reali.
Neppure la guerra e l’occupazione tedesca riuscirono a ferire la Bnl, che pure
era stata lanciata da Osio in stravaganti operazioni nei territori conquistati
dalla Wermacht e aveva poi dovuto dividersi in due tronconi quando era
nata la Repubblica di Salò.
E’ stata questa crescita al riparo dello Stato, lo stretto legame con il Tesoro,
a dare alla Bnl quelle che lo storico Valerio Castronovo definisce le sue
basi centralizzate e il suo ordinamento verticistico. Due caratteristiche
che sopravvivono nel dopoguerra, quando la banca continua a prosperare
grazie a una combinazione di fattori: la gestione delle tesorerie di enti
statali e parastatali, il miracolo economico e una certa professionalità
dei suoi dirigenti.
La Bnl si era storicamente formata con una cultura estremamente gerarchica,
quasi del tipo militare, con un forte spirito di corpo. Tranne pochissime
eccezioni, i dirigenti della banca fino a pochi anni fa venivano dall’interno:
Una novantina di dirigenti, su oltre 20.000 dipendenti che arrivavano ai
vertici dell’istituto di norma dopo trent’anni di carriera caratterizzata in
vicinanza dei più ambiziosi traguardi da una mancata competitività.
Competitività è l’eufemismo usato da Castronovo per descrivere le violente
faide interne tra le diverse cordate. Al contrario di altreistituzioni come la
Banca d’Italia o l’arma dei carabinieri, infatti, lo spirito di corpo e il
professionalismo per mantenere l’autonomia e l’indipendenza della banca
dal potere politico.
Una cordata di grandissimo successo fu, fino al 1981, quella della loggia
massonica P2. Il gran maestro Licio Gelli, oltre ad arruolare nella sua
organizzazione clandestina politici, magistrati e militari, aveva lavorato bene
nelle banche….(e non solo…)
(F. Tonello, Progetto Babilonia)