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Forse Rembrandt era stato invogliato a giocare con le cornici dalla sua
familiarità con un produttore di cornici autentiche: Herman Doomer,
che nel 1640 ritrasse insieme alla moglie, Baertje Martens.
Doomer era nato in Germania, ma nel 1611 si era trasferito ad Amsterdam,
specializzandosi nella lavorazione di cornici in avorio, anche nella
versione più economica rappresentata da stecche di balena annerite.
Probabilmente se la passava piuttosto bene, ma non abbastanza da
entrare nel novero dei ricchissimi personaggi che formavano la gran
parte dei clienti di Rembrandt agli inizi degli anni Quaranta.
Rembrandt, però aveva preso a bottega il figlio di Doomer, Lambert,
ed è possibile che i due ritratti costituiscano un gesto di amicizia.
Trattandosi di opere rembrandtiane, però, i ritratti dei Doomer,
quello di Herman in particolare, sono ricchi di soluzioni raffinate.
Pur rispettando l’assoluta semplicità dell’abito e del contegno di
Herman, l’artista fa assumere al soggetto la stessa posa del suo
autoritratto tizianesco. Herman Doomer, dunque, viene chiamato
a far parte di questa nobile compagnia, una posizione che gli si
attaglia tanto meglio in virtù della sua mancanza di pretenziosità
sociale.
E Rembrandt sa come conferire grandezza anche all’immagine più
umile. Sulla maggior parte del volto di Doomer il colore appare
sottile, applicato in modo fluido e uniforme; ogni ruga, ogni piega
sotto gli occhi, ogni ciuffo di barba sono descritti con cura e
partecipazione.
Ma quando Rembrandt si dedica al collare, la sua esucuzione si
trasforma in un saggio di bravura. Per suggerire le pieghe dell’
estremità inferiore, il pennello, carico di colore, distribuisce un
impasto denso e viscoso, picchiettando con la piatta punta delle
setole il pigmento bagnato per rendere le increspature e i disegni
del tessuto pieghettato.
Nessuno dei suoi contemporanei seppe avvicinarsi all’istintiva
abilità cui Rembrandt riusciva a rendere teatrale la semplicità
senza d’altra parte compromettere l’integrità del soggetto.
In nessun’altra occasione l’artista dimostrò tale capacità come
il doppio ritratto del predicatore laico mennonita Cornelis
Claeszoom Anslo e di sua moglie.
Mercante d’abiti e armatore, l’uomo si era sposato più volte,
abitando case sempre più lussuose. Ora era pronto a trasferirsi
nella nuova dimora che si era fatto costruire sull’Oudezijds
Achterburwal e che era stata portata al termine nel 1641.
Anslo aveva avuto i soldi necessari per liquidare l’enorme debito
di 60.000 gulden accumulato da uno dei suoi figli e al momento
della morte, nel 1646, aveva ancora un patrimonio di 80.000 gulden.
La stola di pelliccia del suo soprabito e di quello della moglie
riescono a rivelare questa prosperità senza derogare in modo
troppo patente all’avversione dei mennoniti per gli atti di crassa
ostentazione.
Anslo commissionò un’incisione che lo ritrasse solo, forse per
distribuirne copie al suo gregge. Rembrandt sottopose all’approvazione
del committente un bozzetto in cui il predicatore appare seduto
allo scrittoio, con una penna nella mano destra, appoggiata sulle
pagine di un libro, e con la sinistra sollevata a indicare elonquentemente
un altro libro, ……..forse la Bibbia……..
(S. Schama, Gli occhi di Rembrandt)