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Su un rilievo, che domina il passaggio obbligato della strada, si trova,
a rinforzo di questa guarnigione, il nostro tenente e la sua truppa che
erano di stanza a Raibl.
Trovammo cataste di legname, predisposte per costruire palizzate,
ai lati della strada, il che denotava che ci si preoccupava di predispor-
re opere di difesa. Notevole era anche, sotto i bastioni, il bel bassori-
lievo, fuso in bronzo, di un leone morente; esso giace con il petto tra-
fitto da una lancia, ma le zampe sono ancora protese sullo scudo
imperiale.
Si tratta di un’altra di quelle frequenti testimonianze, nel territorio del-
le Alpi orientali, del disperato conflitto con gli invasori francesi. Sul
fronte del monumento, scolpito in caratteri dorati, un’iscrizione ricor-
da l’eroica morte di Johann Hermann, capitano dell’i.r. e dei suoi
compagni.
Il passo è stato più volte teatro di tali battaglie.
Nel 1797 Massenna espugnò Pontebba e sconfisse l’arciduca
Carlo a Tarvis, mentre un reparto francese al comando di Serru-
rier, avanzando sul Predil, assalì il forte e catturò o disperse un
gran numero di austriaci che si ritiravano dal Tagliamento lungo
quella strada, con artiglierie e rifornimenti, per ricongiungersi con
l’arciduca.
Subito dopo, lo stesso Napoleone trasferì il suo quartier generale a
Tarvis per una o due notti, durante la sua avanzata su Klagenfurt,
incalzando gli austriaci attraverso la Carinzia e quindi la Stiria, fin-
ché la pace stipulata a Leoben pose fine alla sua marcia.
Nel 1809 la contesa ebbe un carattere diverso e ne furono prota-
gonisti i contadini del Tirolo.
Risulta tuttavia che il presidio di questo passo era affidato a truppe
regolari agli ordini dell’ufficiale del Genio, ricordato nell’iscrizione sul
monumento. Macdonald dall’Italia e Marmont dalla Dalmazia stavano
allora avanzando a sostegno di Napoleone nella campagna ch’ebbe
termine con la battaglia di Wagram e probabilmente furono due dei
reparti di Macdonald, forti ciascuno di 6000 uomini, che attaccarono
simultaneamente il presidio di Malborghetto, in territorio di Pontebba,
e il forte del Predil, che allora sorgeva molto più in basso.
Il capitano Hermann e i suoi uomini perirono coraggiosamente nella
sua difesa e la guarnigione di Pontebba si imolò eroicamente nel me-
desimo intento.
A Unter Preth c’è una piccola locanda.
Non ci eravamo fermati per la cena – che del resto nessuno avrebbe
potuto prepararci – perché era scoppiata una furibonda baruffa fra il
cane di Unter Preth e quello di Raibl, che aveva voluto accompagnar-
ci alla precisa condizione, mai messa in discussione, di potersi sdra-
iare con comodo sul carro non appena c’era un po’ di posto disponi-
bile.
Ci volle mezzo villaggio per separare questi due campioni. Sono inci-
denti comuni lungo queste strade dato che i cani delle locande – al-
meno così pare – non sono disposti ad usare cortesie nei confronti
del loro simili che stanno viaggiando.
Il paesaggio era impressionante nella sua spoglia grandezza.
I versanti delle montagne, quando non scendono verticali, sono co-
stituiti da enormi ghiaioni, sui quali stentano dei radi faggi, già con i
colori dell’autunno e rosseggianti come braci quando vengono illu-
minati dal sole.
Si dice che questa zona sia esentata da ogni genere di imposte in
considerazione dell’estrema povertà del suolo; l’unico terreno colti-
vabile, da noi incontrato, è una striscia erbosa ai lati del torrente che,
nel fondo della gola, corre spumeggiante fra rocce biancastre. Le
frane sono causa, quivi, di frequenti e gravi distruzioni. Giungemmo,
infatti, in un posto dove, da un canalone, era rovinato, in tempi recen-
ti, un ammasso enorme di detriti, sconvolgendo il fondo della gola per
circa un miglio e impedendo il passaggio dell’acqua come una gigan-
tesca diga.
Sul versante opposto dei grandi blocchi di roccia erano stati scagliati co-
me spruzzi fangosi. Se ciò si fosse verificato poche yarde più in basso,
la strada sarebbe rimasta distrutta da quell’impatto terribile. Immaginarsi
lo spettacolo ed il frastuono. Nel canalone lontano, l’origine della catastro-
fe è segnata da una enorme cicatrice. E’ molto piacevole in un bel pome-
riggio come questo, quando ogni cosa è punteggiata d’oro e d’argento,
quando le forze della natura riposano, starsene in fila, come noi, ad os-
servare i segni di quella terrificante devastazione.
Penso però che in primavera, quando si fa minaccioso il pericolo delle
valanghe, chi viaggia sia poco propenso alla contemplazione e cerchi
di fare in fretta il percorso o torni impallidendo sui suoi passi appena o-
de un cupo rimbombo fra quei dirupi sconvolti.
Più avanti la valle si restringe ancora e la corrente impazzisce fra le rocce.
Lo scroscio si perde in un sordo rumorio lontano; se ne cerchiamo l’origi-
ne nulla si vede se non una forra che si restringe in fessura, seminasco-
sta dai cespugli. C’è qui un ponte e sporgendosi oltre il parapetto potete
vedere una voragine che fa venire i brividi, in fondo alla quale qualcosa di
nero si muove.
I resti del vecchio forte si trovano su uno sperone al fianco del pauroso
baratro, che impedisce di avvicinarsi da quella parte, mentre dalla parte
opposta si eleva una parete verticale di roccia dalla quale sarebbe im-
possibile calarsi. Per chi è profano di cose militari appare incompren-
sibile come il forte possa essere stato espugnato dai francesi, fosse-
ro sei oppure settantamila.
Il coraggioso capitano Hermann cadde nell’assalto finale, con la spada
in pugno e si potrebbe credere che avesse atteso che gli fossero ben
vicini.
La vicenda si chiarisce conoscendone i dettagli.
La sera del 15 maggio 1809, l’avanguardia della colonna nemica giun-
se al passo e cercò di difendersi dal fuoco del presidio, apprestando del-
le fortificazioni. Un violento sbarramento dell’artiglieria la costrinse a riti-
rarsi, ma durante la notte furono ultimate le difese e di primo mattino fu
aperto il fuoco contro il forte, senza ottenere però alcun risultato.
Ogni tentativo di avvicinamento fallì con perdite per gli attaccanti.
Si ricorse a delle trattative ma niente poté scuotere il risultato di Her-
mann. Egli rifiutò decisamente di arrendersi.
Si escogitò allora un altro piano.
Il forte di Malborghetto, presso Pontebba, era già caduto e alcuni dei
prigionieri, che vi erano stati catturati vennero inviati al forte in modo
che, conoscendone la sorte e quella del paese, già caduto in mano
nemica, la loro tenacia venisse meno.
La risposta di Hermann fu ferma: ‘La difesa del forte mi è stata affidata.
Non temo la morte, morirò sul campo dell’onore’.
I francesi si prepararono allora all’assalto e fra rulli di tamburo e urla d’-
incitamento vennero mossi disperati attacchi contro la posizione, ma il
cannone e le armi dei difensori li respinsero, tanto che cominciarono a
dubitare di poterla spuntare. Improvvisamente una fiammata divampò
in mezzo alle opere di difesa, accolta con alte grida dai francesi.
Quattro compagnie di guastatori, dopo aver scalato con infinita difficoltà
i dirupi retrostanti, erano riusciti a lanciare della pece incendiata sui rico-
veri della guarnigione. In un attimo tutto andò in fiamme, il fuoco si este-
se con terribile rapidità e l’attacco fu ripreso con rinnovato vigore.
Ridotto alla disperazione Hermann gridò ai suoi: ‘Fuori compagni! Il nemi-
co non deve averci vivi!’. E tutti si lanciarono in disordine e con selvaggio
impeto contro le fitte schiere nemiche. Hermann cadde subito ripetutamen-
te colpito e con lui morirono quasi tutti gli eroici difensori del Predil.
E così quella incombente parete rocciosa, impossibile da scalare, fu la
loro rovina.
Guardammo con rispetto quel luogo selvaggio che sessant’anni prima era
stato avvolto dalle fiamme e risuonava del fragore della battaglia. Se qual-
che disgraziato precipitò in quel cupo abisso fu davvero un terribile destino
il suo.
Gli austriaci, come si è visto, hanno spostato ora la fortificazione a circa
cinque miglia dall’ingresso della gola, sulla sommità del passo, in una po-
sizione difficile per l’invasore eventuale e con maggiore vantaggio per loro.
Dietro il forte, la strada, che si arresta davanti al precipizio, entra in una
breve galleria e vicino, nella roccia, vi è una lapide, sormontata da uno
stemma e recante nome e titolo di un illustre ‘ben nato’, e ora certamen-
te ‘ben morto’, che nel medioevo vi costruì per primo un fortilizio……
(Gilbert/Churchill, Le montagne Dolomitiche)