DUE POESIE PER L’INQUISITORE (modo di filosofare)

Precedente capitolo:

Anima immortale

Prosegue in:

Mentre nascevo

Foto del blog:

Mentre nascevo (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

tc3

 

 

 

 

Il mondo è il libro dove il Senno eterno

scrisse i propri concetti, e vivo tempio

dove, pingendo i gesti e’ l proprio esempio,

di statue vive ornò l’imo e ‘l superno;

perch’ogni spirto qui l’arte e ‘l governo

leggere e contemplar, per non farsi empio,

debba e dir possa: – Io l’universo adempio,

Dio contemplando a tutte cose interno. –

Ma noi, strette alme a’ libri e tempi morti,

copiati dal vivo con più errori,

gli anteponghiamo a magistero tale.

O pene, del fallir fatene accorti,

liti, ignoranze, fatiche e dolori:

deh torniamo, per Dio, all’originale!

(Tommaso Campanella)

 

 

 

 

tc4

 

MENTRE MORIVO

Precedente capitolo:

Le marionette 

Prosegue in:

Mentre morivo (2)  (3)  (4)  (5)  (6)

Foto del blog:

Esther

Bubley &

Vardaman (1)  &  (2) &

Mentre morivo (1)  &  (2)

Da:

i miei libri 

 

mentre

 

 

 

 

 

Quando sono arrivato alla sorgente, sono sceso e ho legato

i muli, il sole era calato dietro un banco di nuvole nere co-

me una catena di monti rovesciata, come una carrata di

cenere scaricata laggiù, e niente vento.

Cash lo sentivo segare già a un miglio di distanza. Anche

se è in cima allo strapiombo sopra il sentiero.

– Il cavallo dov’è?

dico.

– Jewel ha preso e se n’è andato,

dice lui.

– Non c’è nessun altro che lo può acchiappare. Dovrà veni-

re su a piedi, mi sa.

– Io venir su a piedi, col mio quintale e passa?

dico io.

 

mentre

 

– Venire a piedi su per questo maledetto muro?

Se ne va lassù accanto a un albero. Peccato che il Signore

abbia fatto lo sbaglio di dare radici agli alberi e piedi e gam-

be agli Anse Bundren che mette al mondo.

Se solo avesse fatto all’incontrario, non ci sarebbe da preoc-

cuparsi che un giorno questo nostro paese rimanga disbo-

scato. O qualsiasi altro paese.

– Che cosa vuoi che faccia?

dico.

– Che resti qui a farmi spazzar via dalla contea appena

quel nuvolone si rompe?

Anche a cavallo ci sarebbe voluto un quarto d’ora per risa-

lire il pascolo fino in cima alla collina e arrivare alla casa.

Il sentiero sembra un ramo storto sbattuto dal vento con-

tro la scarpata. Sarà una dozzina d’anni che Anse è stato

in paese.

 

mentre

 

E come avrà fatto sua madre a arrivare fin lassù per farlo

nascere, lui che è figlio di sua madre.

– Vardaman è andato a prendere la corda,

dice.

Dopo un po’ appare Vardaman con la corda dell’aratro.

Ne dà un capo a Anse e viene giù per il sentiero, srotolan-

dola.

– Tienila forte,

dico.

– L’ho già segnata sul mio registro, questa visita, sicché la

metto in conto lo stesso, ci arrivi lassù in cima o non ci arri-

vi.

– Ce l’ho,

dice Anse.

– Può cominciare. Venga.

Mi prenda un accidente se capisco perché non la smetto.

Uno di settant’anni, che pesa un quintale e passa, farsi ti-

rare su e giù per un accidente di montagna con una corda.

Sarà perché prima di smettere devo arrivare al traguardo

dei 50.000 $ non riscossi sui miei registri.

 

mentre

 

– Che diavolo le è preso, a tua moglie,

dico,

– andarsi a ammalare in cima a una maledetta montagna?

– Mi dispiace, davvero,

dice lui.

Lascia andare la corda, buttata per terra e via, e si è già

avviato verso la casa.

Quassù in alto c’è ancora un po’ di luce, del colore dei fiam-

miferi di zolfo.

Cash non si volta.

Dice Vernon Tull che porta ogni asse alla finestra perché

lei la veda e dica che va bene.

Il bambino ci raggiunge.

Anse si volta a guardarlo.

– Dov’è la corda?

dice.

– E’ dove l’hai lasciata,

dico io.

– Ma non badare a quella corda. Devo tornarci giù, per

quella scarpata. Non ho nessuna intenzione di farmi tro-

vare qui dal ciclone. Una volta preso l’avvio, chissà dove

accidenti mi ritroverei.

 

4188100573

 

La ragazza è in piedi accanto al letto che le fa vento.

Quando entriamo lei volta la testa e ci guarda.

Sono dieci giorni che è morta. Sarà perché è stata parte

di Anse per tanto tempo che non può neanche fare quel

cambiamento, se cambiamento è.

Mi ricordo quando ero giovane credevo che la morte fos-

se un fenomeno del corpo; ora so che è soltanto una fun-

zione della mente – della mente, dico, di chi subisce il lut-

to.

I nichilisti dicono che è la fine; i fondamentalisti, il prin-

cipio; mentre in realtà non è altro che un affittuario o una

famiglia che se ne va da un appartamento o da una città.

Ci guarda.

Soltanto gli occhi sembrano muoversi.

E’ come se ci toccassero, non con la vista o il senso, ma

come si tocca il getto di una canna, il getto nell’istante del-

l’impatto, dissociato dal boccaglio come se non ci fosse mai

passato.

Anse non lo guarda per niente.

Guarda me, e poi il bambino.

Sotto la trapunta, non è altro che una fascina di stecchi

marci.

– Be’, signora Addie,

dico.

– La ragazza non smette di far vento.

– Come sta, sorella?

dico.

La testa giace sparuta sul guanciale, a guardare il ragazzo.

– Bel momento, ha scelto per farmi venire quassù a scatena-

re una tempesta……

(Prosegue in: Vardaman)

(W. Faulkner, Mentre morivo)

 

  

 

 

 

mentre

 

DUE OROLOGI (5)

Precedenti capitoli:

Gli occhi di Ateget: due orologi (1) &

Dialoghi con Pietro Autier: Due orologi (2) &

Pagine di storia: Due orologi (3) &

Dialoghi con Pietro Autier: Due orologi (4)

Prosegue:

Gli occhi di Atget: Due orologi (6)

Foto del blog:

Le strade del… sono infinite… (1)  (2)  (3)  (4)  (5)  (7)

Da:

 i miei libri

 

due orologi 5

 

 

 

  


Don Juan mi diede allora una nuova versione di quello

che mi era capitato mentre contemplavo l’albero di me-

squite.

Disse che avevo cominciato percependo l’energia dell’-

albero. A livello soggettivo, tuttavia, io ritenevo di stare

Sognando in quanto utilizzavo le tecniche del Sognatore

per percepire l’energia.

Egli asseriva che l’uso della tecnica del Sogno nel mon-

do della vita di ogni giorno era uno dei stratagemmi più

efficaci dei vecchi stregoni.

Rendeva la percezione diretta dell’energia simile a un

Sogno, invece che totalmente caotica, fino al momento

in cui qualcosa risistemava la percezione stessa e lo stre-

gone non si trovava di fronte ad un mondo nuovo – pro-

prio quello che era accaduto a me.

Gli rivelai il pensiero che mi era frullato per la mente,

e che avevo appena osato concepire: che il paesaggio da-

vanti ai miei occhi non fosse un Sogno, ma non apparte-

nesse neanche al nostro mondo quotidiano.

– Certo che no,

affermò.

– “Te lo sto dicendo da tanto e tu continui a pensare che

io stia solo ripetendolo a me stesso. So quanto sia diffici-

le per la mente accettare che delle possibilità irrazionali

diventino reali.

Ma i mondi nuovi esistono!

Sono avvolti gli uni intorno agli altri, come gli strati di

una cipolla. Il mondo in cui noi viviamo non è che uno

di questi strati”.

– “Vuoi dire, don Juan, che il fine dei tuoi ammaestra-

menti è quello di prepararmi ad andare in quei mon-

di?”.

– “No. Noi andiamo in quei mondi solo come esercizio.

Quei viaggi sono gli antecedenti degli stregoni di oggi.

Noi facciamo gli stessi Sogni degli antichi stregoni, ma

a un certo momento deviamo su un nuovo territorio.

Loro preferiscono le variazioni del punto di unione, e

così erano sempre su un terreno più o meno conosciu-

to, prevedibile.

Noi preferiamo i movimenti del punto di unione.

Gli antichi stregoni inseguivano l’ignoto umano.

Noi inseguiamo l’ignoto non-umano”.

–  Io non ci sono ancora arrivato, vero?

– “No, tu sei ancora agli inizi. E agli inizi tutti devono

passare per gli stessi stadi degli antichi stregoni. Do-

potutto, sono stati loro a inventare il Sognatore”.

– “A che punto, allora, comincerò a imparare il tipo

di Sogno dei nuovi stregoni?”.

– “Hai ancora molta strada da fare. Ci vorranno anni,

forse. Inoltre, nel tuo caso, devo essere paricolarmen-

te attento: come carattere, tu sei molto legato agli an-

tichi stregoni. Ti ho già detto ciò in precedenza, ma tu

sei sempre riuscito a evitare le mie indagini. Qualche

volta penso perfino che ti stia consigliando qualche

energia aliena, ma poi respingo l’idea. Tu non sei am-

biguo”.

– “A cosa ti riferisci, don Juan?”.

– “Involontariamente hai fatto due cose che mi tengo-

no sulle spine: la prima volta che hai Sognato sei an-

dato con il tuo corpo energetico in un luogo al di là

di questo mondo.

E per conto tuo!

E poi sei andato con il tuo corpo energetico in un altro

luogo al di là di questo mondo, ma separandoti dalla

consapevolezza del mondo di tutti i giorni”.

– Perché ti dovrebbe preoccupare, don Juan?

– “Sognare è troppo facile per te. E se non ci si sta atten-

ti, può essere la fine.

Porta all’ignoto umano.

Come ti ho già detto, gli stregoni moderni ambiscono

ad arrivare all’ignoto non-umano”.

–  Cosa sarebbe l’ignoto non-umano?

– “La libertà dell’essere umano. Mondi inimmaginabi-

li che sono oltre la sfera dell’uomo, ma che noi possiamo

ancora percepire. E’ qui che gli stregoni moderni prendo-

no un’altra strada. Prediligono ciò che si trova fuori del-

la sfera umana. E fuori della sfera umana ci sono mondi

che includono tutto, non soltanto il regno degli uccelli o

degli animali o dell’uomo, anche quello dell’uomo scono-

sciuto.

Io sto parlando di mondi come in quello in cui viviamo:

mondi totali, con infiniti regni”.

– “Dove si trovano quei mondi, don Juan? Nelle posizio-

ni diverse del punto di unione?”.

– “Esatto. In posizioni diverse del punto di unione, ma

posizioni che gli stregoni ottengono con un movimento

del punto di unione, non con una variazione.

Entrare in quei mondi è un tipo di Sogno che fanno solo

gli stregoni di oggi. Gli antichi stregoni ne rimanevano

lontani, in quanto richiede un enorme distacco e nessu-

nissima presunzione. Un prezzo che loro potevano per-

mettersi di pagare.

Per gli stregoni che praticano il Sognare, ai nostri gior-

ni, Sognare è la libertà di percepire mondi al di là dell’-

immaginazione”.

– Ma qual è l’utilità di questa percezione?

– “Me l’hai già fatta, oggi, questa stessa domanda. 

Parli come un vero mercante!

Qual è il rischio, tu vuoi sapere, quale la percentuale del-

l’utile sul mio investimento?

Mi farà migliorare la mia posizione?

Non c’è possibilità di risposta.

La mente del mercante fa il commercio.

Ma la libertà non può essere un investimento.

La libertà è un’avventura senza fine, in cui rischiamo

le nostre vite e molto di più per alcuni momenti di qual-

cosa che va oltre le parole, i pensieri o i sentimenti”.

– “Non ti ho fatto la domanda con questo spirito, don

Juan. Ciò che voglio sapere è: quale potrebbe essere la

forza per stimolare un pigraccio scansafatiche come

me a fare tutto questo?”.

– “La ricerca della libertà è l’unica forza stimolante che

conosca.

Libertà di volare in quell’infinito là in alto;

Libertà di dissolversi;

Libertà di distaccarsi da tutto;

Di essere come la fiamma di una candela che, nonostan-

te il paragone con la luce di miliardi di stelle, rimane in-

tatta perché non ha mai finito di essere più di quanto

non fosse: solo una candela”.

(C. Castaneda)

(Prosegue…) 

 

 

 

due orologi 5

 

DUE OROLOGI (3)

Precedenti capitoli:

Dialoghi con Pietro Autier 2:

L’oca 

Gli occhi di Atget: Due orologi (1) &

Dialoghi con Pietro Autier: Due orologi (2)

Prosegue in:

Dialoghi con Pietro Autier: Due orologi (4)

Foto del blog:

Bell

William

Da: 

 i miei libri

 

due orlogi 3

 


 

 

(Da: Due orologi (1/2))

 

Improvvisamente, riacquistò compostezza.

Il tremito si acquietò.

Strinse i denti e abbassò le ciglia.

Non aveva esaurito le risorse difensive; nella sua mente

aveva preso forma un altro progetto, un altro piano di

battaglia.

Sollevando la punta dell’assicella, la spinse con cautela

tra le macerie a fianco del fucile e la premette contro il

ponticello. Poi, lentamente, la fece ruotare finché non

sentì di averlo superato, chiuse gli occhi, e la spinse con-

tro il grilletto con tutta la sua forza!

Non vi fu esplosione; il fucile si era scaricato cadendo-

gli di mano nel momento del crollo. Ma aveva fatto il

suo dovere.

…..Il tenente Adrian Searing, comandante dell’avampo-

sto da quella parte della linea che il fratello Jerome ave-

va attraversato in missione, sedeva in ascolto dietro il

terrapieno.

Neppure il più debole dei suoni gli sfuggì; il grido di

un uccello, lo squittio di uno scoiattolo, il fruscio del

vento tra i pini, tutto veniva registrato con ansia dai

suoi sensi tesi.

D’improvviso, proprio davanti alla linea, udì un rom-

bo debole e confuso, simile al frastuono, attutito dalla

distanza di un edificio che crolla.

Il tenente guardò meccanicamente l’orologio.

Le sei e diciotto.

In quel momento gli si avvicinò a piedi un ufficiale

proveniente dalle retrovie, che salutò.

– Tenente,

disse l’ufficiale,

– il colonnello vi ordina di far avanzare la linea e di

saggiare il nemico, se lo trovate. In caso contrario,

continuare ad avanzare fino a che non verrà ordina-

to di fermarvi. C’è motivo di credere che il nemico si

sia ritirato.

Il tenente fece un cenno col capo e non parlò; l’altro

ufficiale si congedò.

Un attimo dopo, gli uomini, informati a bassa voce

dai sottufficiali del loro dovere, avevano lasciato le

postazioni di trincea e stavano avanzando in forma-

zione di pattuglia, coi denti serrati e il cuore in tu-

multo.

La linea di pattuglia attraversava rapida la pianta-

gione e punta verso la montagna. Passano ai lati del-

l’edificio in rovina senza degnarlo di uno sguardo.

A breve distanza, in retrovia, giunge il comandante.

Getta uno sguardo curioso al rudere e vede il corpo

di un morto mezzo sepolto da travi e assi.

E’ talmente coperto di polvere che l’uniforme grigia

sembra quella di un confederato. Ha il volto bianco

e giallastro, le guance incavate, e le tempie, infossate

anch’esse e profondamente segnate dalle rughe, ren-

dono la fronte orribilmente stretta; il labbro superio-

re, leggermente alzato, mostra i denti bianchi serrati.

Ha i capelli fradici, il viso mandido come l’erba co-

perta di rugiada che si trova tutt’intorno.

Dal suo punto d’osservazione, l’ufficiale non scorge

il fucile; apparentemente l’uomo è rimasto ucciso

dal crollo dell’edificio.

– Morto da una settimana,

tagliò corto l’ufficiale e proseguì, tirando fuori distrat-

tamente l’orologio, come per verificare la propria va-

lutazione del tempo.

Le……

(A. G. Bierce)

(Prosegue…)

 


 

 

due orlogi 3

QUARTO SOGNO: così fra i geni della foresta mi volli ritirare

Precedente capitolo:

Terzo Sogno…..

Prosegue in:

Quarto Sogno: e la Natura con Dio ammirare &

La Strada & la Povera Cosa

Foto del blog:

La Strada (1)  (2)  (3)  (4)

Da:

i miei libri 

 

così fra i geni della foresta mi volli ritirare

 

 

 

 

 

Mancano particolari sul come Sebastiano Procolo venne a

scoprire la faccenda dei geni e del vento Matteo.

Secondo quello che raccontò Vettore, una sera Procolo sa-

rebbe stato attirato da un lume che attraversava il bosco e

l’avrebbe raggiunto senza farsi vedere.

Era il Bernardi che, alla luce di una lanterna, riconduceva a

casa tre bambini smarriti nella foresta; tre collegiali compa-

gni di Benvenuto. Il Bernardi avrebbe loro raccontato la sto-

ria, senza immaginare che il colonnello lo seguiva e ascolta-

va tutto.

 

così fra i geni della foresta mi volli ritirare

 

Altri sostengono che il colonnello conosceva fin dai primi

tempi il linguaggio degli uccelli e da loro avesse avuto la

rivelazione. Tutte e due queste ipotesi non sono persuasive.

Ma è indiscutibile che il Procolo non ci mise molto a conosce-

re la verità, senò non sarebbe successo quello che poi avven-

ne. Era una verità vecchia, ch’era stata detta più volte, ma a

cui nessuno credeva.

 

così fra i geni della foresta mi volli ritirare

 

Per quanto sembri inverosimile, ancor oggi nella Valle di Fon-

do non c’è forse nessuno che se ne sia reso seriamente conto;

e anche se verranno lette queste pagine, probabilmente sarà 

lo stesso, tanto sono grandi tra quella gente i pregiudizi e la

superstizione.

Fin dai secoli scorsi, tutti si erano accorti che il Bosco Vecchio

era diverso dagli altri. Magari non lo si confessava, ma questo

era un convincimento comune.

Che cosa ci fosse di diverso nessuno però lo sapeva dire.

Fu solo all’inizio del secolo scorso che la realtà venne chiara-

mente scoperta. 

Cosa ci fosse di speciale nel Bosco Vecchio lo capì benissimo

l’abate don Marco Marioni durante un viaggio in quella valla-

ta. Il fatto non gli parve gran che strano e breve è il cenno da

lui fatto nelle ‘Note geologiche e naturalistiche di un sacerdo-

te pellegrino’ pubblicate nel 1836 a Verona. 

Sono notizie succinte ma molto chiare:

 

così fra i geni della foresta mi volli ritirare

 

‘Piacquemi, in quel di Fondo, pascere la mia vista di una mira-

bile visione; visitai una ricca foresta, che quegli alpigiani deno-

minavano Bosco Vecchio, singolare per l’altezza dei fusti, su-

peranti di gran lunga il campanile di San Calimero. 

Come io ebbi a notare, quelle piante sono la dimora dei geni,

quali trovansi anche in boschi di altre regioni. Gli abitanti, a cui

chiesi notizia, pareano ignari.

Credo che ogni tronco sia un genio, che di raro ne sorte in forma

di animale o di uomo. Sono esseri semplici e benigni, incapaci

di insidiare l’uomo….’

 

Il Marioni (assieme ad un eretico…dicono…) fu il primo e

ultimo naturalista che scrisse dei geni del Bosco Vecchio.

La notizia non era assolutamente nuova perché a diverse

riprese, anche anticamente, si era sentita ripetere nelle vie

di Fondo. 

Era stato forse qualche boscaiolo, convinto dell’evidenza 

dei fatti, a mettere in giro la voce; tutti però l’avevano pre-

sa per una diceria senza costrutto.

 

così fra i geni della foresta mi volli ritirare

 

Praticamente i successivi proprietari del bosco e gli abitan-

ti della vallata si erano resi conto che quegli alberi avevano

qualcosa di non comune; e ciò contribuisce a spiegare il fat-

to che nessuno aveva eseguito dei tagli.

Ma quando si parlava di geni, erano risate di scherno.

(prosegue)

(D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio)

 

 

 

 

così fra i geni della foresta mi volli ritirare

 

TERZO SOGNO: … e la portarono via…

Precedenti capitoli:

Gli impiegati

Della compagnia

Rubarono tutta la frutta dagli alberi.. ..

E la portarono via….

Prosegue in:

Quarto Sogno….

Da:

i miei libri

 

zr_congo_sunset-canoe-silo

 

 

 

 

 

Vivevano come ciechi in una vasta stanza, consci soltanto di quel

che veniva in contatto con loro, ma incapaci di una visione d’insie-

eme delle cose.

Il fiume, la foresta, tutta la grande terra palpitante di vita, erano co-

me un enorme vuoto.

Perfino la brillante luce del sole non svelava nulla d’intelligibile.

Le cose apparivano e sparivano davanti ai loro occhi in modo scon-

nesso e senza scopo.

Il fiume pareva venire dal nulla e fluire verso il nulla….

Scorreva attraverso un vuoto…..

Da quel vuoto, a volte, uscivano canoe, e uomini con lance in ma-

no gremivano improvvisamente il piazzale della stazione…..

Erano nudi, d’un nero lucido, adorni di conchiglie candide e di fi-

lo di ottone splendente, le membra perfette…

Quando parlavano emettevano uno sgraziato balbettio, si muove-

vano con fare sostenuto e mandavano occhiate rapide e selvagge

dagli occhi irrequieti e stupiti…..

Quei guerrieri si accovacciavano in lunghe file, quattro o più, da-

vanti alla veranda, mentre i loro capi stavano delle ore a contrat-

tare con Makola una zanna d’elefante…..

Kayerts dalla sua sedia osservava le trattative senza capir nulla…

Li fissava con i suoi rotondi occhi azzurri e gridava a Carlier:

– Ehi, guardi, guardi quel tale laggiù e quell’altro a sinistra!

Ha mai visto una faccia simile? Oh, che bestione ridicolo!

Carlier, fumando tabacco locale in una corta pipa di legno, si da-

va delle arie arricciandosi i baffi, e, esaminando i guerrieri con in-

dulgenza altezzosa, diceva:

– Belle bestie! Hanno portato qualche osso?

… Ma, forse potrei mandargli la mia Sara…, lei saprebbe come

ragionarci e prenderli questi energumeni……

(J. Conrad, Un avamposto del progresso)  

 

 

 

 

iujk

 

 

Commenti…. senza commenti

 

 

… Negli ultimi anni, i mercati del carbonio si sono spostati dal regno

della teoria a quello della realtà, grazie in particolare al Protocollo

di Kyoto, che ha fatto seguito alla Convenzione quadro sul cambia-

mento climatico dell’ONU.

Secondo questo patto, 38 paesi industrializzati dovranno, tra il 2008 e

il 2012, ridurre le proprie emissioni di gas serra media mente del 5,2%

rispetto al livello del 1990. L’impegno è diventato vincolante all’inizio del

2005, dopo che è stato ratificato dal necessario numero di nazioni; a

ottobre 2007, oltre l’Unione europea, avevano aderito al Protocollo 174

paesi.

Le riduzioni di emissioni previste dagli accordi internazionali di Kyoto

sono solo una piccola parte di quanto gli scienziati ritengono neces-

sario per limitare l’aumento della temperatura media mondiale entro i

2° C e per evitare che il sistema climatico Terra si modifichi in modo

potenzialmente catastrofico.

Lo spunto per un mercato del carbonio deriva da un esperimento ri-

volto alla commercializzazione di crediti di biossido di zolfo e di pro-

tossido di azoto e mirato ad affrontare il problema delle piogge aci-

de.

Il Clean Development Mechanism (Cdm): consente ai paesi vinco-

lati di far fronte al proprio impegno realizzando progetti per la ridu-

zione delle emissioni nelle nazioni in via di sviluppo che aderisco-

no al Protocollo ma non sono attualmente tenute a ri spettare limi-

ti di emissione; la Joint Implementation (Ji): consente ai paesi vin-

colati di raggiungere i loro obiettivi investendo in progetti che ab-

battono le emissioni di altre nazioni partecipanti; l’Emissions

Trading (Et): autorizza lo scambio tra paesi membri di quote dei

propri obiettivi nazionali….

 

diamir1-U43010693802729K0E-U43020477968311En-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443

 

 

….. Guardiamo alla realtà specifica di uno di questi progetti:

 

Sebbene il 94% della popolazione congolese non sia raggiunta dalla

rete elettrica, come al solito gli interessi economici delle lobby politi-

che locali si combinano con quelle degli investitori internazionali, del

bisogno di energia del c.d. mondo sviluppato, del bisogno di acquisi-

re certificati di sviluppo pulito (secondo quanto previsto da CDM, os-

sia il Clean Development Mechanism previsto dal Protocollo di kyoto)

per compensare l’eccesso di produzione di anidride carbonica da par-

te degli stati che aderiscono a Kyoto.

Il meccanismo previsto dal Protocollo consente infatti agli stati virtuo-

si che rispettano i loro limiti di emissioni di CO2 di vendere tali crediti

agli stati che invece non rispettano i loro. Così, gli stati maggiormente

inquinanti, guarda caso quelli più ricchi, hanno gioco facile: acquista-

no crediti, e virtualmente rispettano Kyoto. Nel caso di Grand Inga, tut-

tavia, non solo il progetto idroelettrico si presta all’innesto di questo ge-

nere di commercio, ma fa pensare che l’energia prodotta verrà inca-

nalata in reti che la porteranno dritto dritto in Europa.

Un po’ beffardamente per le popolazioni locali. Una rete di 3.500 Km

porterà l’energia elettrica in Sudafrica, una verso la Nigeria. Un’altra,

con i suoi 5.600 Km giungerà fino all’Egitto. Da qui ai paesi del Medi-

terraneo

il passo è breve.

 

IMPATTI:

 

Nel febbraio 2008 è stato portato a termine lo

studio di prefattibilità di Inga 3, la diga che dovrebbe entrare in moto en-

tro il 2018 e destinata a diventare la pietra miliare di Grand Inga. Ad in-

crociare le dita e pregare perché si verifichi un improbabile ripensamen-

to non ci sono solamente le centinaia di tribù e popolazioni che si ve-

drebbero strappare ettari ed ettari di foresta (non solo quella che ospite-

rà le centrali idroelettriche ma anche quella che lascerà il posto alle nume-

rose linee di trasmissione che distribuiranno l’energia), ma anche una flo-

ra ed una fauna unica. Non serve decantare il pregio ambientale di una

delle foreste più incontaminate del Pianeta (non esattamente così negli

ultimi anni) e patrimonio mondiale di biodiversità, nessuno fatica ad im-

maginarsi quanto possa valere la foresta del Congo.

E come questa le altre foreste africane. Secondo le stesse linee guida

della Banca Mondiale il progetto di Grand Inga, come ogni altro, dovreb-

be prevedere l’informazione delle popolazioni locali sulle implicazioni

connesse alle costruzioni.

Sono perfino previste compensazioni pecuniarie per le tribù che vivono

del sostentamento che traggono dalla foresta. Il consenso informato è

addirittura un obbligo previsto dal diritto internazionale quando a repen-

taglio viene messa la sopravvivenza di tribù come quelle dei Pigmei.

Oltre a loro, indifesi quanto e più di loro ci sono gli animali. Tanto più che

in diverse foreste del Congo vivono specie rare come l’elefante della fo-

resta, il pavone congolese, l’antilope bongo, l’okapi, il bufalo della fore-

sta.

Difficile che non vengano spaventati dai lavori di costruzione e dalle for-

ze della sicurezza privata che vigileranno sui progetti. Grand Inga, pro-

babilmente si farà. E’ gia stata pensata, e la macchina dell’interesse

(non certo pubblico) è sempre difficile da fermare.

 

 

 

 

 

fiume_del_congo

 

SECONDO SOGNO: ma gli androidi sognano pecore elettriche? (2)

Precedenti capitoli:

Secondo sogno (1) &

Primo Sogno &

Le vie dei canti: i coloni (6)

Prosegue in:

Terzo sogno: Rubarono tutta la frutta dagli alberi…& 

Le vie dei canti: i nativi (8)

Foto del blog:

I nativi (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

 10639543_1510037065911159_1901056063598090721_n

 

 

 

 

 

La logica scolastica diceva che , se non era già stato fatto , voleva dire

che non era fattibile. D’altro canto, affermare ,come facevo , che l’arte

delle rinomate grotte della Dordogna seguiva gli stessi criteri e la stes-

sa logica dell’arte degli aborigeni australiani o dei boscimani del deser-

to del Kalahari suscitava scandalo e anche risentimenti.

La scoperta di paradigmi universali proponeva una dimensione difficile

da afferrare , in un mondo umanistico, più descrittivo che analitico, abi-

tuato a definire soprattutto caratteristiche locali, e a cercare più le diffe-

renze che le affinità.

Nell’arte dei primordi troviamo infatti archetipi e paradigmi del nostro es-

sere e che abbiamo ancora profondamente dentro di noi . L’arte rupe-

stre è un fenomeno mondiale comune alle popolazioni non letterate che

inizia con l’Homo sapiens e viene sovente a cessare quando la gente

che la pratica acquisisce una forma di comunicazione del tipo che

chiamiamo scrittura…

In moltissimi complessi d’arte preistorica ed etnologica , in tutti i conti-

nenti e in tutte le categorie ricorrono tre tipi di segni grammaticali diver-

si tra loro: Pittogrammi, figure nelle quali riteniamo di riconoscere forma

identificabili con oggetti reali o immaginari, animali uomini o cose.

Ideogrammi, segni ripetitivi che vengono talvolta definiti come dischi,

frecce, rami, bastoncini.

Psicodrammi, segni nei quali non si riconoscono e non sembrano rap-

presentati né oggetti né simboli. Sono slanci, violente scariche di ener-

gia, che potrebbero esprimere sensazioni quali vita o morte o odio, o

anche esclamazioni o auspici .

(E . Anati – Verso una nuova lettura dell’arte preistorica – Le Scienze 1998)

 

Tentiamo di svelare parte della nuova frontiera della comunicazione e del

viaggiare, o forse se ci è più familiare, ‘navigare’. La scoperta di mondi che

si celano in queste caverne del futuro. Lentamente con passo esitante ed

indeciso, esploriamo questa ghirlanda di simboli che provengono dallo

schermo e dopo, una volta addentrati all’interno della grotta, diventano un

groviglio di ideogrammi, pittogrammi e psicodrammi. Lo stupore è il mede-

simo del bambino a cui nella culla vengono applicati dei giochi didattici per

stimolare la sua emotività visiva e non solo. Si rimane affascinati, increduli.

Si prova anche un certo imbarazzo, pare cosa incredibile che si possa in-

teragire in un solo istante con migliaia di informazioni diverse digitando u-

na singola parola.

Ed a ogni ‘cunicolo’ che si apre si possono fare scoperte affascinanti o al

contrario si può lasciare la propria impronta per gli altri ‘cavernicoli’ di pas-

saggio. Per la celebrazione dei riti in onore della caccia, della terra, della

fertilità, del dominio, del potere, ….. per gli Dèi. Tutto appare o può appa-

rire incredibile. Ma i nuovi sacerdoti, maestri di cerimonia, detentori di

questo potere regale che corre sempre più veloce in fibre ottiche di miliar-

di di ragnatele invisibili attorno alla nostra capanna, quali altre sorprese

sapranno dispensarci, oltre alle cattedrali custodi della liturgia e della cele-

brazione per questi deserti che sono i nostri villaggi?

Di quale tipo di alimento si nutrono queste immense torri, parabole, alberi

di ferro in cima a montagne di cemento?

Di che cosa si cibano queste nuove forme inorganiche a cui ci sforziamo

di attribuirgli una propria intelligenza se non addirittura una primordiale for-

ma di coscienza?

Cosa infondono nei nostri spiriti già provati, in un villaggio globale sempre

più estraneo all’anima del mondo?

Su quali intenti fondano la loro cultura teologica o scientifica?

Quale sogni sapranno donarci queste cattedrali del tutto, dove tanti pelle-

grini si accalcano per l’illusione di una nuova presa di coscienza. L’illusio-

ne di un futuro appena sperato e sognato …. ma mai raggiunto. L’illusione d

el nuovo protagonismo all’ombra del sapere e della conoscenza.

No!

Sogno altri viaggi, altri mondi, altre fantasie, anche quando non ho mezzi

per concedermele.

Sogno il sogno del sogno.

Quando un poco bastava per farci socchiudere gli occhi e immaginare quella

neve, quei venti, quei mari, quegli imperatori, quei filosofi, quelle spie, quei

poeti …. e con essi tutti i personaggi che affollano il nostro ‘io’.

Quello che fummo siamo  o saremmo stati.

Tutte quelle fantasie a cui segretamente ci siamo ispirati, a cui ci siamo mo-

dellati. Perché erano e sono parte di noi. Per non parlare poi di tutte quelle o-

pere, colori, forme, e talvolta anche odori che abbiamo provato assieme ai

brividi, all’èstasi, alle vertigini ….  dinnanzi all’arte.

I primordi dell’immateriale sulla materia che prende forma. La scrittura in as-

senza di numero e regola. Quanti poemi dinnanzi a questo sé primordiale.

Quante volte si è rimasti sospesi in una sorta di cunicolo metafisico di fron-

te a determinate forme di colori, immagini, volti, opere. E’ come se stessi-

mo contemplando noi stessi in mille forme o volti differenti. Siamo sempre e-

sistiti e esisteremo per sempre. E quando poi a distanza di anni e decenni

ripercorriamo gli stessi sentieri, strade, panorami e forme la certezza di

quel primo sé unico e originario non ci abbandona in virtù della sua forza e

consistenza.

Tutto il resto sono solo ricordi che attraversano queste pareti di roccia color

metallo, per lasciare di nuovo forma e presenza su una caverna troppo fred-

da per essere sognata, su un villaggio troppo distante per essere immagina-

to nella simmetria di un uguale che è la realtà ancora non del tutto compre-

sa. Non del tutto imparata nei suoi millenari meccanismi che ci vogliono su-

periori e mai inferiori.

Evoluti e mai arretrati. Intelligenti e mai ….. idioti. Dinnanzi ad una natura che

non può pensare vedere e neppure parlare.

 

E’ mia convinzione che le macchine non possono essere dotate di originalità

nel senso che intende Wiener quando sostine che “le macchine possono tra-

scendere, e di fatto trascendono, alcune delle limitazioni dei loro progettisti,

e nel far ciò esse possono essere efficaci sia pericolose” .

Una macchina non è un genio, non lavora per virtù magiche, non possiede

una volontà e, con buona pace di Wiener, da essa non esce niente che vi

sia stato messo dentro, a parte naturalmente i rari casi di malfunzionamen-

to .

(R . Hofstadter – Godel, Escher, Bach – Samuel 1960)

 

Mi propongo di considerare la domanda: “Le macchine possono pensare?”

(R. Hofstadter – Godel , Escher , Bach – A. Turing, Mind magazine 1950)

 

….Si ritorna qui al misterioso comportamento collettivo delle formiche le

quali possono costruire formicai enormi e intricati benché circa 100.000

neuroni del cervello di una formica quasi certamente non contengono al-

cuna informazione sulla struttura del formicaio. Come viene costruito al-

lora il formicaio? Dov’è contenuta l’informazione? Si rifletta in particolare

dove si possa reperire l’informazione che descrive un arco nella costru-

zione dei loro piccoli cunicoli. Essa deve trovarsi nella colonia in qual-

che forma diffusa: nella distribuzione delle caste, nella distribuzione del-

le età e probabilmente in gran parte delle stesse proprietà fisiche del

corpo delle formiche. In altri termini l’intenzione tra le formiche è deter-

minata dal fatto di avere sei zampe dalle loro dimensioni, e via dicen-

do tanto quanto dall’informazione immagazzinata nel loro cervello.

Potrebbe esistere una colonia artificiale di formiche? (!!!)

(R. Hofstadter – Godel, Escher, Bach)

 

….Garson Poole stava seduto al tavolo della cucina a sorseggiare il

suo caffè di fronte a Sarah.

 I tecnici se ne erano andati da parecchio.

–  Non farai altri esperimenti su di te, vero? – chiese Sarah ancora in

preda all’ansia.

Poole disse con voce stridula – Vorrei controllare il tempo. Farlo scor-

rere al contrario. Potrei tagliare un segmento del nastro, pensò e riat-

taccarlo al contrario. La sequenza causale scorrerebbe in senso in-

verso, per cui io percorrerei a ritroso la scala che scende dal tetto,

fino alla porta con una spinta aprirei una porta chiusa chiave, cam-

minerei all’indietro verso il lavandino, dove prenderei una pila di

piatti sporchi. Mi siederei a questo tavolo di fronte alla pila di piatti,

e riempirei ogni piatto con il cibo rigurgitato dal mio stomaco ….

Poi trasferirei il cibo nel frigorifero. Il giorno dopo toglierei il cibo

dal frigorifero, lo impacchetterei, porterei i pacchetti al supermar-

ket, distribuirei il cibo qua e là sugli scaffali  E infine, al bancone

principale, mi darebbero dei soldi prendendoli dal registratore di

cassa.  Il cibo verrebbe impacchettato con altro cibo in grandi

scatoloni di plastica, e trasportato fuori città nelle piantagioni

idroponiche sull’Atlantico, e lì sarebbe riattaccato agli alberi e

gli arbusti o ai corpi di animali morti o spinto in profondità den-

tro il terreno.

Ma cosa dimostrerebbe tutto questo?

Sarebbe solo un nastro video che scorre al contrario …..

Non ne saprei di più di quanto ne so ora , e non è abbastanza.

Ciò che voglio, pensò è cogliere la realtà definitiva e assoluta,

per microsecondo. Dopo niente avrà più importanza conoscerò

tutto; non ci sarà più niente da capire o da vedere.

Potrei provare a fare un’altra modifica, si disse. Prima di prova-

re a tagliare il nastro. Produrrò dei nuovi fori e vedrò cosa suc-

cede. Sarà interessante perché non saprò in anticipo cosa signi-

ficano i fori che io stesso avrò applicato.

Usando l’estremità di un microstrumento , praticò diversi fori , a

caso, sul nastro. Il più vicino possibile all’analizzatore…. non vo-

leva aspettare .

– Mi chiedo se lo vedrai anche tu – disse a Sarah. Evidentemente

no, per quanto poteva congetturare –

– Potrebbe apparire qualcosa – aggiunse .

– Volevo solo avvisarti; non voglio che ti spaventi.

– Oh , Garson – disse Sarah con voce metallica.

Esaminò il suo orologio da polso. Passò un minuto, un altro minuto

ancora .

E poi ……

Al centro della stanza apparve uno stormo di anatre verdi e nere.

Schiamazzarono eccitate, si sollevarono da suolo, svolazzarono con-

tro il soffitto in una fremente massa di piume e ali, frenetica nel suo

impulso, nel suo istinto di scappare via.

– Anatre – disse Poole, meravigliato.

– Ho praticato un foro corrispondente a un volo di anatre selvatiche.

Adesso vedeva qualcos’altro. Una panchina in un parco su cui era se-

duto un vecchio, trasandato, che leggeva un giornale spiegazzato. Il

vecchio guardò in alto, e riuscì vagamente a distinguere Poole; gli sor-

rise per un istante con i denti rovinati, poi tornò a leggere il giornale ac-

cartocciato.

– Lo vedi? – chiese Poole a Sarah.

– Vedi anche le anatre?

In quel momento le anatre e il vagabondo nel parco scomparvero.

Non rimaneva nulla. L’intervallo dei fori era già passato.

– Non erano reali, vero? – disse Sarah.

– E allora come …..

– Neanche tu sei reale – rispose a Sarah.

– Tu sei un fattore di stimolo nel mio nastro della realtà. Un foro che

può essere coperto di vernice. Esisti anche in un altro nastro di real-

tà  oppure esisti in una realtà oggettiva?

Non lo sapeva; non poteva dirlo. Forse non lo sapeva neanche Sarah.

Forse lei esisteva in un migliaio di nastri di realtà,  forse in tutti i nastri

di realtà che fossero mai stati realizzati .

– Se io taglio il nastro – disse lui – tu sarai dappertutto e in nessun luogo.

Come il resto dell’universo . Almeno fin quando io ne sono consapevole.

(P. K. Dick – La formica elettrica)

(G. Lazzari, Il Viaggio)

 

 

 

 

 

ea15

 

PRIMO SOGNO: il principe delle tenebre nel suo regno

Precedenti capitoli:

Frammenti di un sogno  &

Le vie dei canti

Prosegue in:

Le vie dei canti: i coloni (6)  &

Old Ord river blues (la ballata di Reg)

Foto del blog:

Le vie dei canti  (1)  &  (2)  &

Old Ord river blues  (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

800px-Turpan-bezeklik-pinturas-d01

 

 

 

 

 

Possa tu liberami da questo profondo nulla,

dall’abisso tenebroso che è tutto consunzione,

che altro non è se non torture, ferite fino alla morte,

e dove non si trovano né soccorritore né amico!

 

Giammai, giammai vi si trova salvezza.

Tutto è pieno di tenebre…,

tutto è pieno di prigioni; non vi si trova uscita alcuna,

e si colpiscono e feriscono tutti coloro che vi arrivano.

 

Arida di siccità, bruciata dal vento torrido,

alcuna verzura mai vi si trova.

Chi me ne libererà, e di tutto ciò che ferisce,

e chi mi salverà dall’angoscia infernale?

 

E piango su me stesso: ‘Ch’io ne sia liberato,

e delle creature divorantesi fra loro!

E i corpi degli umani, gli uccelli dello spazio,

e i pesci dei mari, le bestie e i demoni,

chi me ne allontanerà e mi libererà

dagli Inferi distruttori senza anfratti né uscita?’.

 

800px-Turpan-bezeklik-desierto-d03

 

Daccapo, mentre era seduto all’assemblea, l’Apostolo disse ai

suoi discepoli: ‘Per quanto riguarda il Principe che è a capo di

tutte le Potenze delle Tenebre, cinque forme si trovano nel suo

corpo, secondo la forma del sigillo delle cinque creature che

sono nei cinque mondi dell’Oscurità.

La sua testa ha la figura di un leone generato dal mondo del

Fuoco; le sue ali e le sue spalle hanno l’aspetto di quelle di un’-

aquila, conformemente all’immagine dei figli del Vento; le sue

mani ed i suoi piedi sono quelli (di) demoni, conformemente al-

l’immagine dei figli delle Tenebre.

Se vuole, procede sui suoi piedi dal mondo del Fumo.

Quando lo desidera, quattro con mani e piedi alla maniera dei

figli del Fuoco. Se vuole, si leva con le sue ali alla maniera dei

figli del Vento. Se vuole, striscia sul suo ventre alla maniera dei

figli delle Tenebre.

Queste cinque forme si trovano in lui.

Vi sono ancora in lui tre cose.

La prima: le sue Potenze.

La seconda: egli suoi sortilegi. Quando vuole, esorta se stesso

e si nasconde alle sue Potenze. Se così gli piace, si manifesta a

loro e colpisce e uccide con la sua magia. Della sua parola, che

emette frequentemente, si serve come di un incantesimo.

La terza proprietà è che il suo corpo è così solido che tutti i denti

e gli artigli delle sue Potenze non lo possono penetrare. Tutti i cor-

pi di ferro e di rame non avranno su di lui alcun potere; non potran-

no distruggerlo, perché è stato formato e modellato dal pensiero

insensibile della Materia e della Guerra, la madre dei demoni e de-

gli Spiriti Malvagi signori della guerra e del Male.

Vi sono ancora in lui tre cose.

Quando lo desidera, il suo fuoco brucia e tutto il suo corpo diventa

come del fuoco. Quando vuole, emette del freddo e tutto il suo cor-

po diventa gelido come neve.

In terzo luogo: quando le sue Potenze stanno davanti a lui, le guar-

da e nota che cosa hanno in cuore; dal loro viso, nota che cosa han-

no in cuore, per tutto il tempo che stanno davanti a lui. Se si ritirano

da davanti a lui e si allontanano da lui, non sa che cosa hanno in

cuore. In lui, nessuna vita; ma la sua vita è la bile della collera, visi-

bile sulla sua faccia, e nella sua paura (…) prigione che è davanti a

lui.

Ecco, non rivestite, miei diletti, le forme di quel Principe, la radice di

tutti i mali che uccidono (ed hanno ucciso uno dei nostri Inviati Divini)

e il centro di ogni abominazione. Ma guardatevi dalla loro compagnia

e dalla loro (falsa) dottrina malefica che abita nel Corpo dell’immagi-

ne poi penetra nel vostro corpo, affinché il Male non si mescoli a voi,

non corrompa la vostra purezza e la vostra dolcezza e non cambino

la vostra Verità in Menzogna. Al contrario, diventate zelanti e Perfetti

(perché la loro Calunnia vi perseguiterà) in presenza dello Spirito

della Verità che si è rivelato in voi dal cuore del Dio che vi ha ele-

vato alle Altezze e che vi ha destinato il compito della Vita nei

secoli e nei secoli….

 

(Salmo Manicheo di Turfan)

 

(Prosegue…)

 

 

 

 

 

800px-Bezelik_Caves_01