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Il missionario della Chiesa d’Inghilterra, uno di quei missionari vecchio
stampo, che tornava dal nord dopo un periodo di vacanza in Gran Bre-
tagna, fece una conferenza, dopo cena, nella sala da pranzo del rom-
pighiaccio. Divenne furioso perché qualche buontempone aveva mes-
so in disordine le sue diapositive sull’Artico inserendovi delle istantane-
e molto disinibite di ragazze nude dell’Africa occidentale di proporzioni
incredibilmente grandi.
Ogni volta che una di queste prosperose ragazze compariva, tra una
diapositiva e l’altra delle rovine di una chiesa dell’Inghilterra del sud e
della sua abitazione nell’Artico, scoppiava un pandemonio, che lascia-
va il missionario nervoso, con la paura di proseguire e nello stesso
tempo di interrompere la proiezione delle sue diapositive e di ammet-
tere così la sconfitta. Dopo che una mezza dozzina di diapositive era
stata proiettata nell’ordine che egli aveva accuratamente predisposto,
tornò padrone dei suoi nervi e disse: “Ecco qui la vecchia e cara si-
gnora esquimese che si prende cura per me della casa e della mis-
sione”. Egli schiacciò il pulsante e, voilà un’altra di quelle prospero-
se veneri comparve sullo schermo.
Il missionario era livido e il chirurgo della nave scoppiò a ridere così
forte che il suo amico e complice del delitto, il dentista, dovette dar-
gli una pacca sulla schiena. La malinconica moglie del missionario
non si divertiva altrettanto! Mi sarebbe difficile dire che io ammirassi
la maggior parte dei missionari conosciuti durante il soggiorno nell’-
Artico, soprattutto perché essi dimostravano così poca gentilezza
e carità gli uni nei confronti degli altri, specialmente di quelli di fede
opposta. Essi permettevano che le loro animosità storiche si intro-
mettessero nel loro rapporto globale con una remota comunità di
persone che erano convinte di possedere già una propria religio-
ne che per loro andava benissimo.
Alla fine, i diversi ordini missionari si combatterono gli uni contro
gli altri così disperatamente e senza esclusione di colpi per strap-
parsi i convertiti, che tutto quello che riuscirono a ottenere fu di far-
si allontanare dall’Artico, aprendo quella vasta terra, quasi comple-
tamente vergine, a un futuro incerto portato da gruppi evangelici e
di altre nuove religioni. Questi, a loro volta, si gettarono sul territo-
rio con le loro chitarre e i cappelli da cowboy cercando di acquisi-
re una posizione di vantaggio l’uno a spese dell’altro.
Gli Inuit dicono che in questo periodo lo sciamanesimo è di nuovo
in aumento. Lo sciamanismo nato nell’Artico deve essere stato una
religione solida per aver resistito così a lungo nel tempo con le pro-
prie forze. Si immagini una religione senza una gerarchia sacerdo-
tale, senza testi scritti, senza un capo della chiesa, senza raccolta
di offerte, senza chiesa! Una religione che si basa su una sola per-
sona, uomo o donna, che istruisce nella propria zona un adepto
per volta. Una religione che si prevede possa ricrearsi per mezzo
di questo noviziato e continuare a sopravvivere durante tutto l’alter-
narsi delle generazioni e resistere e rimanere significativa.
Lo sciamanismo è riuscito a sopravvivere fin dai tempi del paleoli-
tico, quando gli uomini primitivi hanno lasciato i loro numerosi di-
segni sciamanistici nelle caverne della Francia centrale e della
Spagna settentrionale. Lo Sciamanismo può e deve coesistere
con il cristianesimo nella mentalità degli Inuit.
Perché non dovrebbe?
Che razza di religione da poco sarebbe lo sciamanismo se dopo
16000 anni di esistenza certa fosse stato distrutto da una manciata
di nuovi litigiosi missionari che hanno cominciato a vagare nella va-
stità dell’Artico meno di un secolo fa?
LO SCIAMANO E’ SANO DI MENTE?
Essere uno sciamano richiedeva una notevole forma fisica, così
come numerose abilità. Gli Eschimesi riconoscevano come scia-
mani solo persone in perfetta salute, i Nanet si aspettavano da
loro una fibra forte e tra i Saami, in tempi antichi, solo una perso-
na al massimo del vigore fisico e mentale poteva essere un ‘ser-
vitore degli spiriti’. Ad esempio, un uomo sopra i cinquant’anni,
specialmente se aveva perso i denti, non avrebbe mai potuto
ricoprire questo ruolo. Ma gli sciamani, tuttavia, avevano in talu-
ne circostanze comportamenti estranei a individui in perfetta
salute; le loro esclamazioni e i movimenti incoerenti, la bava al-
la bocca, lo sguardo vacuo e la totale perdita di conoscenza nel
momento topico del rituale hanno sempre colpito l’attenzione de-
gli osservatori.
Nel diciannovesimo secolo a ciò si dava usualmente una spie-
gazione ovvia e semplice: gli sciamani erano abili e smaliziati
ciarlatani, che simulavano la possessione da parte di ‘demoni’
per approfittare della credulità della tribù. All’inizio del nostro se-
colo, tuttavia, prevalse un’opinione differente: i ‘servitori degli
spiriti’ divennero persone dalla mente instabile, neuropatici.
Benché quest’idea fosse ancora inespressa in Mikhailovskii, nel
1905 N. Kharuzin proponeva ‘di riconoscere che i veri sciamani
sono soprattutto persone neuropatiche, nei quali le deviazioni ner-
vose si sono sviluppate in una particolare direzione’.
V. B. Bogoraz sosteneva che, tra gli sciamani a lui noti, ‘molti era-
no praticamente isterici e alcuni erano letteralmente mezzi matti’,
per dichiarare nel 1910 che ‘lo sciamanesimo è una forma di reli-
gione creata da una selezione delle persone mentalmente più in-
stabili’. G.V. Ksenofontov pubblicò nel 1929 ‘The Cult of Madness
in Ural-Altaic Shamanism. D.K. Zelenin scrisse, nel 1935, ‘che un
individuo sano non avrebbe neanche potuto diventare uno sciama-
no; solo un neuropatico, che ‘gli spiriti continuamente invadono
poteva infatti curare chi soffriva di ‘possessione spiritica’ senza
rischi per la propria incolumità’. Afferma Zelenin: “Lo sciamano
è un neuropatico, costretto dal clan ad assumere una peculiare
funzione medica: assorbire personalmente i demoni della malat-
tia dai sofferenti della comunità”.
Teorie simili prevalevano anche tra gli studiosi dell’Europa occi-
dentale. Il danese Ohlmarks, per esempio, collegava lo sciamane-
simo al durissimo clima artico, che egli affermava produrre aber-
razioni mentali adatte al suo sviluppo. Troviamo comunque in To-
karev la concezione più chiara e concisa dello sciamano neuro-
patico: “Tutti gli osservatori unanimamente riportano che ‘il ser-
vitore degli spiriti’ è soprattutto un individuo nervoso, isterico,
soggetto ad attacchi, occasionalmente un epilettico. La stessa
seduta sciamanica ha molte similitudini con un attacco di isteria”.
Il carattere ereditario dello sciamanesimo portò, in parecchie po-
polazioni, alla credenza che le speciali qualità mentali tipiche del-
lo sciamano si trasmettessero dai genitori ai figli. A.V. Anokhin
scrisse, nel 1929, che tali individui ‘ricevono la predisposizione
alla vocazione sciamanica solamente dai loro antenati, attraver-
so un disturbo nervoso, l’epilessia. Contro questa temuta e spes-
so fatale malattia, i nativi non hanno altro rimedio che la seduta,
che offre all’epilettico un certo sollievo dall’affezione. Le osserva-
zioni mostrano che, mentre esercita, lo sciamano non è malato’.
Dunque, secondo Anokhin, una persona diventa ‘servitore degli
spiriti’ per ragioni puramente psicologiche. Dunque per conclude-
re questa prima parte, secondo questi emeriti studiosi, gli sciama-
ni erano persone dalla mente aberrata, e questa ipotesi, mai del
tutto provata, si affermò trionfalmente passando da un’opera all’-
altra.
SECONDO QUESTI STUDIOSI, DUNQUE, GLI SCIAMANI ERA-
NO PERSONE DALLA MENTE ABERRATA. Come avviene spes-
so nell’ambito scientifico, un’opinione consolidata non viene più
messa in discussione; così anche il rinomato neuropatologo S.N.
Davidenkov,nel 1947, parlava dello sciamanesimo come di un
‘culto dell’isteria’, ‘una nevrosi organizzata, che assume una for-
ma stabile e definitiva’. La visione dello sciamano come individuo
mentalmente disturbato regnò nell’ambito scientifico per quasi
mezzo secolo, e anche se studiosi come Shirokogorov, Koso-
kov e Suslov non lo accettarono, le loro obiezioni furono per lo
più ignorate.
In occidente, uno dei primi a rifiutare questa tesi fu Chadwick nel
1936, ma le sue critiche non portarono comunque alla crisi di tale
teoria. Solo negli ultimi venti o trent’anni si è verificata una vera e
propria svolta interpretativa: l’assunto secondo il quale la mente
dello sciamano è caratterizzata da deviazioni rispetto alla norma
non viene più considerato soddisfacente da molti studiosi. Ciò-
nonostante, l’idea dello sciamano come individuo nevrastenico
non è stata del tutto abbandonata.
Qual’è l’ipotesi corretta?
Lo sciamano è sano di mente?
E’ il momento di avere una risposta chiara a questa domanda.
Non si tratta infatti di una figura peregrina nella storia dell’umanità:
‘il servitore degli spiriti’ è una persona che ha assunto una funzio-
ne molto importante all’interno del proprio orizzonte culturale. La
teoria che lo vede come un semplice malato di mente risulta dun-
que semplicistica e in conflitto con tutta una serie di fatti che ci
accingiamo ad esaminare. Per demolire la tesi dello sciamano
come individuo nevrastenico (in balia di nevrastenici e non solo).
Innanzitutto il materiale etnografico non accredita alcuna base
‘biologica’ alla cosiddetta malattia sciamanica, che apparente-
mente compare negli anni della maturazione sessuale. Ci so-
no certamente molte testimonianze secondo le quali la malat-
tia comincia a manifestarsi nel futuro sciamano durante la pu-
bertà, ma la letteratura abbonda anche di notizie su persone in
cui questi disturbi ebbero inizio all’età di venti, trenta o persino
quarant’anni.
Un ‘Selkup che diverrà sciamano si ammalerà a diverse età, a
14 anni o 15 anni, ma anche più tardi, a 20 o 21 anni’, scrive
E.D. Prokof’ Eva. E leggiamo in Anokhin: ‘L’inizio della
chiamata allo sciamanesimo varia tra i 6 e i 50 anni di età.
La più alta percentuale la riceve nel ventesimo’. Le afferma-
zioni di questo tipo sono moltissime e, in base al materiale in
mio possesso, un buon numero di sciamane uzbeche furono
afflitte dalla malattia ben dopo il matrimonio, quando avevano
già avuto da uno a tre figli. Incontrai personalmente una di es-
se, alla quale gli spiriti erano apparsi intorno ai 60 anni. Quin-
di, la cosiddetta malattia sciamanica non è necessariamente
e naturalmente connessa con i cambiamenti corporei legati
all’età e si può presumere che dipenda da fattori di diversa na-
tura.
Risulta necessario risalire alle origini della civiltà umana.
Tanto per cominciare, nella remota antichità si pensava che
pazzia e disordine mentale fossero causate dal volere degli
spiriti, perciò una persona ‘posseduta’ sarebbe dovuta sveni-
re e avrebbe dovuto assumere comportamenti inspiegabili in
una mente sana. La necessità di avere attacchi e di manife-
stare sintomi di pazzia potrebbe dunque essere stata sugge-
rita allo sciamano dalle tradizioni della sua gente. Chi fosse
stato scelto dagli spiriti, infatti, sarebbe caduto preda di attac-
chi non perché epilettico o nevrotico, ma perché sapeva, fin
dall’infanzia, che essi colpiscono sempre e evitabilmente co-
loro che sono destinati a diventare ‘servitori degli spiriti’.