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Al di là del mare: un americano (5)
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Al di sopra delle grandi vette (1) &
Al di sopra delle grandi vette (2)
Da:
…. Somiglianza dell’Europa: contese senza fine, un milione di uomini
incessantemente in armi dalle due parti del Potomac, e da qui, militari-
smo, convulsioni interne, reazione sociale. La vittoria dell’Unione avreb-
be non solo salvato la democrazia americana per l’oggi, ma l’avrebbe
preservata per i tempi futuri, ed essa avrebbe potuto allora passare al-
l’offensiva e dare il suo aiuto ai popoli d’Europa il giorno in cui nel Vec-
chio Continente si dovessero combattere le decisive battaglie per la
disfatta delle tirannidi e l’avvento della libertà…
Così Lincoln si levava, con l’impressionante realismo dei visionari, a
spingere lo sguardo non solo al di là dai confini del suo Continente, ma
addirittura oltre il tempo, verso i secoli venturi. Portandosi ad un’altezza
infinita ponderava il futuro e tracciava le direttrici della politica americana
per un secolo a venire.
Certo non poteva valutare appieno il continente misterioso che da quell’-
altezza riusciva a intravvedere: in esso vi erano specchi e foreste e su
molte aree gravava pauroso l’ignoto; forze oscure e latenti vi si sarebbe-
ro scatenate, che egli non poteva per anco misurare. Ma l’audacia e l’-
immensità della sua prospettiva lo elevavano sopra tutti i politici della
sua era, sopra il dignitoso e prestigioso Jefferson Davis, sopra l’abile e
astuto Seward, sopra il Sud e il Nord, nella visione della grande Demo-
crazia capace di guarire da sé con pazienza e perseveranza le sue
piaghe e di porgere al mondo una mano fraterna.
Al servizio di questa causa Lincoln recava le sue doti rare di carattere:
la schiettezza e l’onestà, la bontà profonda, la sincerità, la fermezza.
Paziente e comprensivo ma saldo; umile e modesto ma pieno di digni-
tà; portato istintivamente a valutare con esattezza la natura umana e
capace di trarre da ogni individuo il meglio, egli era il più indicato per
trattare con gli uomini, il più adatto ad amalgamare e far lavorare as-
sieme persone diverse e che talora si detestavano.
Se Davis fu mai capace di creare un vero governo ‘di gabinetto’, Lin-
coln invece non lavorò mai che sulla base di una scelta équipe. A
differenza del suo grande avversario, non fuggiva gli uomini di sal-
do carattere e di forte personalità, ma cercava di averli vicini a sé;
sapeva come prendere ciascuno per il suo verso, soggiogarlo e
porlo al lavoro; non imponeva mai: argomentava, discuteva e per-
suadeva.
Pochi statisti furono come lui abili ed esperti conoscitori di uomini.
Pronto a transigere su tutto, era inflessibile sulle questioni di princi-
pio; sapeva convincere, ma possedeva, sotto il guanto di velluto, un
pugno d’acciaio.
La gente semplice del suo Illinois lo amava.
Egli era salito in alto senza staccarsi da loro, era rimasto ‘l’onesto
Abe’, il buon avvocato della povera gente, il figlio del popolo nato nel-
la capanna di tronchi, sulla selvaggia frontiera. Non era diventato una
macchina politica, era rimasto un uomo. E in certi momenti la sua ca-
pacità di comprendere e di soffrire, che non si era lasciata ottundere
dalla politica, lo assillava. Allora egli sentiva profondamente la misera e
il mistero della condizione umana e cadeva in crisi profonda, inconso-
labile malinconia (che qualche odierno imbecille potrebbe confondere
per ‘depressione’).
Come tutti gli uomini capace di ironizzare, pronti alla battuta e allo scher-
zo, il suo animo celava una vena di tristezza, e spesso in lui il riso pale-
se nascondeva, occulte, le lacrime… Egli aveva sognato una patria
grande per la sua benevolenza e la sua bontà, ed ecco: era costretto a
guidare un popolo che stava per impugnare le armi. Aveva amato la pa-
ce, e stava per divenire il condottiero di una tra le guerre più tremende e
inesorabili. Aveva amato ed amava tutti gli uomini, e stava per scagliar-
ne una parte contro un’altra. Sì, in certi momenti la tristezza lo assaliva
e, forse, presentimenti oscuri si affacciavano ancora informi al suo ani-
mo pieno di infinita pietà per tutti gli esseri viventi.
Il cocchio si avvicinava al Campidoglio di cui ora era possibile vedere
chiaramente la grande cupola in costruzione, con solo il basamento già
terminato. Non era quello il simbolo dell’Unione, ancora soltanto per me-
tà edificata e già minacciata di distruzione?
I soldati vegliavano ai crocevia.
Quando Lincoln era partito in treno da Springfield pioveva. La folla muta,
ammassata attorno alle rotaie nel giorno tetro e grigio, aveva notato sul
suo viso una espressione di tristezza sconfinata quasi tragica.
Poi il treno si era avvicinato lentamente, si era allontanato.
Giunto a Filadelfia, Lincoln era stato avvertito che in Baltimora, città su-
dista, si tramava per assassinarlo in occasione del suo passaggio. Già:
oltre la Pennsylvania c’era la Linea Mason e Dixon, ed oltre quella linea
c’era il Sud.
Washington stava là, come un posto avanzato in mezzo ad un territorio
potenzialmente nemico. Così egli aveva dovuto traversare Baltimora in
segreto e di notte, ed era arrivato a Washington quasi di nascosto alle
sei del mattino.
Ora il cocchio presidenziale era giunto al Campidoglio.
Nel luogo classico ove tutti i Presidenti avevano prestato giuramento, sul-
la scalinata est, era stato costruito un palco; due batterie di artiglieria vigi-
lavano l’edificio: tiratori scelti erano appostati alle finestre e sui tetti.
Poi il Presidente trasse un fascio di carte e con voce chiara, limpida, sen-
za enfasi, piena di fermezza, cominciò la lettura…..
Concittadini degli Stati Uniti; sembra esista un sentimento di apprensione
tra la popolazione degli Stati del Sud, che, in seguito all’avvento di un Go-
verno Repubblicano, la loro proprietà, la loro pace e la loro sicurezza per-
sonale abbiano ad essere minacciate. Non vi è mai stato alcun ragione-
vole motivo per simile preoccupazione… Io dichiaro che non ho alcuna
intenzione di interferire, né direttamente né indirettamente, nell’istituzione
della schiavitù in quegli Stati ove essa esiste. Credo di non avere alcun
diritto legale di far ciò, e non ho alcuna inclinazione a farlo. Io, ritengo,
però, che secondo la legge universale e la Costituzione, l’Unione di que-
sti Stati sia perpetua. La perpetuità è implicita, anche se non espressa-
mente citata, nella legge fondamentale di tutti i governi delle nazioni.
E’ sufficiente dire che nessun governo correttamente stabilito ebbe mai
nella sua legge istitutiva alcuna clausola alla Costituzione ed alle leggi,
l’Unione è tuttora intatta; ed io farò tutto quanto sta in me, come la Co-
stituzione stessa espressamente mi impone, affinché le leggi dell’U-
nione siano regolarmente applicate in tutti gli stati. Per far ciò non c’è
bisogno di spargimento di sangue o di atti di violenza: e non ve ne sa-
ranno, a meno che l’autorità nazionale non vi si veda costretta.
Il potere che mi è stato dato sarà usato allo scopo di tenere, occupa-
re e possedere la proprietà e le località appartenenti al Governo, ma a
parte ciò non vi sarà invasione, né uso della forza contro o tra la gente
di alcuna località. Nelle vostre mani, miei concittadini scontenti, e non
nelle mie sta la tremenda possibilità della guerra civile. Il Governo non
attaccherà voi (anche se in questi giorni funesti io vedo lo spettro della
schiavitù come un male…)…
(R. Luraghi, Storia della Guerra Civile Americana)