NELLA FATTORIA INDUSTRIALE (2)

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La teoria critica ci permette di spiegare perché la presenza

a tavola di un antispecista spesso causi reazioni di rabbia.

Il gesto dei commensali, immagine microsociologica della

società, ripete il rituale del dominio sulla natura che qui si

esprime, attraverso il consumo, nella forma della sottomis-

sione dell’individuo animale come ‘vittima’.

La carne e gli altri ‘prodotti animali’ sono ‘simboli conden-

sati’ che riflettono il potere della società umana sull’animale.

Chi si sottrae alla complicità del potere sugli animali, smen-

tisce le strutture di potere interspecifiche.

 

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Chi non consuma carne (ed altre parti del corpo animale)

non si siede a tavola e ciò spiega la ripravazione della socie-

tà contro i vegani, il fatto che essi vengano tacciati di ‘estre-

mismo’, di cattivo gusto e di godere di scarsa salute: essi di-

mostrano chiaramente e in modo innegabile la possibilità

di una vita senza sacrificio animale, mettendo così a rischio

il ‘sortilegio’ associato al ‘carattere di feticcio della merce’

animale (..e non…).

La decostruzione della ‘merce animale’ ne mostra il carattere

cosale come oggettivazione di rapporti e interessi sociali.

 

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La prassi quotidiana del consumo di parti del corpo animale

(..e non ….), la sua permanenza storica e il suo carattere totali-

tario, lasciano poco spazio alla riflessione critica; troppo abi-

tuata la coscienza, troppo profondo il rapporto che gli animali

intrattengono con noi in quanto risorse di piacere per scopi

umani-alimentari-scientifici, troppo impermeabile a obiezioni

e trasformazioni è l’ordine sociale dei rapporti uomo-animale.

Secondo la Scuola di Francoforte, il sempre-uguale (nel nostro

caso, l’agressione all’individuo animale) rende molto difficile

per la coscienza la capacità di porsi in ascolto dell’altro.

La sottomissione degli animali, potremmo sostenere con le

parole di Adorno, appare agli uomini come l’invarianza in

quanto tale, come il sicuro possesso che, nella loro ‘vita offe-

sa’, vedono come un proprio bisogno, poiché la loro falsa

coscienza teme costantemente ‘di perdersi nell’altro’. 

La naturalizzazione del potere sociale nasconde il fatto che

esso è, in realtà, un costrutto.

 

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La dissociazione dell”altro animale’ non sarebbe così radicata,

non sarebbe così permanente, se fosse un processo puramente

cognitivo.

La codificazione della dicotomia uomo-animale beneficia dei 

processi sociali che Bourdieu descrive come ‘somatizzazione

dei rapporti sociali di dominio’. Attraverso un atto di violenza

da parte del mondo sociale, i corpo individuali sono


Virtualmente forniti di un programma di percezione, di valu-

tazione, di azione (che) funziona come una seconda natura,

cioè con la forza autorevole e (apparentemente) cieca di un

istinto o di un’immagine fantastica …costruita….


Gli schemi della percezione, del giudizio e dell’azione del

mondo sociale, a cui gli individui umani subordinano in mo-

do pre-riflessivo i propri corpi socializzati, sono resi possibili

da ‘meccanismi concettuali di mantenimento’.

Per concludere dalle osservazioni di Bourdieu, si può afferma-

re che i concetti dominanti, i quali – soprattutto nelle scienze

sociali ma anche in filosofia e, entro limiti, nelle scienze natu-

rali – contrappongono antiteticamente ‘umano’ e ‘animale’,

sono distorti poiché solitamente chi li usa


Si espone a usare come strumenti di conoscenza schemi di

percezione e di pensiero che dovrebbe trattare come oggetti

di conoscenza.


….Infatti le categorie applicate hanno sempre tracciato un ….

confine tra gli ‘umani’ e gli….’animali’…… 

(Nell’albergo di Adamo)


 

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(Il gregge si unisce…..,

così come è suo dovere,

e il buon pastore lo conta

come pecunia

del ricco padrone,

…così come si deve!

Nella notte profonda

che ora diviene

solo tormento,

il pastore comanda

al fedele cane…,

di navigare nello scuro mare.

La sua Terra deve liberare

da chi la vuol azzannare.

Per un lupo che non è più bestia,

ma solo un incubo

che attende vendetta.


Sarà che son io che li ho creati

e poi anche allevati.

I loro racconti mai morti

son diventate rocce nascoste

di tante anime sospese,

sacrificate nel folle momento

di un terremoto figlio

del loro tempo.

Sarà che son io,

che li ho visti parlare,

l’ululato muto è spirato,

soffocato nell’urlo violento

di un intero popolo

che grida contento.

Sarà che son io,

che ho visto quel vile,

sommesso chiuso nell’ovile,

e nel perimetro ristretto

vicino ad un tempio.

Di guardia solo un pastore,

cane fedele a tutte le preghiere,

….a contare i miseri agnelli,

rubati e pascolati

come tanti denari.

Pecunia di Dio

e di un cane pastore,

ora non morde ma conta le ore

mentre veglia la croce. 

(G. Lazzari, Frammenti in Rima, 8 , 62/63)





 

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NELLA FATTORIA INDUSTRIALE (2)ultima modifica: 2012-06-28T12:00:00+02:00da giuliano106
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