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Leucippo di Mileto e il suo allievo Democrito erano contemporanei
di Empedocle, ma più giovani.
Leucippo non solo inventò l’idea dell’atomo ma anche, si dice, in-
trodusse due idee sulla visione che sono cruciali per ciò che se-
gue.
La prima è che la maggior parte delle esperienze sensoriali sono
essenzialmente passive. Noi esploriamo attivamente il nostro mon-
do fin dove arriva la punta delle nostre dita; tutte le altre sensazio-
ni scorrono dal mondo esterno ai nostri sensi, che in qualche modo
le comunicano alla mente.
Questo è abbastanza facile da immaginare quando annusiamo un
fiore: esso emana piccole particelle che profumano l’aria, e noi le
percepiamo con un organo di senso quando la inaliamo.
Può anche spiegare come facciamo ad udire, se crediamo che esi-
stano atomi di suono, come i commentatori successivi certamen-
te fecero.
Ma la vista presenta un problema unico, perché come si fa spie-
gare un’immagine con una qualunque sorta di emanazione?
La seconda idea di Leucippo risponde a questa domanda.
Pare abbia insegnato che sotto l’influenza della luce la superfi-
cie di ogni oggetto visibile produca continuamente sottili veli di
materia, forse non più spessi di un atomo, che si staccano e con-
servano la loro forma mentre viaggiano in ogni direzione a una
velocità immensa.
Sebbene essi possano essere piuttosto distanti nello spazio, arri-
vano insieme nel tempo, e in tal modo la nostra visione di una
scena mutevole e quasi continua, come ciò che vediamo al cine-
ma.
Abbiamo bisogno di una parola per un’immagine simile.
Il termine greco è éidolon, ovvero immagine; in seguito, in latino
vennero chiamate simulacra, e ancora più tardi specie, col signifi-
cato di apparenze, ma a quel punto era cambiato il concetto che
stava dietro l’idea.
Per il momento useremo éidolon.
Si è tentati di ridere all’idea di questa éidola (immagini), ma se
cominciamo adesso dovremmo ridere per parecchio tempo, men-
tre sarebbe meglio farsi seri e confrontare ciò che è appena stato
proposto con il modello di Empedocle.
Entrambi i filosofi possono spiegare perché non riusciamo a ve-
dere un oggetto messo accanto alla pupilla: secondo Empedocle
perché impedisce al raggio visivo di uscire, e secondo Leucippo
perché l’èidolon è troppo grande per entrarvi.
Leucippo può aver spiegato perché non possiamo vedere al bu-
io, ma Democrito, sviluppando l’idea di Leucippo, sostiene che
in effetti noi vediamo al buio se la nostra mente è sensibilizzata
dal sonno, poiché ci sono éidola che continuano a fluttuare attor-
no anche la notte, a riempire i nostri sogni.
Plutarco, in uno dei suoi quindici volumi di dialoghi intitolati
‘Simposio’, afferma che per Democrito le éidola emanano da noi
tutti, portando copie spettrali di impulsi mentali, progetti, qua-
lità morali ed emozioni, che parlano come se fossero vive.
Se Empedocle, facendo appello a qualcosa di analogo al sen-
so del tatto, spiega facilmente perché vediamo solo la superfi-
cie di una cosa che ci sta di fronte (l’esempio può essere enun-
ciato con l’immagine proposta un po’di storia 2, cosa vedono
loro… cosa vediamo noi…; se pur il paragone può apparire
fuori luogo è pur sempre valido ai fini puramente estetici dei
contenuti, applicati a concetti più estesi in riferimento all’im-
magine percepita nel suo insieme. Cosa vediamo noi……..
e cosa vedono loro. Ciò che percepisce l’occhio, associato al
vasto contenuto psicologico che compone l’immagine.
Pochi scorgono la luce, molti vedono l’occhio artificiale in
primo piano, altri compongono delle strane ed inattendibi-
li associazioni mentali… Se pur Empedocle, Leucippo, ed al-
tri che verranno, potranno apparire arcaici nelle loro intuizio-
ni, le loro teorie appaiono ancor oggi valide se poste in un di-
verso piano di contenuti…), con Leucippo la faccenda non è
altrettanto chiara.
Se percepiamo l’intera éidolon, perché non vediamo l’oggetto
tutto insieme, davanti, dietro e di lato?
Se riceviamo solo la parte che si muove verso di noi, allora
non c’è realmente una cosa come l’éidolon, perché si dovrebbe
frammentare non appena si forma, con le diverse parti che se
ne vanno in direzioni diverse.
La teoria delle éidola contiene un’altra serie di problemi che
dominarono la ricerca nel campo dell’ottica fino a quando il
filosofo arabo del IX secolo Alkindi cominciò a dimostrare
come si potesse superare l’ostacolo.
Supponiamo di guardare una montagna.
Come fa la sua immagine, l’éidolon a entrare tutta quanta nel
mio occhio?
E inoltre, perché quando una cosa è lontana sembra più pic-
cola?
Forse perché le éidola diventano più piccole mentre si muovo-
no nello spazio?
E poi, come fa l’éidolon a sapere dove mi trovo, per diventare
dell’esatta grandezza e volar dentro al piccolo foro del mio oc-
chio?