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Ogni infamia sarà cancellata (e donata a chi neppur l’ha pensata) (31/32)
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– Perché devi partire?
gli chiese Solveig.
– Vado a chiedere l’assoluzione dei miei peccati.
– Fino a Roma?
disse lei.
– Devo chiedere l’assoluzione dei miei peccati per i
crimini commessi da me e da mio padre contro il ve-
scovo Gudmundur,
le risposi a bassa voce.
– L’assoluzione dei peccati,
riprese lei.
– Tu non mi inganni. Ti chiamano Dala-Freyr. Non lo
fai solo per soddisfare la tua vanità? Perché non lasci
che me ne occupi io?
– Devo chiedere l’assoluzione dei miei peccati. Dal Pa-
pa a Roma.
– Vattene allora.
Si svegliò nudo contro il suo seno.
Si vestì e uscì.
La terra stava per risvegliarsi. E lui non si era risve-
gliato?
Camminava tra le dune e pensava a ciò che sarebbe
arrivato dopo l’inverno, ciò che ancora si nascondeva
sotto i cumuli di neve.
Che cosa doveva serbare?
Cosa portare con sé in quel lungo viaggio verso l’i-
gnoto? Sarebbe stato un momento cruciale della sua
esistenza?
Lo aspettava il mare.
Avrebbe implicato una vita nuova attraversarlo per
andare in un paese sconosciuto?
Camminava tra le dune e c’era del muschio grigio ne-
gli avvallamenti davanti a lui, e del ginepro rampican-
te, grigiastro e folto ai suoi piedi.
Trovò sui suoi passi del timo, col suo profumo discre-
to, e dell’emperetro ancora senza germogli, solo picco-
li rigonfiamenti, e l’ofride che gli insetti non avevano
ancora scovato. E nessun falco passava frusciando nel-
l’aria.
C’era soprattutto sabbia scura, e le dune tra cui si aggi-
rava, come ghiacciato.
Cominciò a sentir crescere un po’ di fiducia, quando lo
sguardo cadde sul promontorio roccioso dove finiva la
sabbia, rischiarato in cima da una luce giallo chiaro,
mentre la metà inferiore era immersa in una foschia vio-
lacea.
Là incontrò propaggini del ghiacciaio annerite dalle sab-
bie laviche e attraversate da profonde fenditure, e poi la
laguna glaciale con gli alti pinnacoli di ghiaccio, come i-
sole di forme e caratteristiche del tutto inconsuete.
E non considerò più il ghiacciaio che vegliava in lonta-
nanza, impassibile, bianco alla sommità ma segnato da
crepacci, e ancora più in alto e più lontano comparivano
alla vista ombre di alture, e poi montagne sotto un cielo
che si andava rannuvolando.
Si era fatto giorno.
Al di là dei monti, che scurivano rapidamente sotto l’om-
bra delle colonne di nuvole in ebollizione e della brezza
marina, si disegnava la lingua di un altro ghiacciaio, oltre
i deserti di sabbia, e le montagne dai pendii ricoperti di
muschio; in cima vette dentellate e sprazzi di erba grigia
che prendevano vita in quella luce, mentre i movimenti
incontrollati del ghiacciaio non potevano essere misurati
nel tempo.
Grigio mormorava il fiume, scavando il suo letto sinuo-
so tra pietre e sabbia.
(e lui pensò: ‘Dio è tutto questo… perché debbo’… ma que-
sta era già eresia e continuò ad ammirare il….)
(T. Vilhàlmsson, Cantilena mattutina nell’erba)