VITA E MORTE SEGRETA NATURA

Precedente capitolo:

un-dio-sussurra-un-nuovo-segreto.html

Prosegue in:

poveri-di-spirito.html

 

Un Dio sussurra

un nuovo segreto.

Vita e morte segreta natura.

Dallo zero all’infinito

opposti destini

che svelano un nuovo Principio.

 

vita e morte segreta natura

 

 

Teatrale come sempre, Eddington rimase seduto per un lasso di

tempo calcolato, facendo salire la tensione.

Poi si alzò dalla prima fila.

Con un solo passo si portò sul podio, si voltò mise la testa in posizione

ben eretta e cominciò con una metafora altezzosa:

“Non so se da questo convegno uscirò vivo!”.

Perché il punto centrale del suo intervento era che la base della teoria

di Chandra fosse totalmente assurda. Qualcosa come un limite massimo

per la massa di una nana bianca non esisteva affatto.

Si udirono respiri affannosi.

Chandra era sconvolto.

Aveva sentito bene quel che aveva detto Eddington?

Se era così, stava asserendo che Chandra aveva completamente torto

e tutto il suo lavoro non serviva a niente.

Chandra richiamò alla mente le ore e ore di conversazione trascorse

con Eddington nella propria stanza:

“Io gli dicevo, ‘Come può avolvere una stella? Le stelle massive

devono comportarsi diversamente’, e via dicendo – tutte cose di cui

avevamo parlato”. 

vita e morte segreta natura

Eddington era sempre sembrato interessato e propenso a rifletterci.

Ora Chandra sapeva che quel viso da sfinge nascondeva una doppiezza

di proporzioni impressionanti.

La vera priorità di Eddington si rivelò quando disse:

“Credo che ci debba essere una legge di natura che impedisca a una

stella di comportarsi in questo modo assurdo!”.

In altre parole:

“Al diavolo la fisica!”.

Con una morsa terribile alla bocca dello stomaco, Chandra si rese

conto che ‘malgrado il suo eccezionale intuito fisico, quest’uomo

ha sempre agito sulla base di idee preconcette’. 

vita e morte segreta natura

Gli astrofisici come lui, rifiutavano di considerare l’aspetto matematico

delle loro teorie perché si sentivano inesorabilmente portati verso

domini di realtà fisica che parevano sempre meno plausibili.

Di contro, insistevano nell’ignorare i risultati sul destino delle stelle

che sconvolgevano la loro visione preconcetta di un universo benigno.

A Chandra sembrava tutto ancora più incredibile per il fatto che

Eddington aveva compreso la sua scoperta meglio di chiunque

altro, incluso lo stesso Chandra.

Eddington possedeva un intuito e una perpicacia eccezionali, ma

si rifiutava categoricamente di accettare la fisica.

Restò attaccato alle sue concezioni prederminate di natura.

Poco dopo l’11 gennaio, al Trinity, Eddington chiosò a Chandra:

“Tu guardi la cosa dal punto di vista delle stelle. Io dal punto di

vista della natura”.

Sconcertato, Chandra domandò:

“E non sono la stessa cosa?”.

Eddington rispose con fermezza:

“No”.

“Ecco”, ricordava Chandra,

“Questo era sintomatico del suo atteggiamento. In qualche modo,

sentiva che la natura dovesse conformarsi a ciò che lui riteneva 

giusto”.

E lo stesso valeva per la maggior parte degli altri astrofisici.

(A. Miller, L’impero delle stelle) 

 

 

vita e morte segreta natura

 

DANTE L’ERETICO (il viaggio…) (6)

Precedente capitolo:

dante-l-eretico-5.html

Eremiti…ed altro in:

eremiti-nella-taiga-negli-stessi-luoghi-un-altro-incredibile.html

1100393221.jpg

 

Il Viaggio…

14 marzo 1319

 

Rispetto alle domande apertesi lungo quasi tre anni di studi, a quello stadio

della ricerca cercai di trarre delle possibili conclusioni sul significato globale

dei dati raccolti.

Primavera_bott.jpg

Partito dalla questione circa la presenza della data del 14 marzo 1319 nella

Primavera di Botticelli, l’idea che il personaggio di Mercurio potesse essere

la raffigurazione pittorica del poeta che nell’ultimo verso del Purgatorio si

dice ‘puro e disposto a salire a le stelle’ era stata suffragata dalla scoperta

della medesima data nella perifrasi astronomica dei primi versi della terza

cantica della Commedia.

Allora mi ero chiesto che cosa potesse essere avvenuto di così importante

nella vita di Dante in quel giorno successivo all’equinozio primaverile, un

fatto tanto rilevante da essere stato tramandato da Botticelli in modo

cifrato in uno dei suoi capolavori.

Una prima risposta mi era giunta dalla decifrazione nei versi del poema

dantesco di elementi che lasciavano pensare a un possibile viaggio realmente

compiuto dal poeta.

Il misterioso volto di quel Dante pellegrino che andavo cercando fin dal mio

primo approccio alla Commedia aveva così assunto dei lineamenti più

definiti.

La prima immagine del poeta pellegrino è quella che ricorre nei versi iniziali

del poema. Uscito dalla ‘selva oscura’ fuori dalle mura di Gerusalemme,

impeditogli l’accesso alla porta che conduce al Tempio, il viandante deve

affrontare l”altro viaggio‘ indicato da Virgilio, la via che lo condurrà ad

addentrarsi nella ‘selva antica’ del giardino dell’Eden.

E’ qui che si può intravedere attraverso un’esplicita similitudine con la

figura del pellegrino, la seconda immagine di un Dante realmente viaggiatore.

Raggiunto il simbolico antipodo del luogo del Tempio, il poeta viene

invitato dalla stessa Beatrice a riportare dal Giardino dell’Eden almeno un’

immagine di ciò che ha veduto, esattamente come fa il pellegrino che

riporta dalla Terra Santa il bastone ornato di foglie di palma a testimonianza

del fatto che ha realmente raggiunto la meta del suo pellegrinaggio (Purgatorio

XXXIII, 75-78).

L’attenta decifrazione dei canti in cui il poeta descrive il suo peregrinare

nella ‘selva antica’, mi aveva poi dato modo di scoprire che quella immagine

dipinta del giardino edenico costituisce la trasfigurazione allegorica con cui

Dante traccia le coordinate di una ben precisa località dell’Islanda.

Alla luce di questa somma di dati, una prima conclusione a cui inevitabilmente

giunsi fu quella di considerare fondata l’ipotesi che la data del 14 marzo

1319 indicasse il giorno in cui il poeta pellegrino si trova effettivamente in

terra d’Islanda nel luogo del Tempio indicatogli da Beatrice con il suo rimprovero,

vale a dire presso l’anfiteatro naturale lungo il corso del fiume Jokulfall.

Qui giunto, il poeta aspira fin dai suoi primi passi a vedere Beatrice nell’

anfiteatro della ‘candida rosa’ che, se nel poema è la sede poetico-allegorica

descritta a partire dal XXX canto del Paradiso, nella realtà dei dati geografici

ottenuti non poteva che corrispondere a quell’ansa naturale lungo il

fiume Jokulfall.

giulianolazzari 110311.jpg

Del resto, quando Dante deve descrivere nel Paradiso lo stupore dinnanzi

allo spettacolo celeste della candida rosa dei beati, utilizza nuovamente

un’altra similitudine che fornisce una terza immagine di sè come pellegrino:

 

E quasi peregrinar che si ricrea

nel tempio del suo voto riguardando,

e spera già ridir com’ ello stea (Paradiso XXXI)

 

Come un pellegrino che si riposa dalle fatiche del viaggio, Dante in

Islanda osserva compaciuto il Tempio che ha fatto voto di visitare,

ripromettendo a se stesso di riferire al suo ritorno come esso sia fatto.

Ma, a fronte dei dati ottenuti, come assecondare un’idea così inverosimile?

Come poter credere che Dante avesse realmente viaggiato per l’Europa sino

a giungere in terra di Islanda?

La risposta a questo naturale dubbio provenne ancora una volta da un’attenta

lettura della Commedia e dai numeri in essa cifrati dal poeta.

In Purgatorio XXVII, proprio nelle terzine che precedono il verso che permette

di risalire alla latitudine del punto di ingresso nella ‘divina foresta’, è infatti

possibile l’individuazione delle tappe del viaggio di Dante verso l’Islanda.

Nella seguente terzina troviamo le istruzioni per la decodifica dei versi:

 

Poscia ‘Più non si va, se pria non morde,

anime sante, il foco: entrate in esso,

e al cantar di là non siate sorde’. (Purgatorio XXVII)

 

La parola ‘foco’ e l’avverbio di luogo ‘là’ indicano quali versi tra il 43 e il

60 vanno presi in considerazione per il calcolo. Dalla posizione di questi

termini all’interno degli endecasillabi utili alla decifrazione è infatti possibile

ricavare – attraverso l’ormai conosciuto metodo di decodifica – le frazioni

di grado di latitudine, mentre il numero del verso il grado di latitudine:

 

Ond’ ei crollò la fronte e disse: ‘Come!

volenci star di qua?’; indi sorrise

come al fanciul si fa ch’è vinto al pome.

Poi dentro al foco innanzi mi si mise,

pregando Stazio che venisse retro,

che pria per lunga strada ci divise.

Sì com’ fui dentro, in un bogliente vetro

gittato mi sarei per rinfrescarmi,

tant’era ivi lo ‘ ncendio sanza metro.

Lo dolce padre mio, per confortarmi,

pur di Beatrice ragionando andava,

dicendo: ‘Li occhi suoi già veder parmi’.

Guidavaci una voce che cantava

di là, e noi, attenti pur a lei,

venimmo fuor ove si montava.

‘Venite, benedicti Patris mei’,

sonò dentro a un lume che lì era,

tal che mi vinse e guardar nol potei. (Purgatorio XXVII)


Il solo dato della latitudine ricavata, abbinato al percorso della Via

Francigena che percorre da Sud a Nord il territorio francese, consente

di individuare alcune tappe del percorso di Dante sino a Canterbury,

in Inghilterra.

giuliano lazzari 110311.jpg

Il tragitto verso l’Islanda sembrerebbe poi proseguire con alcune tappe

in Scozia nei pressi del castello di Stirling, a Inverness, nelle Highlands,

e nelle isole Shetland.

Al verso 64……..

(Giannazza/Freguglia, I custodi del messaggio)

 

dialoghi con pietro autier.jpg

lazzari.myblog.it

 

il viaggio.jpg

giulianolazzari.myblog.it

 

storia di un eretico.jpg


 



 

pietroautier.myblog.it

 

storiadiuneretico.myblog.it

 

www.giulianolazzari.com

 

cena segreta.jpg

 




DANTE L’ERETICO (5)

Precedente capitolo:

dante-l-eretico-sotto-l-velame-4.html

dante-l-eretico-3.html

Altri eretici viandanti in:

l-uomo-e-la-natura-inferno-spento-20.html

giulianolazzari1bis.1jpg.jpg

 

…E io ritornavo a vivere.

Altrimenti questo mondo incoronato di spine, inchiodato al centro

dell’universo, lo avrei vissuto come un dolore senza senso.

Senza la poesia, come avrei potuto pregare?

La poesia è il mio vero modo di pregare.

Senza il sentimento dell’Eternità, come avrei potuto scrivere?

giulianolazzari3.bisjpg.jpg3.jpg
Mi avrebbe tormentato il presentimento della fine.

Questo presentimento è sempre stato di casa nella mia anima.

Se in certi giorni il pensiero della morte mi sembrava lontano, verso

sera è quasi sempre ritornato.

Se ho mai provato la tentazione di togliermi la vita?

E chi può dire di non averci mai pensato!

Cristianamente condanno il suicidio, anche se la grandezza d’animo

di Catone non va confusa con la disperazione di Pier della Vigna.

Ma durante…tutti questi anni, in alcuni momenti, con un sospiro

avrei reso l’anima a Dio, se non fosse stata la vitale tensione della

scrittura.

giulianolazzari8.bisjpg.jpg8.jpg

Avrei pregato il Cielo di mandarmi l’angelo della morte, non fosse

stato il pensiero della coscienza che il calice della vita va bevuto

sino in fondo, come Cristo insegna, per quanto amara possa essere

l’umana esistenza, perché Dio vuole che la si accetti e a ciascuno

chiederà conto finanche dell’ultima goccia.

Allora va bene l’amarezza, ma non una vita meschina: questa non

l’avrei mai accettata!

Ogni notte mi specchio in questo astrolabio e ogni volta mi sembra

di vedere un’altra crepa nella mente e nel cuore.

Le rughe significano malinconia, secondo quel che scrive Averoìs.

Per l’uomo dovrebbe essere una dolcezza invecchiare, ma nella

propria città, tra le mura domestiche, circondato dall’amore dei

familiari e, se c’è merito, dalla venerazione degli amici.

E addormentarsi così nel seno (dell’altrui terra) della propria terra,

dopo avere ben vissuto.

giulianolazzari6.jpgbis.jpg

Io invece mi sono incamminato per la vecchiaia a passi stanchi d’

esilio, e mi mortifica anche solo l’idea di inebetire al punto di

ritrovarmi domani a dipendere dagli altri, come un bambino povero.

Magari a rosicchiare le croste di pane dei figli, chissà in quale ospizio,

magari lontano anche da Ravenna, città che almeno ispira il sentimento

di una serena vecchiaia, con le sue rughe profonde mille anni.

(Enzo Fontana, Tra la perduta gente)

 

giulianolazzari2.bisjpg.jpg

 

DANTE L’ERETICO (sotto’ l velame) (4)

Precedente capitolo:

dante-l-eretico-3.html

Natura e non solo in:

l-uomo-e-la-natura-17.html

l-uomo-e-la-natura-18.html

dialoghiconpietroautier.myblog.it

giulianolazzari1bis.jpg

 

Sul realismo della Commedia sono state scritte pagine mirabili.

Ma ciò di cui non venivo a capo era il fatto che, al di là dei riferimenti

a fatti e personaggi storici che il poeta dissemina nelle tre cantiche, al

di là del significato reale tra simboli e allegorie essi assumono all’interno

della struttura del poema, l’unico a non essere mai stato realisticamente

definito alla lettera è proprio questo Dante pellegrino.

Come sa anche il più pigro dei liceali, si parla di un Dante auctor che nel

poema rappresenta se stesso come viator nei tre regni: diviso tra il presente

della scrittura come autore e il passato del Viaggio compiuto in qualità di

pellegrino, il poeta ripercorre nella memoria la sua discesa agli inferi e la

sua salita al cielo.

Anche alla luce di tali indicazioni, il volto di Dante che cercavo di svelare

non si profilava se non come figura sdoppiata, come un affascinante ma

complesso gioco di rimandi tra la vita reale del poeta e l’esperienza visionaria

del suo Viaggio.

mappa_percorso_dante.jpg

Nella Commedia, infatti, è facile comprendere riferimenti a luoghi e personaggi

reali quando è lo stesso Dante a fornire le coordinate per un corretto riconoscimento.

Quando per esempio, al termine del canto IX dell’Inferno, deve raffigurare le

tombe degli eretici nella città di Dite, il poeta si premura di farci comprendere la

natura del luogo attraverso una similitudine di carattere geografico ben precisa,

tratteggiando le arche della necropoli romana della città di Arles in Provenza.

03.jpg

Ma dove luoghi e personaggi sono descritti attraverso immagini allegoricamente

e simbolicamente velate – si pensi anche solo alla divina foresta e alla sacra

processione narrate negli ultimi canti del Purgatorio – la critica si limita a proiettare

le figure della narrazione in una visionarietà mistica e teologica che, per quanto

poeticamente alta, pare non avere alcun riferimento alla realtà.

Perché questa incoerenza?

Perché la descrizione poetica delle tombe degli eretici nel sesto cerchio infernale

dovrebbe avere un suo corrispettivo reale in un luogo che il poeta stesso ha

probabilmente visitato, mentre invece la divina foresta purgatoriale dovrebbe

essere un puro luogo mentale?

Perché dietro le immagini allegorico-mistiche non si dovrebbero nascondere

analoghi riferimenti a una precisa realtà che, come le tombe di Arles, fornisce

gli spunti dell’ispirazione poetica?

Ero certo che, scomponendo le immagini più strettamente allegoriche presenti

nella Commedia, avrei potuto individuare, dietro il velo della visione, tracce

reali di quel senso letterale che non poteva essere presente nel poema

solo a onde intermittenti e in misura discontinua, ma – come ben mi aveva

insegnato la lettera a Cangrande – in una omogenea e coerente compresenza

di significati.

Del resto, ancora una volta, era Dante stesso ad avvertirmi dell’ardua impresa

di una lettura che non poteva essere condotta attraverso un unico filtro

interpretativo.

In uno dei più famosi appelli al lettore che il poeta spesso dissemina nel

poema, l’invito mi parve del tutto esplicito:

 

O voi ch’avete li ‘ intelletti sani,

mirate la dottrina che s’ asconde

sotto ‘l velame de li versi strani.

(Inferno IX)

 

Consultando qualsiasi edizione critica del testo, la parafrasi di questi versi

suona più o meno così:

 

O voi che siete capaci

di comprendere la verità,

ammirate il senso allegorico

che si nasconde dietro il velo

dei versi che suonano misteriosi

ed enigmatici.

 

Provai a ribaltare completamente questo modo di interpretare: visto che i

versi che Dante ci invita a leggere risultano già di per sé allegoricamente

strani, perché avrebbe dovuto essere ancora il piano di un insegnamento

allegorico-morale a dover essere svelato?

Divina_sm.jpg

Non era forse più utile interpretare l’appello al lettore come un invito a

scoprire, oltre il velame delle stranezze allegoriche, anche il significato

letterale della realtà che dietro esso è significata, la realtà concreta della

dottrina che egli ci invita a conoscere?

Solo così, cercando di far luce sul rapporto tra la sostanza delle cose vedute

nel regno oltremondano e la realtà viva che dietro esse si cela – soprattutto

là dove il poeta sembra narrare la visione di luoghi e immagini mentali –

avrei forse potuto individuare itinerari e tappe del Viaggio narrato nei

versi della Commedia.

…Nella piena consapevolezza che si era di fronte a un mostro sacro

della letteratura di tutti i tempi, si trattava di dare inizio a una nuova

possibile ricerca all’interno del testo dantesco, operando alla lettura

secondo un metodo che, se era inedito e inusuale, avrebbe potuto dare

conferma dell’esistenza di un sottotesto che attraversa tutto il poema.

(..e quindi una nuova lettura dell’eresia…)

(Giannazza/Freguglia, I custodi del messaggio)

il viaggio.jpg

giulianolazzari.myblog.it

www.giulianolazzari.com

 

dialoghi con pietro autier.jpg

lazzari.myblog.it

www.giulianolazzari.com

 

storia di un eretico.jpg

pietroautier.myblog.it

storiadiuneretico.myblog.it

www.giulianolazzari.com

 

islanda2.jpg

 






DANTE L’ERETICO (3)

Precedente capitolo:

prima-di-grandi-anche-dante-sospetto-d-eresia-2.html

Paradisi e non solo in:

l-uomo-e-la-natura-inferno-spento-15.html

pietroautier1bis.jpg

 

Dante avvicinò la sedia fiorentina allo scrittoio e vi sedette.

Una goccia di sudore gli scese lungo il profilo aquilino, sino alla punta

del naso, e cadde sul manoscritto a confondere un verbo che odorava di

Paradiso.

pietroautier8.jpg

Subito, con religioso amore, asciugò la macchia e con il raschietto cancellò

anche l’ombra che restava. Quindi prese la penna e intinse la punta d’inchiostro,

con l’intenzione di ribadire la parola cancellata, ma poi rimase con la mano

sospesa in un dubbio:

– Se la goccia di sudore fosse segno che quel verbo non va bene?

In attesa dell’ispirazione, l’inchiostro seccava.

Questo alternarsi di penna, di raschietto o di pietra pomice aveva sempre

messo a dura prova la resistenza delle sue pergamene.

Nuove visioni e revisioni, ancora a cantica conclusa. Quell’estate poi certi

punti degli ultimi canti erano diventati così sottili che le pergamene non

avrebbero sopportato altri ripensamenti, pena il bucarsi. Soprattutto dal

giorno in cui, in ginocchio nel tempio della sua anima aveva sigillato la

Commedia scrivendo l’ultimo verso:

…l’amor che muove il sole e l’altre stelle.

pietroautier4.jpg

E invece la notte seguente si era ritrovato a vegliare, a pregare, a tentare

ancora le pergamene. Insomma non si risolveva a rendere pubblici ben

tredici canti del Paradiso. E nemmeno i figli sapevano con certezza se

l’opera fosse conclusa.

Dante depose la penna e guardò fisso davanti a sé.

L’astrolabio di ottone rifletteva il suo volto: le cicatrici dei pensieri sulla

fronte, le rughe del pianto tra i sopraccigli, la bocca dalla piega sempre

più amara, gli occhi un po’ tristi che hanno le puerpere. Si vedeva più

vecchio dei suoi 56 anni. Come se un palinsesto dove l’antica scrittura

non sia stata completamente raschiata via e ancora sia visibile in contro-

luce, così Dante rileggeva sul proprio volto i sentimenti profondi e

nascosti del cammino di sua vita.

– La Commedia è finita?

pietroautier3.jpg

Il dubbio mi oscilla tra un accento e una rima.

Per tutti i versi del poema, nella mente ne avrò scartati centomila…

O forse più, molti di più.

Qui dentro c’è uno sterminato cimitero di versi gettati alla rinfusa,

di aborti del pensiero, di parole non del tutto formate.

Metamorfosi per sempre incompiute.

Un cielo coperto di ragnatele. Miei poveri feti della poesia.

In quanti siete morti di crepacuore? Ma non potevo battezzarvi tutti con

l’inchiostro. Solo i migliori, gli eletti.

Quanti anni mi ci sono voluti per arrivare a questo punto!

I soli giorni perduti sono stati quelli che ho consumato senza ispirazione.

Perché ci sono giorni in cui scrissi forse una sola parola e mesi così sterili

che non mi venne nessun canto. A volte una notte intera non mi bastò per

una zoppicante terzina.

Allora mi sentivo come un granello di sabbia risucchiato verso il fondo della

clessidra.

Ma d’improvviso un colpo di penna!

Quasi incredulo, sentivo che l’ispirazione incominciava a sgorgare….

(Enzo Fontana, Tra la perduta gente)

 

pietroautier5.jpg

 

PRIMA DI GRANDI…ANCHE DANTE (sospetto d’eresia) (2)

Precedente capitolo:

prima-di-grandi-anche-dante-sospetto-d-eresia.html

Altro processo in:

cronaca-nera-il-processo-della-domenica-2.html

pietroautier1bis.jpg

Fece tre nobili pìstole, scrive il Villani: l’una mandò al reggimento di Firenze,

dogliendosi del suo esilio senza colpa; l’altra mandò all’imperadore Arrigo,

quando era allo assedio di Brescia; la terza a’ cardinali italiani, quando era

la vacazione dopo la morte di papa Clemente, acciò che s’accordassero a

eleggere papa italiano: tutte in latino, con alto dittato e con eccellenti sentezie

e autoritadi; le quali furono molto commendate dai savi intenditori.

pietroautier3bis.jpg

A tutti è noto dell’ospitalità aperta al profugo illustre dagli Scaligeri. Solo

qui ne rimane a dire che ogni cenno ad onore di quella famiglia consecrato

nella Divina Commedia sembra riferirsi a tarda epoca e tutta contrassegnata

dalla già fiorente gloria di Cane.

Né Dante era tale da secondare strani presagi senza base di già accorso

adempimento; e presso che tutto quanto vedesi nella Commedia pronosticato,

era in effetto quand’ei mostrava udirne dai trapassati la predizione.

Con questa norma non sappiamo noi assentire che in que’ vocaboli.

E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro

…significar volesse la nascita o la patria di Cane; intendiamo anzi che dir volesse

popolazione e nazione da Cane signoreggiata, e venisse così a significare come

Cane mostrava d’avere ad essere salute di tutta la Romagna, se già allora non

era. E il Villani contemporaneamente scrivea:

Fu adempiuta la profezia di maestro Scotto, che il Cane di Verona sarebbe signore

di Padova e di tutta la Marca trivigiana.

Ma ben presto l’uomo della verità e della rettitudine cadde nello sfavore del

potente. Ebbene veramente l’Alighieri da’ vari amici delle lettere ospizio e favore.

Ma la virtù trova ricetto presso i grandi soltanto a forza di prudenza e di pazienza;

né queste erano le virtù che raccomandare più potessero l’esule ghibellino.

Egli riguardavasi ancora e voleva essere riguardato qual uno de’ già priori d’una

serenissima repubblica e quale antico amorevole d’un Carlo Martello e d’un Nino

de’ Visconti.

Gli ospiti dello sventurato si reputavano male rimunerati da quella gratitudine che

non andava mai disgiunta dalla nobile sua naturale alterezza. Già le corti tardi sanno

addarsi delle virtù e rado o non mai di quelle cadute in umile e basso stato: quindi

nessun signore pensò seriamente a ristorarlo de’ suoi danni. Non v’ha cosa che

consumi sé stessa presso i potenti quanto la liberalità.

pietroautier1.jpg

Tanto poi il condursi bene nelle case de’ grandi è più difficile quanto più abbiasi

ragionevolmente di  sé stesso buona opinione. E Dante, di nobile schiatta, avea

singolarmente in odio que’ che, sortito avendo oscuri natali, si erano fatti potenti

colla forza e coll’astuzia. Nello aderirsi or all’uno or all’altro di quei signori, chiamava

sempre in soccorso d’Italia un sommo imperante.

Aveva Arrigo fatto invitare nel 1310 i Fiorentini a prestargli omaggio a Losanna

negli Svizzeri. Dante, per colà avviato, ebbe un abboccamento con quel frate Ilario

monaco del convento di Corvo alle foci della Macra, che poi dedicò la cantica dell’

Inferno a messere Uguccione della Faggiuola vicario imperiale in Germania, e che

scrisse la relazione di quell’abboccamento.

Era egli probabilmente incamminato per quelle parti quando scrivea:

Tra Lerici e Turbia, la più diserta

La più romita via è una scala,

Verso di quella, agevole ed aperta,

scontrandosi Lerici a’confini della riviera di Genova da Levante, vicino al castello di

Vezzano, e Turbia da ponente presso a Monaco. Argomentasi anzi che fino dal

1308 si recasse a tal uopo in Germania ed ivi scrivendo si stesse il XXIII canto dell’Inferno,

per aver egli indicata l’Italia, come da lui lontana, con quel verso

Del bel paese là dove ‘l si suona…

 

pietroautier4bis.jpg