CONVERSAZIONE AL LUME DI CANDELA (Eremiti nella taiga) (13)

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Lontani parenti e girovaghi in:

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I vecchi Credenti di questa branca non rifiutavano solo la rasatura della barba

imposta da Pietro, il tabacco e il vino. Tutto quanto fosse laico veniva rifiutato,

che si trattasse delle leggi dello Stato, del servizio nell’esercito, del passaporto

interno, del denaro, di qualsiasi potere, ‘gioco’, canto e qualsiasi cosa ‘potessero

escogitare uomini non timorati di Dio’.

L’amicizia col mondo era inimicizia verso Dio.

Bisognava fuggire e nascondersi!

Questo eccezionale ascetismo era alla portata di un numero limitato di persone:

miserabili oppure, al contrario, personalità forti, in grado di reggere il peso della

vita eremitica. La sorte fece incontrare gli uni e gli altri.

La vita incalzava di continuo i beguny, cacciandoli negli angoli più inaccessibili.

E adesso ci è chiaro il percorso storico durato trecento anni che conduce all’izba

sull’Abakan.

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Il padre e la madre di Karp Osipovic erano giunti dalla regione di Tjumen’ e si

erano lì insediati al riparo della foresta. Fino agli anni Venti a 150 chilometri

da Abaza prospereva una piccola comunità vecchio-credente detta Tisi.

Aveva lì orti, bestiame, campi seminati, lì pescavano e cacciavano. Questo

piccolo focolare abitato e inaccessibile nella taiga veniva chiamato l’insediamento

dei Lykov.

Lì era nato Karp Osipovic.

Come si può immaginare, l’insediamento attuava i suoi scambi col mondo 

attraverso intermediari che, su imbarcazioni manovrate con pertiche, venivano

a prendere pellicce e pesce in cambio di ‘sale e ferro’.

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La vita dei Vecchi Credenti di Tisi non era povera. La famiglia dei Lykov era

prossima a un villaggio, avevano il loro appezzamento. Tuttavia il posticino

tranquilo sulla tranquilla riva del fiume presentava anche i suoi inconvenienti

– i campi si inondavano, la segale marciva, negli orti a causa delle frequenti

nebbie non tutto maturava come avrebbe dovuto.

Osip Lykov, che aveva già adocchiato un posto più elevato sull’Abakan, 

nel 1928 o forse nel 29 decise di abbandonare Tisi. Non è escluso che la

partenza sia stata accelerata dalle voci che giungevano: ‘Censiscono i 

nostri’. Per i Vecchi Credenti la parola ‘censimento’ è sempre stata il segnale

che bisognava ‘spostarsi oltre’.

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Insieme ad altre quattro famiglie i Lykov si installarono dunque più in alto

sull’Abakan, nel punto dove confluiva col fiumiciattolo Kair. Questo luogo

era adatto alla vita non solo in virtù delle condizioni naturali, ma anche

perché corrispondeva del tutto al, concetto di ‘deserto’, ossia era un luogo

che prometteva di restare isolato dal mondo. 

I due figli di Osip Lykov, Karp ed Evdokim, si sposarono allora. Karp prese 

nella sua izba Akulina Dajbova, una di sette sorelle del villaggio Dajbovo,

sul fiume Bija. La vita di quel pugno di ‘eremiti’ sul Kair non restò a lungo

tranquilla. Nel 1931 fu creata la riserva naturale dell’Altaj, con sede sul lago

Teleckoe, e il corso superiore del fiume Abakan entrò a far parte del suo

territorio.

La caccia e l’agricoltura furono proibite.

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Proposero a tutti i Vecchi Credenti colà residenti di entrare al servizio della

riserva, oppure di abbandonarla.

Per alcuni anni si cercò di ignorare la modesta comunità sul Kair. Ma nel 1934

si presentò una pattuglia capeggiata da una vecchia conoscenza dei Lykov,

il loro correligionario Danil Molokov. Proposero agli ‘eremiti’ di trasferirsi

altrove con le buone. Acconsentirono tutti e dissero che sarebbero tornati a

Tisi. Ma, come si può immaginare, inviarono al villaggio dei loro ricognitori

che ne tornarono con notizie che escludevano la possibilità di vivere là.

A Tisi era stata creata una cooperativa:’Raccoglievano noci, fabbricavano 

botti, allevavano procioni’.

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Le nuove condizioni di vita al villaggio escludevano la possibilità di 

soggiornarvi per ‘eremiti’ che non riconoscevano né i pezzi di carta, né la 

sottomissione a chicchessia. Coi due figli Savin e Natal’ja, Akulina e Karp

Lykov si allontanarono dal territorio della riserva e si stabilirono sul fiume

Lebed’, senza tuttavia rompere col loro insediamento sul Kair. A ciò erano 

stati indotti dalle difficoltà della loro vita e dalla ferma convinzione che 

bisogna nascondersi al ‘mondo’. 

Agaf’ja: ‘Madre Raisa non faceva che dire a papà: bisogna vivere nel deserto.

La salvezza consiste in questo’.

Nel 1935 due uomini armati furono inviati dalla riserva a controllare se i Vecchi

Credenti se ne erano andati. Raggiunto l’insediamento sul far della sera, la

pattuglia di Nkolaj Rusakov e Dmitrij Chlobystov scorse i fratelli Karp ed

Evdokim Lykov impegnati nella raccolta delle patate. Nel giro di un attimo

si svolse il dramma di cui Karp Osipovic, ancora diffidente, non mi ha detto

nulla, ma che ho appreso dal cacciatore Tigrij Georgievic Dul’kejt, il quale

ha raccolto ha suo tempo la testimonianza della pattuglia.

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‘Evdokim, vedendo venirgli incontro degli uomini armati in uniforme, si

precipitò verso un mucchio di gambi e foglie su cui aveva lasciato il suo

fucile. Il colpo del soldato di pattuglia Rusakov precedette Evdokim nel

momento in cui puntava il suo fucile a tre canne’.

Così morì uno dei fratelli Lykov. 

(Vasilij Peskov, Eremiti nella taiga) 

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DEMONOMANIA (L’uomo e la natura) (15)

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La posizione dei teologi medievali riguardo ai lupi mannari si divide in due

filoni fondamentali: alcuni di essi pensavano che la trasformazione avvenisse

realmente, altri sostenevano che si trattava di un inganno del demonio.

Tutti erano d’accordo, però, nel ritenere che il trattamento più appropriato

fosse quello di distruggerli e, così come era avvenuto per i vampiri,

bruciarli; anche là dove la trasformazione non era ritenuta reale, veniva

propugnata fortemente da parte degli inquisitori, sia laici che ecclesiastici,

la necessità di condannare questi licantropi.

Uno dei principali assertori della fondatezza della condanna e difensore di

una procedura che giudicava corretta fu Jean Bodin (1530-1596), uno dei più

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attivi demonologi e una delle figure più intransigenti riguardo al problema

della stregoneria, protagonista di un’aspra disputa con Wier.

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Johan Wier, a proposito del meccanismo che provocava le illusioni diaboliche

e faceva credere alle streghe e agli uomini di recarsi al sabba in volo o di

trasformarsi in lupo, sosteneva che queste persone potevano essere paragonate

agli estatici, i quali come usciti fuori di sé e privati di ogni sensazione e

movimento, giacciono simili a morti e quando sono svegliati dal sonno

profondissimo, o richiamati dalla morte alla vita, ritornano in sé e narrano

strane storie e straordinarie favole.

Egli dedica un capitolo intero al ‘morbo’ chiamato licantropia al quale gli

uomini credono di tramutarsi in lupo.

La cosa più difficile e incredibile cui credere è la trasformazione della forma

e del corpo umano in quello di un animale. Tuttavia i processi tenuti contro le

streghe, le storie divine, quelle umane, e le storie di tutti i popoli provano che

è cosa certissima. Leggiamo nel libro V degli Inquisitori degli Stregoni, che uno

stregone di nome Stafo, nel territorio di Berna, avendo molti nemici, riusciva

spesso a scappare all’improvviso quando si trovava in mezzo a loro sotto le

sembianze di animale; né poteva essere ucciso se non mentre dormiva.

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Questi lasciò due suoi allievi, i più grandi stregoni di Germania, Hoppone e

Stadlino, i quali da quel luogo scatenavano tempeste, fulmini e burrasche.

Senza allontanarci molto da questo regno, abbiamo un processo tenuto nel

parlamento di Dole, con sentenza datata 18 gennaio 1574, contro Gilles Garnier

di Lione, che non riporteremo qui, poiché è stampato a Orleans da Eloy Gilbier,

e a Parigi da Pietro di Haies.

Riporteremo solo i punti principali di cui egli fu accusato.

Il suddetto Garnier, il giorno di S. Michele, afferrò una fanciulla di dieci o di

dodici anni presso il bosco della Serra in una vigna che faceva parte dei

vigneti di Chastenoy, distante un quarto di lega da Dole, e qui la ammazzò con

le sue mani simili a zampe di lupo, con i suoi denti lacerò la carne della coscia

e di un braccio, e ne portò anche a sua moglie.

Sotto le stesse sembianze di lupo un mese dopo afferrò un’altra fanciulla e l’uccise

e stava per divorarla, se non fosse stato impedito da tre persone, come egli stesso

ha confessato. Quindici giorni dopo strangolò un fanciullo di dieci anni e ne

divorò la carne delle cosce, delle gambe e del ventre. In seguito sotto sembianze

umane, e non di lupo, ammazzò un altro giovane di dodici o tredici anni nel

bosco del villaggio di Perosa con intenzione di divorarlo, se non gli fosse stato

impedito, come confessò sua sponte e senza tortura. Fu condannato a essere

bruciato vivo, e la sentenza fu eseguita.

Un altro processo si tenne a Besancon da parte di Joan Boin, nell’anno 1521, nel

mese di dicembre, i cui atti sono stati spediti in Francia, Italia e Germania, ed è

stato a lungo nel capitoloXIII del VI libro del suo De prestigiis, da Wier, il

difensore degli stregoni.

(E. Petoia, Vampiri e lupi mannari)

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CONVERSAZIONE AL LUME DI CANDELA: EREMITI NELLA TAIGA (12)

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Lupi nella taiga in:

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Nel quadro vediamo Feodos’ja Prokof’evna su una slitta contadina nell’atto

di venire trasportata attraverso Mosca verso il suo esilio.

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Su questa tela straordinaria possiamo cogliere tutta l’atmosfera dello scisma:

popi sghignazzanti, le facce preoccupate dei semplici e dei nobili chiaramente

simpatizzanti con la martire, i volti severi dei fautori dell’antichità, il ‘folle in

Cristo’.

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E al centro la stessa Feodos’ja Prokof’evna col simbolo delle sue convinzioni:

il segno di croce a due dita….

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Torniamo adesso sul sentiero che porta sul fiume Abakan. E’ una via, ce se

saremo già accorti, i cui inizi si perdono in un tempo lontano. Cerchiamo allora,

sia pure per sommi capi, di seguire questa traccia fino alla fine.

Lo scisma non venne sanato nemmeno dopo la morte dello zar Aleksej nel 1676.

Al contrario: la caduta di Nikon, le epidemie di peste, che in quegli anni avevano

falciato centinaia di migliaia di persone, e la morte inaspettata dello stesso zar

non avevano fatto che convincere gli scismatici che ‘Dio era dalla loro parte’.

Lo zar e la Chiesa si trovarono costretti a adottare misure severe. Ma ottennero

solo di aggravare la situazione.

Fra le masse si sparsero voci sulla fine del mondo.

Tale convinzione era così forte, che nello scisma comparvero correnti che predicavano

il suicidio volontario nel nome della ‘salvezza dell’Anticristo’.

Iniziarono a verificarsi suicidi di massa.

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C’erano uomini che si lasciavano morire di fame a decine, oppure si sbarravano

in casa e negli eremi. La forma più diffusa di tutte fu l’autoimmolazione: ‘il

fuoco purifica’. Si immolavano intere famiglie e villaggi. Gli storici ritengono

che si siano bruciati vivi 20.000 fautori tra i più fanatici della vecchia fede.

L’ascesa al trono di Pietro, con le sue innovazioni particolarmente marcate,

fu recepita dai Vecchi Credenti come quell’avvento dell’Anticristo già predetto

da tempo. Indifferente alla religione, Pietro ritenne tuttavia ragionevole ‘non

perseguitare’ gli scismatici, ma farne bensì un censimento e imporre loro una

tassazione doppia. Alcuni Vecchi Credenti accettarono di buon grado questa

legalilizzazione, altri ‘fuggirono‘ l’Anticristo in lontane foreste. Pietro istituì

l’apposito ufficio degli Scismatici per rintracciare i Vecchi Credenti che

cercavano di sottrarsi al tributo.

Ma grande è la terra russa!

Vi si trovarono molti punti reconditi ove l’occhio dello zar, né la sua mano

poterono mai giungere. A quel tempo la Siberia e le regioni dell’Oltrevolga,

del Nord e del corso del Don erano luoghi sperduti ove poterono insediarsi

gli scismatici. Ma la vita raggiungeva, accerchiava e divideva questi protestanti

la cui dissidenza si esprimeva nella vita religiosa, quotidiana e anche sociale.

All’inizio si formarono due correnti nello scisma: ‘sacerdotale’ e ‘asacerdotale’.

La corrente degli asacerdotali, priva di Chiesa com’era, si disperse assai presto

per monti e foreste e si suddivise in una moltitudine di sette, correnti e divisioni

dovute all’eterogeineità sociale, di stile di vita, d’ambiente e spesso anche al

capriccio dei predicatori.

Nel secolo scorso i Vecchi Credenti divennero oggetto dell’interesse di letterati,

storici ed etnologi. Questo è molto comprensibile. Si provi a immaginare una

casa in cui numerose generazioni abbiano compiuto le ristrutturazioni e i

rinnovamenti più vari: abbiano cambiato i mobili, le stoviglie, i vestiti, le

abitudini e all’improvviso in questa casa si scopra un vecchio solaio pieno

delle masserizie di bisnonni e trisnonni: certo questo non potrebbe mancare

di suscitare un vivo interesse.

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Dai tempi di Pietro la Russia era mutata fino a divenire irriconoscibile, ed

ecco che all’improvviso si scopriva un solaio del genere nelle foreste e sui

monti. La vita quotidiana, i vestiti, il cibo, le consuetudini, la lingua, le icone,

i riti, i vecchi libri manoscritti, le tradizioni dell’antichità – tutto era stato

preservato benissimo in quel museo vivente del passato.

Per di più molte correnti della vecchia fede erano nemiche del servaggio e

dello stesso potere dello zar. Questo aspetto della questione indusse l’esule

Herzen a tastare il terreno per una eventuale alleanza con i Vecchi Credenti.

Ben presto però si convinse che l’alleanza era impossibile. Da una parte, nelle

comunità contadine di Vecchi Credenti si era sviluppata una classe del tutto

in accordo con lo zarismo e dall’altra in molte correnti prevalevano un

oscurantismo retrogrado, una superstizione e un fanatismo contrari alla

natura della vita umana.

Tale era appunto la corrente detta dei fuggitivi.

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Costoro ritenevano che solo fuggendo e nascondendosi fosse possibile salvarsi

dall’Anticristo incarnato nella persona dello zar, dalla corvée feudale, dall’

oppressione dei potenti.

(Vasilij Peskov, Eremiti nella taiga)

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AVVENTURE DELLA DOMENICA POMERIGGIO: UNA GRANDE NAVE SFIDA IL TEMPO (6)

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Nella primavera del 1885 Willis trasferì Moore sulla nave che un tempo era stata

la sua preferita, il Tweed, e mandò sul Cutty Sark il capitano Richard Woodget,

un quarantenne originario del Norfolk che avrebbe fatto passare il clipper alla

storia.

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Figlio di un fattore, Richard aveva dimostrato fin dall’infanzia di essere uno

spirito indipendente e di avere la vocazione del mare. Da ragazzo aveva sottratto

un dinghy a vela senza timone, aveva passato un intero pomeriggio a imparare

a navigare e a governare con la sola vela, e poi aveva riportato alla base l’imbarcazione

prima che si accorgessero che era sparita.

A 16 anni si era imbarcato come apprendista e in venti anni aveva percorso tutte le

tappe della carriera fino al grado di capitano (con il suo primo e secondo veliero).

Quando ricevette il primo comando, era uno specialista della navigazione.

In un’epoca in cui quasi tutti i capitani portavano il cappello tondo e rigido,

Woodget lo portava floscio e spavaldamente inclinato su un orecchio, un

berretto scozzese perfettamente in sintonia con il Cutty Sark.

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Woodget era un uomo coraggioso, oltre che un eccellente fotografo, era il

1887 quando al Cutty Sark ormeggiato all’Est Dock di Londra, fu recapitato

il materiale che non aveva nulla a che vedere con la navigazione. Si trattava

di una grossa fornitura di lastre fotografiche, di prodotti chimici per 

trattarle e di una macchina fotografica di mogano. L’esuberante capitano

Woodget, che a bordo si dedicava a hobby che spaziavano dall’allevamento

di cani da pastore scozzesi al pattinaggio a rotelle, aveva deciso di darsi

alla fotografia. 

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A quel tempo gli armatori utilizzavano piccole macchine portatili, ma 

Woodget che aveva preso sul serio la sua nuova passione volle una macchina

professionale dotata di un treppiedi ingombrante. Per sviluppare le lastre

di 30.5 x 25.5 cm aveva trasformato la sua cabina in camera oscura, e usava

la vasca da bagno come bacinella per mescolare i prodotti chimici e sciacquare

le lastre sviluppate.

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Nel microcosmo del Cutty Sark, il capitano Woodget trovò un’autentica miniera

 di soggetti. E ogni volta che gli si presentava l’occasione, puntava l’obiettivo

sui magnifici panorami che gli sfilavano davanti.

Era inoltre un uomo coraggioso, dotato di sangue freddo e di una volontà di

ferro, caratteristiche che lo qualificavano perfettamente per il nuovo comando.

Nel 1885 era entrato da poco nella compagnia di Willis, ma l’armatore si era

subito accorto delle sue capacità. Appena tornato dal suo primo viaggio, 

Willis lo aveva condotto alla banchina dell’East India e, indicandogli il

Cutty Sark, gli aveva detto: Capitano Woodget, quella è la vostra nave.

Non avete che guidarla.

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Occorsero vari mesi prima che il Cutty Sark fosse come Woodget lo voleva,

e Willis non lesinò sulle spese. Il primo di aprile 1885, attrezzato e calafatato

a nuovo, riverniciato da prua a poppa, era finalmente pronto. 

Alle 14, Woodget si calcò il berretto in testa e fece mollare gli ormeggi. 

Il veliero scintillante si allontanò lentamente dall’East India Dock direttamente

in Australia, pronto a battere i primati di velocità che erano sempre sembrati

alla sua portata. 

(I Clipper)

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COMMENTO AL CAPITOLO PRECEDENTE (un Inquisitore)

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Intermezzo televisivo in:

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Breve commento del curatore del blog, con annesso sermone ‘eretico’.

Un problema di non poco conto è sull’interpretazione del concetto di ‘infallibilità’,

di cui ho dato breve accenni nel capitolo precedente, ma che intendo approfondire.

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Infallibilità frammento di singola parola che in realtà nel suo insieme raccoglie

e sottintende molto di più di quanto noi, nello sforzo di voler interpretare

possiamo sperare di raggiungere dall’essenza del suo opposto donde sappiamo

provenire.

Il dogma dell’infallibilità è degno di nota perché con esso la Chiesa ha gestito e

continua a gestire il principio stesso della fede. Ciò che, per taluni profani, o non

addetti ai lavori, può apparire banale, in realtà per altri è cosa assai importante.

Per questo motivo a taluni la prodigiosa macchina eretica appare ed appariva

così infernale. Perché nella interpretazione, e successivamente nell’esposizione

teologica il ‘frammento’ che l’aveva originata, è pietra angolare di un intero

edificio teologico. Con esso un intera cultura che si snoda nell’arco di secoli.

E di cui ancora i riflessi sono ben presenti sia nel nostro ordinamento giuridico,

sia nella nostra comune visione di intendere o (peggio) interpretare le cose.

In realtà dobbiamo partire dalla premessa indispensabile, che la tradizione

orale è cardine e principio di ogni civiltà. Poi è apparsa la scrittura. All’inizio

della civiltà, tutto ciò che era fondamento di una vasta comunità, era affidato

al compito della memoria orale. Poi venne appresa l’abitudine e la capacità

della scrittura. Soprattutto per esigenze pratiche. Quello che separa o divide,

ai giorni nostri due differenti ‘mondi’ apparentemente distanti fra loro, come

la cultura ‘uso stampa’ (letteratura e altro), e la cultura del vasto mondo di

Internet, per sollecitare un esempio calzante che si modella al nostro caso.

Stessa evoluzione che si conosce fra la memoria orale (fatti, avvenimenti, miti,

detti, leggende, principi, preghiere, canzoni, cronache, racconti e via dicendo) e

lo ‘scriba’, il copista, e successivamente il torchio uso stampa; dalla stampa,

al variegato mondo informatizzato della cultura della ‘rete’.

Tutti passaggi che suscitano ed hanno suscitato un confronto fra ortodossi

ed eterodossi, non solo del pensiero teologico, ma anche del mondo culturale

dove si riconosce una evoluzione.

Il Cristianesimo appare a tutti gli effetti una lenta e graduale evoluzione dettata

da principi e necessità spirituali e oserei dire storiche, che ha costruito le sue

innumerevoli vicissitudini sociali e teologiche su delle premesse e fonti che

con i secoli hanno perso del tutto il loro vigore e la loro incisività, proprio per

il motivo della trasposizione orale; per cui la vera natura si è andata sminuendo,

perché persa o confusa nella storia stessa che con difficoltà riesce a risalire se

non addirittura interpretare la sua stessa origine; culminando nel paradosso

di eresia o pericolosità insita nel pensiero di un primo profeta (che potrebbe

contraddire quella famosa infallibilità o se non altro concedere diversa visione).

Ecco, così, che il frammento acquista in ogni epoca cui rivolgiamo la nostra

attenzione, molta importanza. Perché su di esso possiamo rintracciare l’origine

di un’intero codice genetico di credenze, intuizioni, pensieri…, divenuti simboli,

geroglifici, scritture.

Questa fonte potrebbe nei secoli e millenni aver mutato del tutto la sua vera

natura. Influssi e contaminazioni hanno indebolito rafforzato o svelito il pensiero

originario, fino a perdere ogni vigore. E ogni possibile verità cancellata a beneficio

di un’altra ‘specie’, che per esigenze storiche e successivo adattamento ‘sociale’ ha

mutato le proprie caratteristiche, pur mantenendo nel proprio codice genetico

affinità e connessioni, che per quanto stentiamo a riconoscere in realtà vi sono

ben evidenti.

Del resto, come nel vasto dibattito del mondo evolutivo che difficilmente in talune

culture è riuscito a compiere i suoi passi nella verità più consona alla Terra e

di conseguenza all’Universo abitato. Con miopia riusciremmo a trovare congiunzioni

fra il vasto mondo acquatico e le successive mutazioni che ha conosciuto quel

primo essere vivente uscito dal suo originale insediamento.

Così per concludere, infallibilità rappresenta sempre un orrore innanzitutto in

seno a qualsivoglia interpretazione; il concetto stesso di vita o semplicemente

di luce nasce dal moto opposto ed è più consono ad una casualità di eventi.

Infallibile può essere il pensiero primo, casuale, ciò che si è originato successivamente

non ad un intento manifesto di creazione volontaria, intesa come gesto pensato,

così come l’infallibilità di quel Dio immaginato ed interpretato, ma invece come

conseguenza propria di una duplicità fra materia e spirito, fra anima e creato,

fra infinito e finito.

Fra ciò che è materia e il suo opposto (donde sappiamo provenire).

Forse per millenni abbiamo avvertito Dio, e la sua esigenza, come il frutto di

qualcosa originato innanzitutto dalla conflittualità fra materia e spirito, e questa

certo, non può che fruttare e motivare pensieri inerenti alla sua specifica natura,

con la presunzione di definire, interpretare e riportare la sua volontà, o ancor

peggior bestemmia, elevandoci noi a sua immagine e somiglianza per decretare

una improbabile infallibilità.

Noi quali esseri viventi, pur volgendo verso una possibile perfezione, proveniamo

e siamo, una continua imperfezione in seno alla natura.

Forse la natura in questo ci è maestra.

Ma anche qui, l’errata interpretazione ha fatto sì che l’abbiamo ridotta ad un

sottoprodotto delle nostre esigenze, piegandola al nostro volere accompagnato

all’insaziabile ed ingordo bisogno di deciderne e controllarne gli eventi, e

quindi sottometterla ai nostri bisogni.

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EXPLORER

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explorer

 

 

Tirò giù la burnbox da sopra il classificatore, la mise sulla scrivania

e con le due chiavi attaccate alla catenella la disinnescò; quindi ne

trasse i fascicoli segreti, così segreti che non erano neppure classificati,

e in cui erano le molte informazioni sulla rete che lui e Axel (e tutte le

talpe che sapevano esserci…) avevano faticosamente messo insieme.

Buttò anche quelli nel cestino della carta straccia. 

explorer

Fatto questo tirò fuori la pistola, mise il caricatore e poi la pallottola

in canna, il tutto molto rapidamente, e poi la depose sulla scrivania

pensando a tutte le volte che aveva portato una pistola senza mai

sparare un colpo.

Sentì qualcosa che si muoveva sul tetto e si disse: sarà un gatto.

Scosse la testa come per dire, accidenti ai gatti, arrivano dappertutto

di questi tempi, non lasciano nemmeno una possibilità agli uccellini.

Guardò l’ora sull’orologio d’oro, un ampio gesto, ricordando che

gliev’aveva regalato Rick e che poteva anche scordarsi di toglierlo

in bagno. 

Così se lo tolse adesso e lo mise sulla busta per Tom, e accanto all’

orologio disegnò una faccia sorridente, a luna piena, che era il segno

tra loro concordato per dire sorridi. 

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Si vestì e ripiegò accuratamente i vestiti sulla seggiola accanto al

letto, quindi si mise la vestaglia e prese due asciugamani dalla

sacca, quello grande per il bagno e quello piccolo per le mani e la

faccia.

Si mise la pistola nella tasca della vestaglia senza mettere la sicura,

perché l’avevano laboriosamente addestrato a ritenere una pistola

con la sicura più pericolosa di una senza.

Doveva solo percorrere il corridoio ma il mondo è pieno di violenza

oggigiorno, ed è sempre meglio esser prudenti.

Fece per aprire la porta del bagno e si accorse seccato che il pomo

di porcellana s’era inceppato e girava male.

All’inferno questa maniglia.

Guarda che roba.

Dovette usare tutt’e due le mani per farlo girare, e cosa ancora più

seccante qualche idiota doveva averci messo sopra del sapone o

cose del genere, perché le mani scivolavano e dovette usare un

asciugamano per far presa. Probabilmente è stata la buona vecchia

Lippsie, pensò con un sorriso: vive sempre nel mondo che ha dentro

la testa. Mettendosi per l’ultima volta davanti allo specchio, si 

explorer

avvolse gli asciugamani attorno alla testa e alle spalle, facendo

una sorte di turbante con quello più piccolo e una mantellina con

quello grande, perché se c’era una cosa al mondo che la signorina

Dubber detestava era il disordine.

Poi sollevò la pistola all’altezza dell’orecchio destro….ma… 

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(Lui non si tirò un colpo, perché lui non era una spia, né un truffatore, né

un mafioso, né un latitante, ….né un terrorista…Abbracciò la sua amata

natura come sempre, scrisse qualcosa, …come sempre…, si avviò per il suo

sentiero…, come sempre e come molti altri ‘perfetti’ prima di lui…..Solo…

come sempre….)

Dedicato ad un aguzzino… 

(John Le Carré, La spia perfetta)

 

 

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ERESIA E ORTODOSSIA: UNA CHIAVE DI LETTURA (3)

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eresia-e-ortodossia-una-chiave-di-lettura.html

gli-eterodossi-2.html

Lupi mannari in:

l-uomo-e-la-natura-10.html

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L’ortodossia cattolico-romana è connotato costante e indiscutibile del 

francescanesimo fin dai suoi inizi. E’ opinione più volte ripetuta dagli

studiosi di francescanesimo che il primitivo gruppo minoritico fosse

molto simile ai gruppi ereticali contemporanei: lo confermerebbero alcuni

accenni presenti nella Chronica fratris Iordani, interpretati in tal senso. 

Checché se ne sia pensato o si continui a pensare, la testimonianza del

cronista Giordano di Giano non consente affatto di affermare che i 

Minori siano stati accumunati agli eretici per il loro ‘aspetto esterno e

per la loro concezione di vita’.

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Il sospetto di eresia li colpì a causa della totale impreparazione ad 

affrontare attività di apostolato al di là delle Alpi. Ma vediamo quanto

riferisce un cronista umbro:

I frati che giunsero in Francia, interrogati se fossero Albigesi, risposero 

di sì non capendo che cosa fossero gli Albigesi, né sapendo che fossero

eretici, e così furono reputati quasi eretici. Invero il vescovo e i maestri

di Parigi, alla fine, dopo aver letto attentamente la Regola e, trovandola

evangelica e cattolica, consultarono sulla questione papa Onorio. Questi,

con le sue lettere, dichiarò la loro Regola autentica, perché approvata dalla

sede apostolica, e i frati figli speciali della chiesa romana e veri cattolici;

e così li liberò dal sospetto di eresia. 

Allorché i primi Minori passarono in terra di Francia, suscitarono 

curiosità. Fu loro chiesto se fossero Albigesi ed essi risposero

affermativamente poiché non sapevano chi gli Albigesi fossero, 

né che fossero eterodossi. Il sospetto d’eresia venne subito meno 

non appena il vescovo e maestri parigini analizzarono la Regola,

trovandola conforme, consultato in seguito papa Onorio III, 

ricevettero conferma che si trattava di frati speciali figli ecclesiatici

e veri cattolici.

L’ingenuo ed entusiatico fervore dei Minori ai loro primi tentativi di

affrontare nuove aree e nuovi ambienti di missione, suscita iniziali 

difficoltà e diffidenze ovvie nei confronti di estranei, e in un momento

(circa gli anni 1217/1220) in cui la cristianità convergente nel papato è

stata da parecchi anni mobilitata contro gli eretici.

Difficoltà e diffidenze non mancarono anche nella penisola italiana,

dove per altro i Minori mai furono sospettati di eresia. Nella Legenda

trium sociorum, in cui maggiormente si evidenziano gli stentati inizi 

della fraternitas, i frati sono giudicati ‘stulti vel ebrii’, ‘insensati et stulti’.

Suscitano reazioni di infastidita sorpresa.

Sono oggetto di scherno e di violenza.

Mai sono considerati e trattati come eretici. Né è da credere che ciò

risulti da processi di rimozione o di censura in chi scriveva o chi

narrava, al fine di presentare una vicenda ‘totalmente ortodossa’,

quando pensiamo che anche le più antiche testimonianze provenienti

da persone estranee dell’Ordine minoritico mostrano – le une con maggiore

e le altre con minore simpatia – i seguaci di Francesco in una luce di

completa e coerente fedeltà cattolico-romana.

Si pensi quale esempio al Chronicon del premonstratense Burcardo di

Ursperg:

In quel tempo – il mondo già dava segni di senescenza –

nella chiesa, quali aquile per rinnovarne la gioventù,

sorsero due ordini religiosi, i frati Minori e Predicatori,

approvati dalla sede apostolica. Tali ordini religiosi

furono approvati probabilmente per questa circostanza,

cioè perché perduravano due sette, sorte in precedenza

in Italia, che si definiscono l’una degli Umiliati, l’altra 

dei Poveri di Lione: papa Lucio aveva inserito entrambe

fra gli eretici, poiché in esse si individuavano dottrine e

comportamenti deviati. Nelle predicazioni occulte, che

tenevano per lo più in luoghi nascosti, screditavano la

chiesa di Dio e il sacerdozio. Vedemmo in quel tempo

presso la sede apostolica un gruppo di Poveri di Lione

con il loro magister di nome, come credo, Bernardo:

costoro chiedevano che la sede apostolica confermasse

e dotasse di privilegi la loro setta, sulla base del fatto

che essi conducevano la vita degli apostoli, non volevano

possedere alcunché né avere un luogo fisso e sicuro; 

giravano per villaggi e castelli. Ma il papa sollevò obiezioni

circa alcuni comportamenti devianti nel loro modo di 

vita: portavano cioè calzari aperti sopra il piede e se 

andavano in giro quasi a piedi nudi. Inoltre, benché

portassero certe cappe, quasi fossero membri di un 

ordine religioso, avevano un taglio di capelli non 

diverso da quello dei laici. Nel loro gruppo appariva

anche riprovevole che gli uomini e donne insieme 

andassero per via e per lo più rimanessero insieme

in una stessa casa, e di loro si diceva che talvolta 

riposassero insieme nello stesso letto. Tuttavia essi

affermavano che tali comportamenti discendevano

dagli apostoli. Il papa confermò invece un altro gruppo,

sorto al posto loro, i cui membri si chiamavano Poveri

Minori, i quali rifiutavano i precetti e predetti comportamenti 

devianti e riprovevoli: a piedi completamente scalzi, 

sia in estate sia in inverno, camminavano e non accettavano

denaro né altra cosa oltre allo stretto indispensabile per il

sostentamento, anche quando qualcuno spontaneamente

offriva loro la veste pur necessaria. Non chiedevano infatti

alcunché da alcuno. Costoro tuttavia, in seguito considerando

che il nome di eccessiva povertà comportava vanagloria e che

del nome della povertà, sostenendolo invano, molti presso

Dio se ne gloriano ancora più invano, preferivano chiamarsi

piuttosto che Minori Poveri, Minori frati totalmente obbedienti

alla sede apostolica.

(……)

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