QUINTA POESIA

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La rosa colore del vino è sbocciata, ed è l’usignolo ubriaco:

è un invito a godere, o voi sufi devoti dell’attimo in fuga.

Sembravano forti qual pietra, i pilastri, là dove s’ergeva il rimorso,

ma guarda tu meraviglia! una coppa di vetro li infranse.

Vino, vino! In quell’imperturbabile corte

sono uguali la guardia ed il re, sobrio ed ebbro son pari.

Quest’ostello a due porte pur devi lasciare: a chi vale

alti od umili in tale dimora sian portici ed archi?

T’è inafferabile, gioia, se mai tu provasti il dolore:

oh, sì, fu il segno di pena e sventura che strinsero il Patto Primevo.

Con quel che è e che non è non crucciarti la mente, sta’ lieto,

perché un nulla alla fine è ogni cosa perfetta che esiste.

La gloria di Asaf, e l’aereo destriero, ed il verbo che fu degli uccelli

svanirono al vento, e non furono più di vantaggio al signore.

Non devi lasciare la via così alato d’orgoglio: la freccia che scagli

ristà infatti nell’aria un momento, ma poi sulla terra ricade.

Come può ringraziare di tanto, poeta, la lingua del calamo tuo?

Li ripete ogni bocca, i tuoi versi, e poi l’una all’altra li passa.

(Hafez)


 

 

 

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QUINTA POESIAultima modifica: 2012-07-03T00:00:00+02:00da giuliano106
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