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Sul quadrante dell’orologio della torre sinistra del duomo di Monreale
un’antica scritta ammonisce Tuam nescis, la tua (ora) non conosci.
L’ora di morire.
Sul lato destro della piazza, ad angolo retto con la chiesa, sorge un
nobile edificio, già sede dei benedettini (da Norcia), oggi scuola media.
Un cartello, incollato sullo stemma dell’istituto, accusa: ‘Burocrazia
uccide più del terremoto’. I terremotati del Belice non sembrano
soddisfatti delle provvidenze governative.
Anche tu, terremoto, tuam nescis: l’ora di morire dipende dagli inquieti
visceri della terra; quella di sopravvivere, dal competente ministero.
La burocrazia normanna, lo vedremo tra poco, era molto più veloce.
Si salgono le rampe d’uno scalone e appare, sulla parete destra, una
tela settecentesca del palermitano Giuseppe Velasquez che raffigura
il ritrovamento d’un tesoro fatto da Guglielmo II, re di Sicilia, dopo
un sogno rivelatore. Secondo la leggenda, le cose si sarebbero svolte
così: il giovanissimo sovrano un giorno andò a caccia sui monti che
formavano attorno a Palermo, un immenso parco verde, senza strade
né case, decine di chilometri di folti boschi e amene radure dove i
re normanni, inseguendo cinghiali e caprioli, sollevavano le cure del
governo. Guglielmo II, detto il Buono, aveva ereditato il trono a 14
anni; pochissimi degli zii e prozii erano arrivati all’età adulta, si
moriva in casa d’Altavilla.
Biondo come tutti i nordici, bello d’aspetto, gentile e sorridente era
un inseguitore infaticabile di selvaggina, e fu con grande meraviglia
che i valletti videro sdraiato sotto un carrubo, immerso in un sonno
di pietra, lui che di solito resisteva più di tutti alla fatica. Durante il
sonno, apparve a Guglielmo la Madonna che gli disse: ‘Scava sotto
questa pianta e troverai un tesoro’. Col febbrile entusiasmo di chi
abbia appena ricevuto dal nonno buonanima un terreno secco, il
sovrano ordinò ai suoi uomini di dissodare il terreno e non bisognò
andare molto in profondità per trovare un cofano colmo d’oro e
pietre preziose. Per ringraziare la Madonna del gentile pensiero,
Guglielmo deliberò di erigere e dedicarle una chiesa nel luogo
stesso della visione, Monreale appunto, allora chiamato Monte
Regale, perché preferito dai re normanni per i loro weekend.
Fin qui la leggenda, che rientra perfettamente nel clima di
pedagogia miracolistica proprio dell’epoca. Se la pubblica
autorità decideva di costruire una chiesa, non s’accontentava
di stanziare in bilancio la relativa somma, ma si preoccupava di
avvolgere l’iniziativa in un alone sovrannaturale.
Dopo il Mille, rifiorendo le industrie e i traffici, la chiesa dell’Occidente
europeo scongelò i molti capitali precedentemente accumulati,
trovandosi così ad avere un’ingente quantità di liquido disponibile,
ma questo avvenne in un’atmosfera di prodigi ‘il cui rivestimento
miracolistico’ osserva Le Goff ‘non deve nascondere le realtà
economiche’. Se un vescovo progetta di costruire una cattedrale
nuova o abbellire quella vecchia, ecco un improvviso miracolo
mostrargli, in un luogo segretissimo, il denaro necessario.
Alcuni anni prima del Mille il vescovo d’Orléans, Arnolfo, pensò
di ricostruire la sua chiesa. I tecnici scelsero l’area, fecero assaggi
nel terreno e, guarda caso, scoprirono un tesoro che portarono
subito ad Arnolfo, per finanziare la fabbrica.
La chiesa di Monreale, cominciata nel 1172, dopo una dozzina d’anni
poteva dirsi ultimata: un tempo record, e non solo per quei tempi.
I lavori furono affidati a maestranze islamiche, tecnologicamente le
più evolute dell’isola, per non dire le uniche esistenti. Questa che è
una delle più belle chiese della cristianità sorse a opera di muratori
che non bestemmiavano mai, per la semplice ragione che erano di
fede mussulmana.
Allah ha dato una mano alla Madonna.
Ma per capire questo fatto, apparentemente inspiegabile conviene
sostare un attimo e considerare le condizioni di vita e la composizione
etnica del regno normanno.
Raramente s’incontra nella storia uno Stato più eterogeneo, una civiltà
più composita, un governo più tollerante. Il regno era abitato da normanni,
longobardi, latini, greci, ebrei, arabi e i conquistatori normanni cercavano
di andare d’accordo con tutti, mostrando deferenza a vescovi e monaci,
senza maltrattare il muezzin.
Ruggero I proibì ai preti di far proselitismo tra i mussulmani, temeva che
s’irritassero, i mussulmani gli erano indispensabili perché accupavano posti
di rilievo nella flotta e nell’esercito. Quando erano sbarcati in Sicilia, i
normanni avevano trovato, nella sola Palermo, 300 moschee l’una più
bella dell’altra, 300 maestri di scuola, 50 macellerie, l’arte fiorente non meno
dell’economia. Da gente come questa, pensarono i rozzi conquistatori
calati dal nord Europa, c’è molto da imparare.
(C. Marchi, Grandi peccatori, grandi cattedrali)