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Quella sera ci fu una casa in particolare dove fui respinto.
Le finestre del portico davano sulla sala da pranzo, dove si
vedeva un uomo che mangiava un pasticcio – un grosso pasticcio
di carne.
Rimasi lì sull’ingresso mentre mi parlava continuando a mangiare.
Era prosperoso e su questa prosperità aveva coltivato il risentimento
contro i suoi fratelli meno fortunati.
Davanti alla mia richiesta di cibo, tagliò corto con un secco:
– Io non ci credo che tu vuoi lavorare.
Ciò era irrilevante.
Io non avevo fatto cenno al lavoro.
Il fulcro della conversazione che avevo iniziato era il cibo.
Io infatti non volevo lavorare.
Io quella sera volevo prendere il transcontinentale diretto a ovest.
Mi provoco:
– Non lavoreresti neanche se ne avessi l’occasione.
Dando uno sguardo al viso mite della moglie capii che se non
fosse stato per la presenza di questo Cerbero avrei potuto azzannare
quel pasticcio di carne.
Ma il Cerbero si immerse nel pasticcio e compresi che se volevo
ottenere qualcosa dovevo placarlo. Così, sospirando accettai la
sua etica del lavoro.
– Ovvio che voglio lavorare,
bleffai.
– Non ci credo,
grugnì lui.
– Mi metta alla prova,
risposi prendendoci gusto.
– E va bene,
disse.
– Vieni all’angolo di via tal del tali domani mattina. Sai dov’è quell’
edificio bruciato, ecco, ti farò scaricare mattoni.
– Va bene signore, ci sarò.
Grugnì e continuò a mangiare. Io aspettavo e dopo un paio di minuti
alzò nuovamente lo sguardo che diceva credevo-te-ne-fossi-andato…
e domandò:
– Dunque?
– Io….io aspetto qualcosa da mangiare,
dissi educatamente.
– Lo sapevo che non volevi lavorare,
tuonò.
Naturalmente aveva ragione ma quella conclusione doveva averla
tratta leggendomi nel pensiero perché la sua logica non gli permetteva
di capire. Dato che un mendicante sull’uscio deve essere umile,
accettai la sua logica come avevo accettato la sua etica.
– Vede, io ho fame adesso,
dissi ancora educatamente.
– Domani mattina sarò più affamato. Provi a pensare quanto sarò
affamato dopo aver scaricato mattoni per tutto il giorno a stomaco
vuoto. Quindi se lei potesse darmi qualcosa da mangire, potrò essere
in gran forma per i mattoni.
Con aria grave e continuando a mangire soppesò la supplica, mentre
la moglie quasi fremette come se fosse sul punto di fare un discorso
propiziatorio – ma si trattenne.
– Ti dico cosa faccio,
disse tra un boccone e l’altro.
– Tu domani vieni a lavorare e a metà giornata ti do un anticipo
sufficiente per pranzare. Così mi dimostrerai se sei onesto o meno.
– Nel frattempo….,
cominciai ma venni subito interrotto.
– Se ti do da mangiare adesso non ti vedrò mai più. Cosa credi,
conosco il genere. Guardami: non devo niente a nessuno io. Non
mi sono abbassato a chiedere il cibo. Mi sono sempre guadagnato
da mangiare. Il tuo problema è che sei pigro e dissoluto. Si capisce
dalla tua faccia. Io ho lavorato e sono onesto. Grazie a me stesso
sono quello che sono. Anche tu puoi fare lo stesso se lavori e sei
onesto.
– Come lei?,
chiesi.
Perbacco, mai che un raggio di umorismo fosse riuscito a penetrare
sino all’anima cupa intrisa di lavoro di quell’uomo.
– Sì, come me,
rispose.
– Tutti noi?,
chiesi.
– Sì tutti voi,
rispose convinto con voce vibrante.
– Ma se tutti diventassimo come lei,
dissio io,
– Mi consenta di farle notare che non rimarrebbe nessuno per
scaricare i mattoni.
Giuro che negli occhi della moglie apparve il barlume di un sorriso.
Lui inorridì – non saprò mai se era la tremenda possibilità di una
rinnovata umanità che non gli avrebbe più consentito di trovare
qualcuno per scaricare i mattoni o se era la mia impertinenza.
– Non sprecherò altre parole con te,
ruggì.
– Vattene da qui, moccioso ingrato!
Strusciai i piedi per segnalare l’intenzione di andarmene e chiesi:
– ….E non mi dà niente da mangiare?
(J. London, La Strada)