Precedente capitolo:
Prosegue in:
Nel 1892, dopo altri vent’anni, Parkman contempla la rovina
completa:
Invece delle tende indiane coi trofei di archi, lance, scudi e
scalpi dondolanti abbiamo villaggi e città, soggiorni per cer-
catori d’oro, di salute o di piacere, con una società piacevole,
mode parigine, riviste, l’ultimo poema e l’ultimo romanzo.
I figli della civiltà, allettati dalle fascinazioni d’una vita più
fresca e audace, si accalcarono nelle terre selvagge del West
e le moltitudini distrussero l’incanto che le aveva attratte….
L’Indiano selvaggio è convertito in una brutta caricatura del
suo conquistatore e ciò che lo rese romantico, terribile, e odi-
oso è stato gran parte espulso a staffilate.
Benché Parkman senta in pieno l’odio, da nemico, tuttavia,
dovendo enunciare nel suo stile classico, educato sui latini,
ciò che ha visto, giunge all’esattezza che placa, sicché non è
un ‘odiatore d’Indiani’ della specie che egli stesso descrive
in ‘The Conspiracy of Pontiac’.
Quando definisce in modo degno di Sallustio i caratteri di
questi uomini detestati, sparisce la ripugnanza e domina la
pura attenzione.
Così conia quest’epigramma:
‘Gl’Indiani benché spesso rapaci, sono privi d’avarizia’.
Così enuncia i principi religiosi dell’Indiano, che adora
Uno spirito onniscente, onnipotente dominatore dell’Univer-
so, eppure la sua mente non sempre salirà ad una comunione
con un essere che gli sembra così vasto, remoto e incompren-
sibile; e allorarché minaccia un pericolo, quando sono infrante
le sue speranze ed i guai gettano un’ombra su di lui, è incline
a rivolgersi per aiuto ad un ente inferiore, meno remoto dai
limiti ordinari delle sue facoltà.
Ha uno spirito custode, in cui confida per soccorso e guida….
Tra quelle montagne non s’aggirava belva né cantava uccello
né s’agitava foglia che non tendesse a dirigere il suo destino
o ad avvisarlo di quanto gli si preparava; ed egli osservava
il mondo della natura circostante come l’astrologo delle stelle.
…..Quanto alla ‘notte oscura’, per l’ignaro, saccente Parkman
essa è ‘un esaurimento che riconduce al senso comune’; così
egli si meraviglia che una donna il cui stato abituale era ‘l’-
astrazione mistica’ fosse dotata di straordinarie capacità pra-
tiche, quasi che tutti i mistici, da Buddha a Santa Teresa d’A-
vila non fossero stati sommamente pratici.
In una nota, chiaramente aggiunta al testo dopo aver attinto
una maggiore sebbene scarsissima informazione sul tema,
egli soggiunge che la combinazione del talento pratico e
dell’entusiasmo religioso di fatto non è rara, come testimo-
niano i fondatori di Ordini.
E come avrebbe potuto dunque Parkman capire gli sciamani
d’America, se non sapeva neanche distinguere le loro espe-
rienze visionariem le loro esplorazioni del ‘mundus imagi-
nalis’ dai comuni sogni?
freddo è il suo epitaffio sulla morte della civiltà indigena:
Gl’Indiani furono dispersi perché la civiltà li distruggeva
ma la loro ferocia e intrattabile indolenza facevano sì che
essi non potessero esistere al suo cospetto.
Le energie plastiche di una razza superiore, oppure la servi-
le arrendevolezza di una inferiore, li avrebbe in un modo
o nell’altro preservati: come stavano le cose, la loro estinzio-
ne era un risultato scontato.
(E. Zolla, I letterati e lo sciamano)