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(Le preziose immmagini che accompagnano il
presente post sono di pionieri originari attinen-
ti al periodo & luogo storico trattato…)
I canti profani del negro americano furono, per molto
tempo, gli unici che si potessero udire fra le comunità
degli schiavi.
Ci vollero infatti poco meno di due secoli prima che i-
niziasse, su larga scala, la conversione degli schiavi al
Cristianesimo, e si cantassero quindi le lodi del Signo-
re. Le resistenze alla conversione erano state forti, so-
prattutto da parte dei piantatori, che ritenevano che la
schiavitù non potesse essere giustificata se le sue vitti-
me non fossero state tenute allo stato selvaggio.
Alcuni gruppi religiosi, e in particolare i Quaccheri del-
la Pennnsylvania, i Battisti e i Metodisti, riuscirono pe-
rò infine ad aver ragione delle resistenze: si rendevano
conto, come ha osservato con amaro realismo LeRoi Jo-
nes, che la schiavitù si sarebbe potuta giustificare sol-
tanto con la possibilità della conversione.
quanto ai piantatori, finirono per comprendere che la
prospettiva della salvezza in un’altra vita avrebbe po-
tuto tenere tranquilli gli schiavi in questa.
Ma non compresero solo questo: capirono anche che
la religione avrebbe potuto essere un efficace strumen-
to di controllo sociale.
Il predicatore avrebbe potuto fornire agli schiavi degli
eccellenti motivi perché essi obbedissero ai loro padro-
ni comportandosi nel modo che a questi faceva più co-
modo.
Cominciò così l’opera di predicazione e di conversione,
soprattutto da parte dei ministri della Chiesa Battista e
di quella Metodista.
Non fu facile, all’inizio, trasformare gli schiavi in qual-
cosa che somigliasse ai ‘buoni cristiani’. Il primo risulta-
to fu comunque un ibrido tra paganesimo e Cristianesi-
mo, fra usanze e riti africani e liturgia cristiana.
In un articolo del 30 maggio 1867 pubblicato su ‘The
Nation’ è descritta una tipica funzione ‘afro-cristiana’:
‘I banchi vengono addossati al muro, quando la funzio-
ne vera e propria è finita, e tutti, vecchi e bambini, uo-
mini e donne, una folla grottesca di giovani azzimati
stando in piedi in mezzo alla stanza cominciano a cam-
minare in tondo, tenendosi stretti l’uno all’altro, strisci-
ando i piedi senza mai sollevarli da terra. Il senso dell’-
avanzare è dato dai movimenti scattanti che agitano i
corpi, presto madidi di sudore.
Talvolta ballano in silenzio, talaltra, mentre avanzano
strisciando i piedi, cantano il ritornello dello sperichil
(spiritual), solo raramente lo cantano per intero.
Ma più spesso quelli che cantano meglio e gli ‘shouters’
ormai stanchi si radunano in gruppo su un lato della stan-
za e provvedono all’accompagnamento degli altri, cantan-
do il motivo conduttore, e battendo le mani, anche sulle
ginocchia.
Il ballo e il canto sono pieni di energia, e quando lo shout
dura fino a notte, il cadenzato e sordo rumore dei piedi
strisciati per terra impedisce di dormire a quanti stanno
entro il raggio di mezzo miglio’.
E’ importante notare che questi primi partecipanti al ‘ring-
shout’ dovevano compiere ogni sforzo per non incrociare
i piedi perché, se così avessero fatto, avrebbero ‘danzato’:
avrebbero cioè reso omaggio al demonio….
Ad essi era infatti stato insegnato che la musica profana
e naturalmente anche la danza erano diaboliche. Persino
il banjo, persino il violino, in cui i negri eccellevano, era-
no strumenti del demonio, e ‘devil song’ o quanto meno
‘sinful’, peccaminosi, erano i canti che per decenni erano
risuonati nelle piantagioni.
Non per nulla John Wesley, il fondatore della Chiesa Me-
todista, i cui inni avrebbero influenzato profondamente
la musica religiosa dei negri americani, aveva detto:
E’ un peccato che Satana (e quel certo Pietro…) debbono
avere tutte le migliori canzoni …..
Gli schiavi dovevano comunque avvertire confusamen-
te che anche le cerimonie come quella sopra descritta a-
vevano qualcosa di peccaminoso, proprio per la loro ori-
gine africana, e dunque pagana.
Probabilmente proprio per questo motivo esse si svolge-
vano di notte, in luoghi appartati (per lo più in baracche
isolate, spesso in mezzo ai boschi, per la naturale paura
di essere spiati dai valorosi ‘uomini bianchi’…), e si ricor-
reva a strani espedienti nella speranza di attutire il ru-
more dei canti e delle danze….(ed anche, perché no, del-
le poesie…..).
Quasi sempre all’entrata della baracca veniva collocata,
capovolta, una tinozza per il bucato, oppure un vaso di
ferro, che, sollevati da terra da un lato, avrebbero dovu-
to ‘inghiottire’ i rumori, spegnendoli.
Era già un sintomo di quel complesso di colpa che avreb-
be afflitto per molti decenni i negri americani, che fino
ad epoca recentissima si sono vergognati (forse è più giu-
sto dire che ciò poteva contribuire all’ennesima umiliazio-
ne da parte dell’ ‘uomo bianco’), poco o molto, della loro
musica e in particolare del blues e del jazz.
(A. Polillo, Jazz)