UN ALTRO OCEANO (53)

Precedenti capitoli:

Navigare nell’Eretico mare dello ‘Straniero’ (51/50) &

Un altro Oceano (52)

Prosegue in:

Un altro Oceano (54)

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L’Eretico mare dello ‘Straniero’ (1)   (2)   (3)

Da:

i miei libri 

 

 sl9

 

 

 

 

 

In realtà non tutti convenivano con la definizione di ‘essere vivente’

tantomeno col fatto di chiamare ‘raziocinante’ l’oceano. Posai ru-

morosamente sullo scaffale l’enorme volume e presi il successivo.

Si divideva in due parti.

La prima era dedicata al riassunto degli innumerevoli tentativi di

entrare in contatto con l’oceano. Quand’ero a scuola, come ricorda-

vo troppo bene, quegli esperimenti erano argomento d’indefinite

storielle, celie e barzellette.

A confronto delle infinite speculazioni suscitate dal problema, la

scolastica medievale appariva come un modello di chiarezza e

concretezza.

I primi tentativi di contatto avvennero attraverso speciali appa-

recchi elettronici che trasmettevano nella massa della gelatina

vivente gli impulsi emessi dagli interlocutori.

 

terremoto5.jpg

 

L’oceano vi prese parte attiva, modificando gli apparecchi stes-

si.

Tutto avveniva però nella più fitta oscurità.

‘Parte attiva’…. ma in che senso?

L’oceano modificò certi elementi delle apparecchiature che vi furo-

no immerse: cambiarono, quindi, le frequenze delle scariche; quan-

to agli apparati di registrazione, furono sovraccaricati da una mas-

sa enorme di segnali, simili a frammenti di colossali operazioni di

calcolo.

Ma che cosa significava tutto ciò?

Erano dati sul momentaneo stato di eccitamento dell’oceano?

Gli impulsi che altrove, a mille miglia dagli studiosi, stavano pro-

vocando la nascita delle enormi creazioni?

 

terremoto1.jpg

 

O erano le sue creazioni artistiche?

Come saperlo, se non riuscì a ottenere due volte la medesima re-

azione a uno stesso stimolo?

In un caso, infatti, capitava di avere in risposta un’esplosione d’im-

pulsi che quasi facevano saltare per aria le apparecchiature, nell’al-

tro il silenzio assoluto.

Dunque non era possibile la ripetizione degli esperimenti?

Sembrava di essere costantemente a un passo dalla decifrazione,

ma la mole degli appunti non faceva che crescere.

Allora furono costruiti dei cervelli elettronici con una potenza ine-

guagliabile di rielaborazione delle informazioni. Essi conseguiro-

no, effettivamente, alcuni buoni risultati.

 

rd25

 

L’oceano, fonte d’impulsi elettrici, magnetici e gravitazionali, par-

lava un linguaggio matematico; certe sequenze delle sue scariche

di corrente si potevano classificare, impiegando modelli d’analisi

terrestri assolutamente astratti e applicando le teorie della stati-

stica; furono rilevate simmetrie strutturali analoghe a quelle già

osservate, nel campo della fisica, nei rapporti reciproci tra ener-

gia e materia, tra grandezze finite e non finite, tra elementi e

campi. Tutto……

 

sl8

 

Ciò condusse gli scienziati alla persuasione di trovarsi di fronte a un

essere pensante, costituito da un mare di protoplasma simile a un

cervello ingrandito milioni di volte, che avvolgeva il pianeta e che

impiegava il proprio Tempo in complicati ragionamenti sull’essen-

za e realtà dell’Universo; perciò quel che i nostri strumenti riusciva-

no a captare erano solo le briciole di uno sterminato monologo, col-

to a tratti, che andava svolgendosi a profondità (dell’a….) che supe-

ravano la nostra comprensione…..

Questo per quanto riguarda i matematici.

 

sl4

 

Tali ipotesi, secondo alcuni, esprimevano una sottovalutazio-

ne delle possibilità umane, erano come un inchinarsi davanti

all’ignoto, ridando linfa all’antica dottrina dell’ignoramus et

ignorabimus.

Altri ritenevano invece che fossero solo fandonie, nocive e ste-

rili, e che le ipotesi matematiche, che indicavano in questo cer-

vello enorme, elettronico e plasmatico al tempo stesso, il fine

ultimo e la summa dell’esistenza, rispecchiassero la mitologia

del nostro tempo.

(Prosegue…)

(Stanislaw Lem, Solaris)

 

 

 

 

 

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L’INCHIESTA DELL’INQUISITORE (47)

Precedenti capitoli:

Emtrar sempre deue comesar vida nouva vida (45/4) &

L’inchiesta dell’Inquisitore (46)

Prosegue in:

Quattro personaggi in cerca d’autore (48/9)

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L’equazione del Tempo (1)  &  (2) &

Quattro personaggi in cerca d’autore (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

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Si tardò qualche tempo ad interrogare don Patricio Manzanera,

il quale, essendo cappellano della Real Armada, a volte era in

un luogo ed a volte, in un altro.

Il religioso fu infine interrogato nella città di Lorca il 12 ottobre

1785 dal commissario don Mariano Mathias, secondo le regole

del Sant’Uffizio.

Si tornò a raccogliere una seconda deposizione di questo teste

il 12 luglio 1786 a Cartagena, tramite don Ignaco Madrid, commis-

sario del Sant’ Uffizio di tale città, affinché, in aggiunta a quanto già

dichiarato, fornisse ulteriori particolari all’avvenuto diverbio.

 

88001_34

 

Il cappellano confermò quanto precedentemente dichiarato, ossia

che Malaspina aveva sostenuto la tesi della “trasmigrazione delle…

anime”, ed aggiunse di rammentare che l’episodio era avvenuto sul

cassero della Santa Clara, verso l’imbrunire e dopo la recitazione

del rosario.

Precisò che, avendo ascoltato le affermazioni del ‘reo’, gli fece os-

servare che, se gliele avesse udite pronunciare un’altra volta, lo a-

vrebbe fatto sapere al Sant’Uffizio e lo avrebbe rovinato; disse poi

a Malaspina che ‘los misterios de nuestra Fe’ erano concetti che

lui doveva conoscere e che, se lo avesse desiderato, gli sarebbe-

ro stati spiegati.

 

av22

 

Aggiunse che, dopo tali parole, Malaspina gli rispose, con insofferen-

za ed arroganza, di non aver intenzione di mettersi a discutere con

dei cappellani; col che ebbe termine la disputa e, da quella volta, mai

più reo parlò col religioso di simili argomenti.

Don Patricio dichiarò anche che a quella discussione avevano assi-

stito due o tre persone e, a maggior distanza, molte altre, tutte della

nave, delle quali non rammentava l’identità.

Il commissario quindi chiese al testimone informazioni su quei libri

francesi, posseduti dal ‘reo’, ai quali aveva accennato nella deposi-

zione precedente.

 

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Il cappellano precisò che, pur avendo veduto Malaspina leggere di-

versi libri in francese ed inglese, egli, non conoscendo tali idiomi,

non era in grado di individuare che libri fossero, né di quali autori,

né se avessero o meno l’approvazione della censura, nè se, ol-

tre a quelli che portava con sé, ne possedesse altri.

Mai, comunque, aggiunse, si era visto o udito Malaspina parlare

con altri delle cose che stava leggendo. Il teste confermò quanto

 

88001_26

 

già dichiarato circa il libertinaje del linguaggio usato dal reo in va-

rie occasioni ed aggiunse che questi, tenendo di sostenere le pro-

prie affermazioni, era solito buttarla sullo scherzo.

Concluse che, a suo giudizio, Malaspina non nutriva peraltro sen-

timenti differenti da quelli che debbono esser propri di un vero cat-

tolico; e con ciò concluse la sua seconda deposizione…..

(D. Manfredi, L’inchiesta dell’inquisitore sulle eresie di Alessan-

dro Malaspina)

 

 

 

 

 

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PASSAGGI (senz’anima) (l’incomprensione della poesia della Natura) (36)

Precedente capitolo:

Passaggi senz’anima: anche i grandi soffrono… (35)

Prosegue in:

Passaggi senz’anima: il grande silenzio (37)

Passaggi senz’anima: assenza di valori (38)

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Passaggi senz’anima (1)

Passaggi senz’anima (2) &

L’anima in spalla (1)  (2)  (3)  (4)

Da:

i miei libri  

 

passaggi senz'anima 2

 

 

 

 

Considerando che tra il 1820 e il 1850 la lingua frontale del 

Lys si spingeva a circa 2000 metri di quota, si può dedurre

che la fronte si sia ritirata di oltre 1500 metri, da allora.

Attualmente è ‘salita’ a 2350 metri di altezza, non lontano 

dal pianoro detritico su cui la leggenda collocò la mitica 

città di Félik.

Dal 24 al 25 settembre 2009, alla fine della seconda estate

più calda degli ultimi 200 anni, 70 esperti internazionali

si sono riuntiti a Crans Montana, nel Vallese, per discute-

re delle sfide e dei problemi posti dallo scioglimento dei

ghiacciai alpini. 

Il titolo del convegno organizzato dalla Cipra e dalla Con-

venzione svizzera per la Protezione del Paesaggio, emble-

maticamente recitava:

‘Che fare quando il ghiacciaio dietro casa si scioglie?’.

 

passaggi senz'anima 2

 

I ghiacciai sono straordinari indicatori naturali del clima

e la bellezza dei ghiacciai è il principale elemento simbo-

lico delle Alpi, utilizzato in tutto il mondo da migliaia di

operatori turistici a scopo promozionale.

Tuttavia Bruno Abegg dell’Università di Zurigo ha posto

una domanda provocatoria: dobbiamo proprio accanirci

sull’idea di salvare i ghiacciai per le esigenze dei turisti?

Fra cinquant’anni o cent’anni potrebbero vivere delle per-

sone che non hanno mai visto un ghiacciaio in vita loro,

e che dunque non ne sentiranno la mancanza.

‘Avranno altri bisogni – ha detto Abegg -, anche dal punto

di vista turistico (…oppure, aggiungo io, li inventeranno…)’.

 

passaggi senz'anima 2

 

Che i ghiacciai non debbano essere protetti solo per asse-

condare i gusti di viziati turisti è sembrato fuor dubbio,

nel corso del dibattito.

Ci sono emergenze che vanno oltre.

La diminuzione delle risorse idriche fornite dai ghiacciai

è un tema più pressante, per esempio!

Poi c’è il problema della produzione idroelettrica connes-

so a quello dei bacini e dei prelievi, dunque anche alle

prospettive del turismo invernale in relazione al fabbiso-

gno di acqua per la fabbricazione di… neve artificiale….

La questione non è lineare, ma complessa….

 

passaggi senz'anima 2

 

Il comune di Chamonix ha indicato una via possibile, che

non si limita a delineare lo scenario di un futuro senza …..

ghiacciai, ma definisce concreti provvedimenti per affron-

tare la crisi climatica, migliorando l’efficienza energetica

e la mobilità sostenibile.

‘Abbiamo bisogno di esperti e scienziati che mostrino a 

noi politici quali misure siano sostenibili e quali no’, ha 

dichiarato il vicesindaco di Chamonix Joel Didillon.

Lo scioglimento inaspettato dei ghiacciai alpini obbliga

gli amministratori e gli operatori turistici a guardare in 

modo diverso alle loro (e nostre..) montagne.

Non si tratta solo di affrontare la crisi dello sci invernale

attraverso un uso intensivo dei cannoni da neve, miglio-

rando l’offerta con impianti sempre più veloci (o trasporti 

… sempre più veloci…) ed efficienti, per battere la concor-

renza delle stazioni vicine e soprattutto delle nuove mète

esotiche, che offrono il mare anche a Natale, e a prezzi più

bassi delle settimane bianche.

 

passaggi senz'anima 2

 

Non è sufficiente integrare l’offerta tradizionale dei villag-

gi con nuove attrattive ludiche, incrociando lo sport con la

cultura, l’ambiente naturale, lo spettacolo.

Non basterà neanche arrendersi pragmaticamente a un li-

vello sempre più alto della quota-neve garantita, abbando-

nando al loro destino i vecchi comprensori sciistici delle

medie valli per salire anche in pieno inverno verso il sof-

fio freddo dei ghiacciai.

Tutto questo è probabilmente inevitabile, ma non affron-

ta il problema alla radice….

 

passaggi senz'anima 2

 

La questione è ormai di rilevanza globale (come  il proble-

 ma di una linea ad alta velocità che (non) “garantirà sicu-

rezza né  futuro benessere economico…”) e coinvolge mon-

tanari e cittadini insieme, cultura locale e cultura esterna,

senza argini o separazioni possibili.

La ritirata dei ghiacciai, che è al contempo mutazione este-

tica, smarrimento identitario, minaccia ecologica e danno

economico va di pari passo con tutti gli eccessi della civiltà

consumistica urbana, quella stessa civiltà che è salita sulle

montagne sotto forma di inquinamento e urbanizzazione

selvaggia, di inquinamento sonoro e atmosferico, sfrutta-

mento indiscriminato del suolo, speculazione edilizia, ce-

mentificazione, eccesso di auto, funivie, strade….

(E. Camanni, Ghiaccio vivo)

(Prosegue…)

 

 

 

 

 

passaggi senz'anima 2

 

ALLA RICERCA DEL ‘MONTE ANALOGO’ (32)

Precedenti capitoli:

Intermezzi bellici  (28)  &  (29)  &

Alla ricerca del ‘Monte Analogo’  (30)  &  (31)

Prosegue in:

La Prima (33)  &  L’Ultima (34) &

Rocce Dei montagne verità….

Foto del blog:

Alla ricerca del ‘Monte Analogo’  (1)  &  (2)  &

Intermezzo poetico  (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

 

installazione primo campo 2

 

 

 

 

 

Il sentiero usciva dalla foresta e scendeva attraverso radure

violentemente soleggiate fino al torrente che galoppava con

rumori di folla e che noi traversammo a guado.

Dalla sponda umida sollevammo nugoli di farfalle madre-

perlacee, poi ebbe inizio una lunga marcia attraverso pietra-

ie senza ombra.

 

rd50

 

Ritornammo sulla riva destra, dove cominciava una foresta

di larici abbastanza luminosa.

Sudavo e cantavo la mia canzone di marcia.

Avevamo l’aria sempre più pensierosa, ma di fatto lo erava-

mo sempre meno. Il nostro sentiero si innalzò al di sopra di

un’alta barriera rocciosa e svoltò verso destra, dove la valla-

ta si restringeva in una profonda gola; poi si arrampicò spie-

tatamente a giravolte su un’erta cosparsa di ginepri e di ro-

dotentri.

 

4180_l.jpgBIS

 

Sbucammo finalmente in un alpeggio bagnato da mille

ruscelletti, dove pascolavano delle piccole mucche grassot-

telle. Dopo venti minuti di cammino nell’erba inzuppata,

raggiungemmo un pianoro roccioso, ombreggiato da piccoli

larici, dove sorgevano alcune costruzioni di pietra rozzamen-

te  ricoperte di fronde; era la nostra prima tappa.

 

3518_l.jpgBIS

 

Potevamo ancora contare su due o tre ore di luce per siste-

marci. Uno dei rifugi doveva servire da deposito per i baga-

gli, un altro da dormitorio – c’erano dell assi e della paglia, e

un fornello fatto di grosse pietre -; un terzo, con nostra gran-

de sorpresa, era una latteria: giare di latte, forme di burro,

formaggi gocciolanti sembravano attenderci.

 

3967_l.jpgBIS

 

Dunque il luogo era abitato?

Bernard, la cui prima cura era stata di ordinare agli uomini

di deporre archi e frecce nell’angolo del dormitorio che si

era riservato, e anche le fionde di cui qualcuno era provvisto,

Bernard venne a spiegarci:

– Era ancora abitato questa mattina. Qui ci deve essere sempre

qualcuno che si occupi delle mucche. D’altronde è una legge

che vi sarà spiegata lassù; nessun accampamento deve mai

restare vuoto per più di un giorno.

 

3511_l.jpgBIS

 

Da dove ci trovavamo, potevamo seguire con gli occhi circa 

la metà dell’itinerario della seconda tappa. Avevamo deciso

di approfittare del bel tempo per ripartire l’indomani matti-

na. Forse avremmo la fortuna di trovare la nostra guida alla

Base (come avevamo ben previsto) il giorno stesso; ma forse

avremmo dovuto aspettare il suo ritorno da una escursione

più o meno lunga.

 

4077_l.jpgBIS

 

Saremmo partiti tutti e otto con tutti i portatori, tranne due

….e la guida che decidemmo sarebbe rimasta ad occuparsi

delle mucche mentre gli asini e i loro conducenti sarebbero

ridescesi a prendere nuovi carichi.

Del resto la nostra guida si era rivelata anche un ottimo…..

(René Daumal, Il Monte Analogo)

 

 

 

 

 

installazione primo campo 2

 

ALLA RICERCA DEL ‘MONTE ANALOGO’ (31)

Precedenti capitoli:

Alla ricerca del ‘Monte Analogo’ (30)

Prosegue in:

Alla ricerca del ‘Monte Analogo’ (32)

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Alla ricerca del ‘Monte Analogo’  (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

 

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…. Gli invitati arrivarono più o meno in orario (come previsto).

Voglio dire che, essendo stato fissato l’appuntamento per le

quattro, Mr Beaver era lì per primo alle tre e 59 mentre Julie

Bonasse, l’ultima arrivata, benché fosse stata trattenuta da

una prova, era comparsa poco dopo che erano suonate le

quattro e mezza….

 

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Dopo il brusio delle presentazioni, ci sistemammo intorno a

un grande tavolo a cavalletti e il nostro ospite prese la parola.

Ricordò a grandi linee la conversazione che aveva avuto con

me, affermò l sua convinzione dell’esistenza del Monte Analo-

go, affermò e dichiarò che stava per organizzare una spedi-

zione per esplorarlo (e prese in merito anche dei brevi appunti).

– La maggior parte di noi,

proseguì,

 

rd20

 

– conosce già il modo con cui ho potuto, in una prima appros-

simazazione, limitare il ‘campo’ delle ricerche. Ma due o tre

persone non sono ancora al corrente e per loro, e anche allo

scopo di rinfrescare la memoria agli altri, riprenderò l’esposi-

zione delle mie deduzioni….

Mi lanciò a questo punto uno sguardo malizioso e insieme au-

toritario, che esigeva la mia complicità in quell’abile menzogna.

 

rd31

 

Perché nessuno beninteso, era al corrente di niente. Ma, con

questa semplice astuzia, ognuno aveva l’impressione di far

parte di una minoranza ignorante, di essere uno dei ‘due o tre

che non erano al corrente’, credeva di sentire intorno a sé la

forza di una maggioranza convinta, e aveva fretta di venir con-

vinto a sua volta.

Questo metodo di Sogol per ‘mettersi in tasca l’uditorio’, co-

me più tardi disse, era una semplice applicazione, diceva,

 

rd29

 

del metodo matematico che consiste nel ‘considerare il pro-

blema come risolto’; o anche, saltando alla chimica, ‘un e-

sempio di una reazione a catena’.

Ma se questa astuzia era al servizio della verità, si poteva

ancora chiamarla menzogna? In ogni modo, ognuno tese il

suo più intimo orecchio…..

– Riassumo,

disse,

– i dati del problema…..

In primo luogo, il Monte Analogo deve essere molto più alto

 

rd10

 

delle più alte montagne finora conosciute. La sua vetta deve

essere inaccessibile con i mezzi finora conosciuti. Ma, in se-

condo luogo, la sua base deve essere accessibile per noi

(che lo dobbiamo conquistare..), e le sue pendici più basse

devono essere già abitate da esseri umani simili a noi, giac-

ché esso è la via che unisce effettivamente il nostro regno u-

mano attuale a regioni superiori…..

Abitate, dunque abitabili…

 

rd6

 

Che presentano dunque un insieme di condizioni di clima,

di flora, di fauna, di influenze cosmiche di ogni genere, non

troppo diverse da quelle dei nostri continenti. Poiché il mon-

te stesso è estremamente alto, la sua base deve essere ab-

bastanza larga per sostenerlo: deve trattarsi di una superficie

grande almeno come quella delle isole più vaste del pianeta

– della Nuova Guinea, del Borneo, del Madagascar – forse an-

che dell’Australia.

 

rd44

 

Ammesso questo, sorgono tre questioni: come mai questo

territorio è sfuggito finora alle investigazioni dei viaggiatori?

Come penetrarvi?

E dove si trova?

Risponderò subito alla prima domanda, che può sembrare

la più difficile da risolvere. Ma come? Sulla nostra Terra esi-

sterebbe una montagna più alta delle più alte vette dell’Hima-

laya e non ce ne saremmo ancora accorti?

 

rd34

 

Sappiamo tuttavia a priori, in virtù delle leggi dell’analogia, che

deve esistere. Per spiegare il fatto che non sia stata ancora

notata, si presentano varie ipotesi…. Prima di tutto, potrebbe

trovarsi sul continente australe, ancora poco conosciuto. Ma

prendendo la carta dei punti già raggiunti di questo continente

e determinandone, con una semplice costruzione geometrica,

lo spazio che lo sguardo umano ha potuto abbracciare a parti-

re da questi punti, si vede che un’altezza superiore agli 8000

metri non sarebbe potuta passare inosservata – né in quella né

in alcun’altra regione del pianeta….

 

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Questo argomento mi parve geograficamente molto discutibi-

le. Ma per fortuna nessuno vi fece attenzione.

Proseguì:

– Si tratterebbe dunque di una montagna sotterranea? Certe leg-

gende, che si sentono raccontare soprattutto in Mongolia e nel

Tibet, fanno allusione a un mondo sotterraneo, dimora del ‘Re

del Mondo’, dove si conserva, come un seme imperituro, la co-

noscenza tradizionale. Ma questa dimora non corrisponde alla

seconda condizione di esistenza del Monte Analogo; non po-

 

rd42

 

trebbe offrire un ambiente biologico sufficientemente vicino al

nostro solito ambiente biologico; e anche se il mondo sotterra-

neo esiste, è probabile che si trovi proprio nei fianchi del Mon-

te Analogo.

Poiché tutte le ipotesi di questo genere sono inammissibili,

siamo portati a porre il problema diversamente. Il territorio cer-

cato deve poter esistere ‘in una regione qualsiasi’ della super-

ficie del Pianeta; bisogna dunque studiare per quali condizioni

risulta inaccessibile non solo alle navi, agli aerei o ad altri mez-

zi di trasporto, ma anche anche quando pensiamo vederla,

sfugge agli occhi della conoscenza ed allo sguardo…..

(Prosegue….)

 

(René Daumal, Il Monte Analogo; e grazie alle bellissime

foto e a tutta l’arte della brava Tatiana Plakhova…)

 

 

 

 

 

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LA TEMPESTOSA NUVOLA DEL XIX SECOLO (27)

Precedenti capitoli:

Il Primo Pensiero (25/24) &

La tempestosa nuvola del XIX secolo (26)

Prosegue in:

Intermezzi bellici (fra una pagina e l’altra di poesia)  (28)  &  (29)

Foto del blog:

La tempestosa nuvola del XIX secolo (1)  &  (2) &

Intermezzi bellici  (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

 

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La tempestosa nuvola…. 

… Un rifugio isolato…, e in questa casa abitai per tre

settimane….

Era la casa del poeta Machen, il cui nome ricordai

benissimo, non appena lo vidi; aveva sposato una

bella ragazza diciottenne, evidentemente spagno-

la, la quale giaceva sul suo letto nell’ampia e lumi-

nosa camera da letto, a destra, sulla veranda.

Sopra la sua mammella sinistra giaceva un picco-

lo bambino (il cui nome la mamma aveva inciso

con il suo pennello in un piccolo quadro: Tommaso),

 

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con un ciuccio di gomma in bocca (e da come lei

lo teneva stretto… sembrava il suo piccolo Poeta..);

tutt’e due erano meravigliosamente preservati come

ad una nuova e più limpida vita, e lei era ancora mol-

to bella, una fronte bianca sotto due bande di capelli

corvini….

Il poeta però, non era morto con loro: era nella stan-

za sul retro, con un’ampia giacca di un grigio di seta,

seduto alla scrivania…. a scrivere un poema di una

… precedente vita trascorsa… che i due avevano vis-

suto chissà dove….

 

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E doveva aver scritto, come potevo vedere, a una ve-

locità folle: c’erano fogli scritti dappertutto; alle tre del

mattino, poiché sapevo che a quell’ora appunto la nu-

be aveva raggiunto quell’estremità della… Cornovaglia,

e l’aveva fermato, e l’aveva costretto a poggiare la te-

sta sul tavolo di lavoro; probabilmente la sua giovane

moglie si era addormentata prima, aspettando l’arrivo

della nube; chissà quante notti aveva già passate sen-

za dormire, e così se ne era andata a letto… con tutti

i suoi ricordi con stretta al petto il suo giovane Poeta

Tomaso; e lui forse le aveva promesso di seguirla, per

 

nb25

 

morire con lei, ma nell’ostinazione di finire il suo poema

aveva continuato a scrivere febbrilmente, e a fare a ga-

ra con la maledetta nube, pensando, immagino, ‘solo

due strofe ancora’, finché non arrivò la cosa, e egli co-

sì come il sonno della ragione piegò la testa sul tavolo;

e non credo, io anima che vaga nelle fiamme dell’Infer-

no da me creato…, non credo di aver trovato nulla che

facesse onore alla mia razza più di questo Machen, e

la sua corsa contro la nube: perché è chiaro adesso

 

nb21

 

che, di questi uomini detti poeti, i migliori almeno non

scrivevano per far piacere all’oscura inferiore tribù di

quelli che potevano leggerli, bensì per dare alla luce

quell’ardore Divino che bolle nel loro petto; è chiaro che

se tutti i lettori fossero morti, i poeti avrebbero continuato

a scrivere, dal momento che scrivono perché li legga

Iddio……

 

(M.P. Shiel, La nube purpurea)

 

 

 

 

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LA NUBE PURPUREA (vedere & capire) (23)

Precedenti capitoli:

Il ritorno (21) &

Cosa era successo? (22)

Prosegue in:

La predica della domenica &

Il Primo Pensiero (24)  &  (25)

Foto del blog:

La nube purpurea &

Cosa era successo? &

Il Primo Pensiero  (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

 

la nube purpurea

 

 

  

……Solo tra tutti loro, e in nessun luogo un altro, un suo pari,

a cui chiedere aiuto contro di loro?

Leggevo, mi chinavo sopra la carta stampata, ma solo Dio sa…..

 

 

 

la nube purpurea

 

 

 

 

 

(… Cosa era successo?…)

Quando un foglio di carta che spostavo con cura, con mosse da

ladro, faceva un solo leggero fruscio, come rimbombava quella

diana nelle sale insidiate dai fantasmi del mio cuore!

E la tosse che mi tenevo nel gozzo, reprimendola per la paura,

finché non scoppiò con spietata turbolenza dalle mie labbra, man-

dando ricci di freddo per tutto il mio spirito: perché alle parole

che leggevo si mescolavano dappertutto visioni di bare striscianti,

drappi funebri e lamenti, e crespi, e strilli penetranti di follia che

echeggiavano lungo le volte delle catacombe, e tutto il lutto di

quella valle d’ombra, e la tragedia della corruzione.

 

la nube purpurea

 

Due volte, nel corso della veglia spettrale di quella notte, la cer-

tezza che la presenza di uno di quegli esseri muti indugiava accanto

al mio gomito sinistro, mi riempì di un tale terrore, da farmi scattare

in piedi, per fargli fronte, con i pugni stretti e i capelli dritti sulla

testa, freneticamente: dopo di che, credo di essere svenuto, perché

mi ritrovai, in pieno giorno, con la fronte poggiata sui giornali; e de-

cisi di non rimanere mai più, dopo il tramonto, chiuso dentro una

casa: perché quella notte sarebbe bastata a uccidere l’uomo più ro-

busto, santo cielo!

 

la nube purpurea

 

E che questo è un pianeta insidiato dai fantasmi, ne sono certo.

…..Avevo già pensato alle miniere, ma piuttosto distrattamente,

finché questo articolo, e altri che lessi in seguito, non vennero a

schiaffarmi, per così dire, l’idea in testa.

Perché ‘lì’ mi dicevo ‘troverò un uomo, ….se mai lo trovo….’.

Uscii dal palazzo, quel mattino, come un uomo prostrato dalla

vecchiaia; perché gli abissi di orrore che avevo intravvisti nel

corso di quelle ore tenebrose mi avevano reso debole, i miei

piedi inciampavano, il mio cervello barcollava.

 

la nube purpurea

 

Presi Farringdon Street, e arrivato a Piccadilly Circus, dove

quattro strade si incontrano, scorsi a perdita d’occhio, quattro cam-

pi di cadaveri, cadaveri, vestiti come da uno straccivendolo in ogni

sfumatura dello stinto; o vestiti a metà, o del tutto svestiti, alle volte

perfino ammucchiati gli uni sugli altri, come già avevo osservato a

Reading; ma qui il loro aspetto scheletrico era più appariscente:

vedevo le spalle gonfie, le ossa dell’anca sporgenti, i ventri svuotati.

 

la nube purpurea

 

….E gli arti rigidamente ossuti come di uomini morti di fame; l’in-

sieme presentava l’aria bizzarra di un macabro campo di battaglia

di marionette cadute; e mescolati alle salme, una moltitudine di

veicoli di ogni specie, tra i quali riuscii a farmi strada, fino a un

certo negozio sullo Strand, dove speravo di reperire tutte le infor-

mazioni che mi servivano su miniere e scavi nel Paese; ma la sa-

racinesca era chiusa, e non volevo far alcun rumore tra quella gente,

anche se la giornata era serena, e non mi sarebbe costata gran fatica

entrare nel locale: proprio lì vicino su un furgone avevo scorto una

leva di ferro.

 

la nube purpurea

 

Mi diressi invece al British Museum, il cui sistema di catalogazio-

ne mi era noto; quando entrai, nessuno mi fermò all’ingresso della

sala di lettura, e in tutta la vasta sala rotonda non c’era un’anima,

soltanto un vecchio occhialuto con sotto il mento un gozzo volumi-

noso, riverso sopra una delle scalette per raggiungere i libri, accan-

to agli scaffali, un ‘lettore’ fino all’ultimo respiro.

 

la nube purpurea

 

Diedi uno sguardo ai cataloghi, poi salii al piano di sopra e vi ri-

masi per un’ora, tra le semibuie sacre gallerie di quel luogo di silen-

zio, e quando vidi davanti a me certi papiri greci e copti, certi docu-

menti e sigilli regali, sognai un tale sogno di questa terra,…….

Dio buono!, che nemmeno la penna di un angelo saprebbe esprimere

sulla carta.

 

la nube purpurea

 

Dopo me ne andai, con più di venti chili di carte geografiche, che

ficcai in una valigia trovata nel guardaroba, e tre volumi di rileva-

menti topografici.

Riempii un sacco di provviste, quel che mi bastava per una settimana

o due; siccome avevo scoperto accanto al piccolo molo vicino al ponte

di Blackfriars una snella imbarcazione da diporto bianca, a motore,

di qualche tonnellata, verso mezzogiorno stavo già risalendo, sempre

solitario, il corso del fiume, che correva come quando i Britanni non

erano ancora nati, e poi lo videro, e vi innalzarono accanto capanne

di fango tra i boschi, e poi arrivarono i romani, e lo videro, e lo

chiamarono……….

(M.P. Shiel, La nube purpurea)

 

 

 

  

 

la nube purpurea

 

MASI…. O PISTE? (20)

Precedente capitolo:

La parete (19) &

Il ‘Libretto’ da guida (18/17)

Prosegue in:

Il ritorno (21)

Foto del blog:

Il ‘Libretto’ da guida  (13)  &   (14)

Da:

i miei libri 

 

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17 novembre 1971

 

Lo Stallwieserhof è la sede umana permanente più elevata

 del gruppo Ortles-Cevedale e una tra le più elevate del Ti-

rolo del sud.

Vi si arriva per il sentiero che risale la costa del monte in

sponda sinistra del Plima, nell’alta Val Martello, al cospet-

to di uno sterminato rosario di monti, di valli e di lavine.

E’ un itinerario faticoso, ma ossigenante e didattico perché

alla ginnastica, che costringe a fare, unisce la meraviglia

del contrastato amore dell’uomo per la vita.

 

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Infatti, le zone selvagge si alternano a isole coltivate e a

lande dove la natura ha preso il sopravvento dopo che l’-

uomo si è arreso.

L’inverno è giunto improvviso con un paio di grosse nevi-

cate alle quali ha fatto seguito un gelo polare. Unico segna-

le è il sentiero tracciato affrettatamente dalla gente dei ma-

si tanto che, a uscirvi, si affonda fino all’inguine.

Il senso della solitudine è infinito.

Si è presi dal timore di offendere il silenzio che è enorme,

ossessionante come le cime, altissime, dei monti di contro

al cielo.

 

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Eppure sembra di udire una continua, lontana nota sonora

di corno, che riecheggia in quell’anfiteatro di rocce e di bo-

schi freddi e limpidi come il diamante.

Perché?

E’ forse l’humus della storia, mai scritta, degli uomini che

hanno sfidato le desolate prode e che è rimasta incisa nel

paesaggio provocando un dialogo tra la violenza e l’amore?

Ecco là, dove i sentieri si incrociano nella breve conca ai

piedi delle rupi, l’uno proseguendo per lo Stallwies, l’altro

costeggiando il bosco di Sebel verso Greithof, il ricovero per

le pecore.

La neve lo ha aggredito da ogni parte.

 

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Suggerisce l’immagine di una sgangherata, lunga capanna

di pietre improvvisata da ignoti fuggiaschi sul cammino

dell’esodo. Bassa, molto bassa, poggiata al sasso affiorante,

ha il tetto a una falda che scende in direzione della china

del monte; ha larghe sporgenze di tronchi di legno posti uno

sopra l’altro e, infine, larghe porte di assi rozzamente taglia-

te.

D’estate, le grigie fiumane di pecore scorrono sui prati del-

l’alpe andando da uno stazzo all’altro onde naturalmente

fertilizzare i prati.

 

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I luoghi, e i nomi imposti ai luoghi, danno la misura della

discreta antropizzazione che non si arresta nelle alte radu-

re dei masi, ma coinvolge la montagna fino al deserto del

deserto nivale.

Si tratta di una storia umile perché i suoi protagonisti non

sono le date e le guerre, né i potenti, né le città, ma povera

gente disperata la cui economia era appesa alla bontà o

meno del decorso del tempo.

Ieri, come oggi. E’ sempre stato così.

E’ per questo che la storia silenziosa della colonizzazione

della montagna ha il fascino misterioso del cosmo.

A tuffarvisi dentro si vien presi da uno stimolo di esplora-

zione. Ma se si pone a fuoco il il cannocchiale, prende alla

gola e dà le vertigini.

 

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Allora i giochi intellettuali e sociali in cui navighiamo as-

sumono la dimensione dell’amaro giro di una danzatrice

di ‘tabarin’ e appaiono autentici i sogni fioriti nella solitu-

dine.

Essi sono la storia scritta nella natura.

E’ il senso dei nomi dei luoghi, dei racconti delle ‘luci’,

cioè dell’interrotto rapporto tra morti e vivi, degli esseri

benefici e malefici che popolano i boschi, dei fuochi che

accendono in certe sere…..

Vi si ritrovano la secolare vicenda dei masi, l’accanimen-

to, epico, della lotta per la sopravvivenza e l’avvicendar-

si delle generazioni ognuna delle quali ha ricevuto e tra-

smesso qualche cosa di suo.

Seguendo , a ritroso, questa specie di filo Arianna, si sco-

priranno le credenze di popolazioni remote che si sono

esaltate o ammorbidite con l’innesto del cristianesimo……

(Aldo Gorfer, Gli eredi della solitudine)

 

 

 

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GIU’ NELL’ALBERGO (16)

Precedenti capitoli:

Giù nell’albergo  (15)  (14)  (13)  (12)

Prosegue in:

Il ‘Libretto’ da guida (18/17)

Foto del blog:

Andiamo!  (11)  &  (12)

Da:

i miei libri

 

 

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Giù nell’albergo….

…. Ma vi ha una folla che si affaccia curiosa ed attenta

al mistero incompreso: sciami di fanciulle, interi collegi

di giovinetti che vedono un ghiacciaio per la prima vol-

ta e riempiono di esclamazioni di sorpresa il piccolo

piazzale dell’albergo, così vicino al mare di ghiaccio che

sembra di potervi lanciare un sasso; uomini gravi, signo-

re attempate, qui giunti a mulo o sulla lettiga; si avvolgo-

no negli scialli, presi da un grande brivido, guardano at-

torno con gesti di stupore, quasi impauriti dalla vastità e

dalle altezze, e si coprono il ciglio abbagliati dal fulgore

delle nevi.

Si vedono occhi indifferenti che hanno guardato mezzo

il mondo farsi attenti a contemplare a lungo lo spettaco-

lo inatteso; volti chiusi, che recano l’impronta delle cure

quotidiane della vita, aprirsi ad una esaltazione insolita.

Guardano in alto… e gridano increduli se vi siano dei

pazzi che salgono lassù; ma forse nell’animo loro intui-

scono o mimano confusamente una forma di vita a lo-

ro ignota, alle vie rumorose ed ai ricchi palazzi delle cit-

tà ed incominciano a meditare se, per commettere cer-

te follie, o nel loro gergo, pazzie, non sia mestieri avere

un cervello perfettamente equilibrato….

Questi sono i profani che urlano muti con il ghigno fra

le mani, non varcano la soglia del Tempio, non cono-

scono il Tempo, ed io, nel loro urlo di furore li rispetto,

perché essi sono venuti a contemplare o rubare la glo-

ria eterna dei monti e forse perché spero che oltre al lo-

ro bicchiere di gazzosa liscia o al doppio malto…, pro-

vino in cuor loro di salire un gradino più in alto cui la

strana materia che li accompagna comanda un vile ed

… antico destino…..

Poi vi sono altri uomini, giunti quassù spogli d’ogni altro

pensiero consueto ed iniziano una nuova vita. Qui non

pensano ad altro che alla loro montagna, non ragiona-

no di altro.

Sembra un convento di alpinisti, e le vette attorno sono

gli altari ove essi vanno a compiere ed officiare i sacri ri-

ti: riti misteriosi, riti di pazzi, lontani dalla vista degli altri

uomini (che anche se scrutano attenti.. non comprendo-

no e potranno comprendere), terribili talora, indesiderati;

e quegli che ha compiuto il rito più terribile viene conside-

rato il più santo, o il più diavolo, o per chi è entro il Tempio

del Tempo: il più pazzo.. da immolare all’altare di un futu-

ro ciarlatano….

 

(Guido Rey, Alpinismo acrobatico)

 

 

 

 

 

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