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Come vero baluardo la Muraglia non aveva senso.
Unni, mongoli, manciù la travolgevano quasi a loro piacimento.
Il sinologo Owen Lattimore ha azzardato l’ipotesi che fosse stata
costruita più per tenere dentro i cinesi che fuori i nomadi.
Forse, inconsapevolmente, era più una grandiosa presa di
posizione che non una difesa fisica.
Separava la civiltà dalla barbarie, la luce dalle tenebre.
Era un atto di vibrante nagazione: laggiù non è ciò che siamo.
Ed era impregnata di paura.
Vi furono murati cadaveri per respingere gli avidi spiriti del
deserto.
Come i russi scaricavano i loro condannati in Siberia, così i cinesi
rigettavano nelle zone di confine tutti i rifiuti del Celeste impero:
i dissidenti, i criminali, perfino gli sciocchi. E così facendo si
purificavano.
Perciò la desolazione nella quale Lao Tzu cavalcava il suo bufalo
nero ha messo radici nell’inconscio dei cinesi come un simbolo di
mortalità. Credevano che tutti i loro dèi vivessero in città cinte
da mura come le loro, e in palazzi anch’essi cinti da mura.
Tra questi, il Dio delle Mura e dei Fossati era il dio della morte.
Sussurrava alla gente quando doveva varcarli.
Ma sebbene la paura permanesse, la frontiera spesso non costitui-
va affatto una limitazione. All’epoca dell’espansione imperiale i
cinesi si spingevano in massa molto oltre di essa.
La linea frammentaria di una fortificazione della dinastia Han
si estende per altri 480 chilometri a ovest della Muraglia. A quel
tempo i condannati esuli diventavano schiavi agricoli, oppure
lavoravano nelle miniere imperiali oltre la Muraglia, e i
funzionari caduti in digrazia venivano assegnati in prova a
remote destinazioni.
In altre epoche, quando la Cina cominciò a indebolirsi, il temuto
deserto vi irruppe non per distruggerla, ma per ricostituirla.
Come il quasi mistico Imperatore Giallo, le sue grandi dinastie
unificatrici – i fondatori Qin, i Sui, i Tang, gli Yuan – in origine
non erano affatto cinesi, ma erano giunti tra nugoli di polvere
dal Nord e dall’Ovest barbari.
Qui a Jiayuguan, dove terminava la Grande Muraglia, il leggenda-
rio isolamento della Cina andava a pezzi. Il deserto esalava una
promessa che ne bilanciava gli orrori. Da qualche parte al di
là delle distese brulicanti di demoni c’era un paradiso montano
dove la Regina Madre dell’Occidente presiedeva un giardino
di immortali; e mentre le prime carovane partivano con i loro
rotoli di seta e di altri filati, i mercanti cominciarono a tornare
con prodotti di origini ignote.
Per secoli la Cina e l’Occidente continuarono a non sapere
nulla l’una dell’altro. Proprio come i romani, che conoscevano
il cotone, immaginavano che la seta crescesse sugli alberi, i
cinesi, basandosi sui bachi da seta, immaginavano che il
cotone fosse prodotto da un animale.
Perciò immaginarono l”Agnello Vegetale’, una creatura che
spuntava fuori dal terreno dove pascolava segretamente di
notte, e generava dei piccoli ricoperti di cotone.
Per i romani gli sperduti cinesi erano un popolo remoto, felice,
e allo stesso tempo, dapprima in maniera vaga, in Cina si
diffusero le voci di una potente monarchia elettiva al di là
della Persia i cui sudditi erano onesti e pacifici.
(C. Thubron, Ombre sulla Via della Seta)