LA LENTA DISCESA (12)

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– Ora, Axel, – gridò il professore con entusiasmo,

– ci caleremo davvero nelle viscere del globo.

– Da questo momento comincia la nostra vera spedizione!

Detto questo, accese la lanterna dell’apparecchio di Ruhmkorff, che

portava appesa al collo, e una viva luce dissipò le tenebre della

galleria.

Anche Hans, che portava il secondo apparecchio, lo accese. Quest’ingegnosa

applicazione dell’elettricità ci avrebbe permesso di illuminare a giorno anche

degli ambienti carichi di gas infiammabili.

– In marcia!, disse il professore.

Ciascuno si assicurò sulle spalle la sua parte di bagaglio.

Hans si incaricò di far rotolare davanti a sé il grosso pacco degli oggetti non

fragili, ed entrammo in fila nella galleria. Io chudevo la marcia.


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Prima di addentrarmi in quel corridoio oscuro, alzai la testa e vidi, un’ultima

volta, dal fondo del profondissimo pozzo, quel cielo d’Islanda, che non avrei

dovuto mai più rivedere.

La lava, che nell’ultima eruzione s’era aperta un passaggio attraverso il tunnel

inclinato in cui discendevamo, ne tappezzava le pareti di un intonaco spesso

e brillante; la luce elettrica vi si rifletteva, centuplicando la propria intensità.

Tutta la difficoltà della strada consisteva nel non scivolare troppo rapidamente

per una pendenza di quasi quarantacinque gradi, per fortuna certe erosioni

e certe escrescenze servivano da gradini, e non avevamo che da scendere

lasciando filare davanti a noi il grosso del bagaglio, trattenuto da una corda.

Ma le escrescenze che facevano da gradini sotto i nostri piedi, erano

stalattiti sul nostro capo, la lava, porosa in certi punti, presentava delle

piccole ampolle arrotondate; dei cristalli di quarzo opaco, ornati di

limpide gocce di vetro e sospesi alla volta come lampadari, sembravano

accendersi al nostro passaggio.

Si sarebbe detto che i geni dell’abisso illuminassero il loro palazzo per

ricevere gli ospiti della terra.

– E’ magnifico! – gridai involontariamente.

– Che spettacolo, zio mio!


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– Ammirate queste sfumature della lava che vanno dal rosso bruno al

giallo squillante per gradi insensibili!

– E quei cristalli che ci appaiono come globi luminosi?

– Ah, ti entusiasmi anche tu, Axel!

Rispose mio zio.

– Trovi splendido tutto questo, ragazzo mio, ma vedrai ben altro, spero.

– Camminiamo! Camminiamo!

Avrebbe detto più giustamente ‘scivoliamo’, perchè spesso non avevamo

che da lasciarci andare senza fatica su dei piani inclinati.

Era la ‘facile’ discesa all’Averno di Virgilio.

(Jules Verne, Viaggio al centro della Terra)





 

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IL VIAGGIO PROSEGUE (10)

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Verso la fine degli anni 70 il sommergibile ‘Alvin’, è stato utilizzato per

esplorare il fondale marino lungo la fossa delle Galapagos, nell’oceano

Pacifico. Questa formazione, situata a circa 2,5 chilometri di profondità,

è interessante per i geologi in quanto esempio primo di un tipo di camini

vulcanici sottomarini detti ‘black smokers’.


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Il nome deriva dall’aspetto dei camini rocciosi, ricoperti di minerali, che

riversano liquidi scuri nell’oceano circostante. Nei pressi di un ‘black

smoker’ l’acqua può arrivare a temperature di 350° C, molto al di sopra

del normale punto di ebollizione. La cosa è possibile grazie all’immensa

pressione che si registra a simili profondità.


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Con grande stupore degli scienziati che partecipavano al progetto, le

regioni intorno ai ‘black smokers’ delle Galapagos, e diverse altre delle

profondità marine, si sono rivelate brulicanti di vita.

Tra gli abitanti più esotici degli abissi si annoverano granchi giganteschi

vermi tubicoli, ma alla periferia dei ‘black smokers’ c’erano anche i familiari

‘batteri termofoli’. La scoperta più straordinaria è stata però quella di

microbi, fino a quel momento sconosciuti, che vivevano molto vicino al

brulicante materiale emesso dal sottosuolo, a temperature che giungevano

a 110° C. Nessuno scienziato aveva mai seriamente immaginato che una

forma di vita potesse sopportare una temperatura così alta.


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Gli organismi che vivevano a 80° C. o più sono noti come ‘ipertermofoli’,

per via della loro stupefacente resistenza al calore. Dopo la scoperta è

subito divenuto chiaro che questi ‘estremofoli’ non erano un capriccio

isolato della natura; a tutt’oggi ne sono stati descritti una ventina di generi

diversi.

Fatto significativo, molti ‘ipertermofoli’ appartengono al regno degli archei.

Il record ufficiale di temperatura è detenuto al momento da un ‘Pyrodictium

occultum’ un organismo che è stato trovato vivo è vegeto in materiale tenuto

in autoclave a 121° C. per un’ora. Si hanno le prove che questi microbi che

vivono sotto il fondo marino alla temperatura di 169° C.

Un interrogativo fondamentale circa questi organismi delle profondità marine

è: da dove traggono il nutrimento?


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I biologi hanno creduto per lungo tempo che ogni forma di vita sulla Terra

ricavasse l’energia vitale, più o meno direttamente, dal Sole.

Le piante non crescono in assenza di luce, e gli animali devono mangiare le

piante (o altri animali) per sopravvivere. A quelle profondità abissali però

regna il buio più assoluto. Neanche un raggio di luce solare riesce a penetrarvi.

Questo non è un problema per i granchi e i vermi, che cercano il cibo tra le

piccole creature che popolano il fondale; ma la catena alimentare deve pur

avere  una base su cui poggiarsi.

Si è scoperto che il ruolo di produttori primari è svolto dai microbi, i quali

ricavano l’energia direttamente dalla rovente brodaglia chimica eruttata dalle

profondità vulcaniche. Gli organismi che non si nutrono di materia organica,

ma producono la propria biomassa direttamente si dicono autotrofi. L’esempio

più familiare è quello delle piante, che usano l’energia della luce solare per

trasformare sostanze inorganiche, come l’anidride carbonica e l’acqua, in

composti organici. Gli autotrofi che fabbricano la propria biomassa sfruttando

l’energia chimica anziché quella della luce sono stati denominati ‘chemioautotrofi’

o, più concisamente, ‘chemiotrofi’.

La scoperta dei veri chemiotrofi ha rappresentato un evento cardine nella storia

della biologia, perché ha svelato la base di una nuova catena alimentare, del

tutto indipendente, di una gerarchia di organismi che potevano esistere accanto

alle familiari forme di superficie, e tuttavia non dipendere dalla luce solare come

fonte primaria di energia.

Si affacciava per la prima volta la possibilità di un ecosistema svincolato dalle

complicazioni della ‘fotosistesi’. Gli scienziati hanno cominciato a intravedere un

nuovo vasto regno della biologia che era rimasto nascosto per miliardi di anni.

(P. Davis, Da dove viene la vita)



 


 

 


 

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IL ROSSO IL NERO…E L’ERETICO (2)

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il nero

 

 






Mi sveglio stamattina, impazzito per il blues,

non riesco neanche a vedere, oh già, la differenza tra una scarpa e l’altra.

Non sono altro che un pazzo e uno sciocco, non riesco a fare un accidente,

me ne sto qui intorno a saltellare, oh già,

come una scimmietta appesa a un cordino.

Sono sceso in città questa mattina, con un cappello messo alla rovescia,

ah, la gente mi guardava come se mi giudicasse un buffone di campagna.

Sentii qualcuno chiamarmi, era il poliziotto che faceva la ronda,

voleva semplicemente dirmi, oh già già,

che stavo guidando sulla corsia sbagliata.

Gente, vi ripeto ancora che sono davvero pazzo per via del blues,

me ne vado sui binari del treno, e poi giù al fiume, eh sì,

ma non so proprio quale dei due sceglierò.

(Peetie Wheatstraw, Crazy with the Blues) 

 

il nero

 

Me ne vado solitario alla deriva per campi e paludi,

con il sacco a pelo sotto il braccio,

una fiaschetta di Tocai in tasca, per tenere caldo questo povero corpo.

Mi adagio per riposare ovunque sia solido il terreno,

poi blues e demoni scivolano lentamente su di me,

al far del giorno m’hanno reso un relitto umano.

Il sole fa capolino sopra le montagne,

è tempo di arrotolare il sacco e andare via,

prego solo di poter sedere ad una tavola,

e dormire di nuovo sotto un tetto.

(Mercy Dee, The Drifter)





 

 

il nero

 

OPERAZIONE GERONIMO (4)

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operazione geronimo (4)






 


Come stavano i Chiricahua?

Gatewood gli disse che i Chiricahua che si erano arresi erano già stati

spediti in Florida.

Se Geronimo si fosse al generale Miles, sarebbe stato probabilmente

mandato in Florida e li avrebbe raggiunti.


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Geronimo voleva sapere tutto di Cappotto d’Orso Miles.

La sua voce era aspra o gradevole all’udito?

Era crudele o di animo gentile?

Quando parlava, guardava il suo interlocutore negli occhi o guardava

a terra?

Avrebbe mantenuto le sue promesse?


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Poi disse a Gatewood:

“Vogliamo il tuo consiglio. Immagina di essere uno di noi, e non un

uomo bianco. Ricordando tutto ciò che è stato detto oggi, e da Apache,

che cosa ci consiglieresti di fare date le circostanze?”.

“Mi fiderei del generale Miles e della sua parola”,

rispose Gatewood.

E così Geronimo si arrese per l’ultima volta.


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Il Grande Padre a Washington, che credeva a tutte le sinistre storie

raccontate  dai giornali sul conto di Geronimo, propose che fosse impiccato.

Il consiglio di uomini che conosceva meglio le cose, prevalse, Geronimo e i

suoi guerrieri sopravvissuti furono spediti a Fort Marion, in Florida.


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Egli trovò la maggior parte dei suoi amici che stava morendo in quella

terra umida e calda, così diversa dal paese secco e montuoso dove erano

nati. Più di un centinaio morirono di una malattia diagnosticata come

tubercolosi. Il governo portò via tutti i loro bambini e li mandò nella

scuola indiana a Carlisle, in Pennsylvania, e più di cinquanta dei loro

bambini morirono là.


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Non solo furono mandati in Florida gli indiani ‘ostili’, ma anche molti

di quelli ‘amici’, comprese le guide che avevano lavorato per Crook.

Martine e Kayitah, che condussero il tenente Gatewood nel nascondiglio

di Geronimo, non ricevettero i dieci cavalli che gli erano stati promessi

per la loro missione; furono invece mandati in prigione in Florida.

Chato, che aveva cercato di dissuadere Geronimo di lasciare la riserva e

poi aveva aiutato Crook a trovarlo, fu improvvisamente privato del

suo rancho e inviato in Florida. Perse il suo appezzamento di terreno

e tutto il suo bestiame; due dei suoi bambini furono mandati a Carlisle

e morirono lì entrambi.


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I Chiricahua rischiavano di estinguersi; avevano combattuto troppo

duramente per conservare la loro libertà.

(Dee Brown, Seppellite il mio cuore a Wounded Knee)





 

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OPERAZIONE GERONIMO (2)

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Simmetrie ‘spazio temporali’ in:

cronologia-storica-di-un-terrorista


 

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Il ‘Tucson Ring’ di appaltatori, vedendo una possibilità di una lucrosa

campagna militare, chiede al generale Crook di mandare subito truppe

per proteggere i cittadini bianchi indifesi dagli assassini apache.

Geronimo invece stava disperatamente cercando di evitare qualsiasi

scontro con i cittadini bianchi; tutto ciò che egli voleva fare era far

passare rapidamente la frontiera al suo popolo e raggiungere il vecchio

rifugio sulla Sierra Madre.


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Per due giorni e due notti i Chiricahua cavalcarono senza posa.

Lungo il cammino, Chihuahua cambiò idea e decise di non andare più

nel Messico; uscì dalla pista con la sua banda con l’intenzione di ritornare

nella riserva.

I soldati che lo inseguivano raggiunsero Chihuahua, lo costrinsero a combattere,

dopo di che egli iniziò una sanguinosa serie di saccheggi prima di varcare

il confine del Messico. Tutte le aggressioni che egli commise furono attribuite

a Geronimo, perché pochi nell’Arizona avevano mai sentito parlare di

Chihuahua.


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Nel frattempo Crook stava cercando di evitare la vasta operazione militare

che i membri del ‘Tucson ring’ e i loro amici politici a Washington gli stavano

chidendo. Egli sapeva che l’unico modo di trattare con tre dozzine di guerrieri

apache era quello di negoziare personalmente. A ogni modo, per la tranquillità

dei cittadini locali, ordinò a pochi soldati di cavalleria di uscire da tutti i

forti, posti sotto il suo comando, ma egli contava esclusivamente sulle sue

fide guide apache per trovare i Chiricahua. Fu grato che Chato e il figlio

minore di Kociss, Alchise, si offrissero entrambi volontariamente di cercare

Geronimo.


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Poiché l’autunno si avvicinava, era chiaro che Crook avrebbe dovuto attraversare

ancora una volta la frontiera del Messico.

Gli ordini a Washington erano inequivocabili:

uccidere i fuggitivi o costringerli ad una resa senza condizioni.

Nel frattempo i Chiracahua avevano scoperto che nella Sierra Madre li stavano

aspettando alcune unità dell’esercito messicano. Dovendo scegliere fra i messicani,

che volevano solo ucciderli, e gli americani, che erano disposti a farli prigionieri,

Geronimo e gli altri capi decisero infine di ascoltare Chato e Alchise.

Il 25 marzo 1886 i capi apache ‘ostili’ si incontrarono con Crook a pochi chilometri

a sud del confine a Canon de Embudos.


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Dopo tre giorni di discorsi appassionati, i Chiricahua acconsentirono ad

arrendersi. Crook poi disse loro che dovevano arrendersi senza condizioni; e

quando essi chiesero che cosa significava, rispose loro francamente che probabilmente

sarebbero stati portati lontano, nell’Est, in Florida, come prigionieri.


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Al che essi replicarono che non si sarebbero arresi finché Lupo Grigio non avesse

promesso che sarebbero ritornati nella loro riserva dopo due anni di prigione.

Crook accolse la proposta: gli sembrava fattibile.

Credendo di poter convincere Washington che una simile resa era meglio

di nessuna resa, acconsentì.


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“Io mi consegno a te” disse Geronimo.

“Fai di me ciò che ti pare. Io mi arrendo. Una volta mi muovevo come il vento.

Ora mi arrendo a te e questo è tutto.”

Alchise chiuse il consiglio pregando Crook di avere pietà dei suoi fratelli

Chiricahua smarriti.


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“Sono tutti buoni amici ora e io sono contento che si siano arresi perché sono

tutti lo stesso popolo….un’unica famiglia di cui faccio parte anch’io; proprio

quando si uccide un cervo, tutte le sue parti appartengono allo stesso corpo;

così con i Chiricahua….Noi vogliamo ora viaggiare sul sentiero aperto e

bere le acque degli americani e non nasconderci sulle montagne; vogliamo

vivere senza pericoli o disagi. Sono molto contento che i Chiricahua si siano

arresi e che io sia riuscito a parlare per loro….Io non ti ho mai detto una

bugia, né tu hai detto una bugia a me, e ora io ti dico che questi Chiricahua

davvero vogliono fare ciò che è giusto e vivere in pace. Se essi non lo

faranno allora ho detto una bugia, e tu non devi credermi più. Va tutto

bene, va’ avanti a Fort Bowie; io voglio che tu porti via nella tua tasca

tutto ciò che è stato detto qui oggi.”

(Dee Brown, Seppellite il mio cuore a Wounded Knee)




 

 

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GENIO MILITARE

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– Questo DeSalius,

proseguì Lee,

– ti piacerà. Ti piacerà davvero, John. Vedrai che ne sarai contento,

se gli parli. Veste in borghese e ha sempre una valigetta. E’ più un

avvocato che un ingegnere. E tanto meno un soldato.

– Se viene a ficcare il naso qui gli infilerò la sua valigetta in gola,

disse il nonno.

– Il Box V non è in vendita. Sissignore, gliela infilerò giù per la

gola e poi gliela coprirò di sabbia.

– Farà un salto qui. Ti piacerà. E in ogni caso questa sera terrà

una piccola riunione informale al palazzo di giustizia della

contea. Naturalmente sei invitato. Spiegherà a Haggard, Reese,

Vogelin e altri intransigenti della stessa specie perché è un

dovere patriottico vendere alla metà del loro valore i terreni

che possiedono.

– Vogelin non ci sarà. Sapevo della riunione, mi hanno spedito

una lettera.

Il nonno si tolse il sigaro di bocca e si prese un sorso dal bicchiere.

– Non ci andrò.

– Sii ragionevole, John.

– Ragionevole? Per te essere ragionevole è questo? Ascolta, non

mollerò un centimetro a quella…gentaglia. Non gli darò nessuna

soddisfazione, maledetti. Sono peggio dei delinquenti!

– Dovresti venire.

– Non ci penso nemmeno.

– Io ci andrò. Vuoi che parli al tuo posto?

– Se hai tempo da perdere vacci pure. Digli così: il Box V non è

in vendita e non lo sarà mai. Perché mio nonno ha costruito questa…

– Questa casa con le sue mani. Stammi a sentire, John, stai sbattendo

la testa contro il muro. Devi capire che con questa gente ti conviene

trovare un accordo, quando hanno ancora un atteggiamento amichevole.

Se ci costruiscono una fabbrica di missili, o una discarica di acciaio,

ci devi andare daccordo. Se li costringessi a confiscarti la terra potresti

ricevere meno della metà di quello che ti offrono adesso. E’ gente

capace di tutto, lo sai John!

-Di questo non mi frega niente. Non voglio lo sporco denaro di quei

burocrati. Tutto quello che chiedo è di non avere rotture, di lavorare

nel mio ranch in pace, di poter morire qui.

– Lo so John, ma sono peggio dei delinquenti…..

(E. Abbey, Fuoco sulla montagna)





 

 

genio militare

 

LETTERATI & SCIAMANI (2)

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letterati & sciamani 2







Nel 1892, dopo altri vent’anni, Parkman contempla la rovina

completa:


Invece delle tende indiane coi trofei di archi, lance, scudi e 

scalpi dondolanti abbiamo villaggi e città, soggiorni per cer-

catori d’oro, di salute o di piacere, con una società piacevole,

mode parigine, riviste, l’ultimo poema e l’ultimo romanzo.

I figli della civiltà, allettati dalle fascinazioni d’una vita più

fresca e audace, si accalcarono nelle terre selvagge del West

e le moltitudini distrussero l’incanto che le aveva attratte….

L’Indiano selvaggio è convertito in una brutta caricatura del

suo conquistatore e ciò che lo rese romantico, terribile, e odi-

oso è stato gran parte espulso a staffilate.


Benché Parkman senta in pieno l’odio, da nemico, tuttavia,

dovendo enunciare nel suo stile classico, educato sui latini,

ciò che ha visto, giunge all’esattezza che placa, sicché non è

un ‘odiatore d’Indiani’ della specie che egli stesso descrive

in ‘The Conspiracy of Pontiac’.

Quando definisce in modo degno di Sallustio i caratteri di

questi uomini detestati, sparisce la ripugnanza e domina la

pura attenzione.

Così conia quest’epigramma:

‘Gl’Indiani benché spesso rapaci, sono privi d’avarizia’.

Così enuncia i principi religiosi dell’Indiano, che adora


Uno spirito onniscente, onnipotente dominatore dell’Univer-

so, eppure la sua mente non sempre salirà ad una comunione

con un essere che gli sembra così vasto, remoto e incompren-

sibile; e allorarché minaccia un pericolo, quando sono infrante

le sue speranze ed i guai gettano un’ombra su di lui, è incline

a rivolgersi per aiuto ad un ente inferiore, meno remoto dai

limiti ordinari delle sue facoltà. 

Ha uno spirito custode, in cui confida per soccorso e guida….

Tra quelle montagne non s’aggirava belva né cantava uccello

né s’agitava foglia che non tendesse a dirigere il suo destino

o ad avvisarlo di quanto gli si preparava; ed egli osservava

il mondo della natura circostante come l’astrologo delle stelle.


…..Quanto alla ‘notte oscura’, per l’ignaro, saccente Parkman

essa è ‘un esaurimento che riconduce al senso comune’; così

egli si meraviglia che una donna il cui stato abituale era ‘l’-

astrazione mistica’ fosse dotata di straordinarie capacità pra-

tiche, quasi che tutti i mistici, da Buddha a Santa Teresa d’A-

vila non fossero stati sommamente pratici.

In una nota, chiaramente aggiunta al testo dopo aver attinto

una maggiore sebbene scarsissima informazione sul tema,

egli soggiunge che la combinazione del talento pratico e

dell’entusiasmo religioso di fatto non è rara, come testimo-

niano i fondatori di Ordini.

E come avrebbe potuto dunque Parkman capire gli sciamani

d’America, se non sapeva neanche distinguere le loro espe-

rienze visionariem le loro esplorazioni del ‘mundus imagi-

nalis’ dai comuni sogni?

freddo è il suo epitaffio sulla morte della civiltà indigena:


Gl’Indiani furono dispersi perché la civiltà li distruggeva

ma la loro ferocia e intrattabile indolenza facevano sì che

essi non potessero esistere al suo cospetto.

Le energie plastiche di una razza superiore, oppure la servi-

le arrendevolezza di una inferiore, li avrebbe in un modo

o nell’altro preservati: come stavano le cose, la loro estinzio-

ne era un risultato scontato.

(E. Zolla, I letterati e lo sciamano)





 

letterati & sciamani 2