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Talune cronache raccontate, piene zeppe di follie, tragedie,
drammi familiari e disperazione illustrano i sintomi più
sorprendenti del disagio alpino (e non solo..).
Narrano cioè una serie di vicende eccezionali, una selezione
di accadimenti in qualche modo extra-ordinari, sia rispetto al-
la quotidianità di quei luoghi che non è caratterizzata unica-
mente dal disagio, sia in relazione al modo più consueto di
tacere, di tenere dentro di sé, di dissimulare e di nascondere
il malessere laddove è presente.
Le cronache quindi non sono indicative di una particolare
predisposizione degli abitanti delle valli al crimine e alla
violenza, o per lo meno non di un’inclinazione superiore a
quella degli abitanti di altri luoghi; esse segnalano più
semplicemente la presenza in quelle comunità di una cor-
rente sotterranea di sofferenza e di inquietudine repressa e
soffocata che di tanto in tanto, quando trova delle debolezze
nelle difese individuali e collettive di superficie esplode con
irruenza e brutalità.
Primo fatto:
Il 23 maggio 1946, verso le 7.30 del mattino, una giovane insegnante
si era messa in cammino per raggiungere la scuola nella quale lavo-
rava.
Doveva attraversare il bosco per arrivare a Cologna, il paesino dove
si trovava la scuola. Fu lungo il sentiero che quella mattina la giova-
ne maestra incontrò il suo carnefice. Le si parò davanti all’improvviso
e con la forza la trattenne.
Si spogliò e costrinse la giovane a fare altrettanto. Le legò le mani
dietro alla schiena e la violentò selvaggiamente per ore. Esausto pre-
se a colpirla alla testa con delle pietre. Poi la seppellì, ancora viva,
sotto alcuni sassi vicino a un torrente e sopra il corpo, più o meno
all’altezza dell’addome, posizionò un masso di quasi mezzo quinta-
le sul quale rimase appollaiato per qualche giorno, sino a che la ra-
gazza morì per fame e asfissia.
Il 25 luglio 1946, circa due mesi dopo, la stessa sorte toccò a una
contadinella di 15 anni intenta a percorrere il sentiero che da Col-
lepietra scendeva verso Cornedo, due paesini deliziosi a poca
distanza nel cuore dei massicci Catinaccio e Latemar.
La trascinò sino a una radura minacciandola con un coltello.
Qui si spogliò, le deflorò e la possedette per tutta la notte. All’
alba la fece rivestire e la condusse in una caverna dove la legò e
la bendò. Poi fece rotolare davanti all’imbocco dei grossi massi
chiudendone l’accesso. Fortunatamente, non si sa bene come, la
ragazzina riuscì a liberarsi e a mettersi in salvo.
Trasferitosi a Innsbruck nel novembre del 1947, in seguito a due
violenze carnali, l’uomo fu catturato e condannato a un anno di
carcere.
Circa tre anni dopo, fu rinvenuto il corpo di una turista inglese di
43 anni, originaria di Oxford, alloggiata al Parkhotel nella zona del
Patscherkofel, scomparsa misteriosamente il primo luglio del 1950.
Era stata massacrata a colpi di pietra in una grotta tra i boschi a 2000
metri: la belva aveva colpito ancora.
‘Saranno state le quattro del pomeriggio – raccontò poi durante il
processo – era un sabato. Ero eccitato dal vino. Ho incontrato quella
donna, una turista. Le ho fatto subito delle profferte sessuali, lei ha
però rifiutato.
Allora abbiamo iniziato una conversazione politica e a un certo punto
lei ha offeso la Germania. Io le ho sferrato un pugno al volto, lei è ca-
duta a terra. Allora l’ho trascinata in una grotta. L’ho posseduta per
tutta la notte.
Poi, verso le tre del mattino, l’ho uccisa. Poi l’ho seppellita, ho chiuso
l’accesso alla grotta e sono tornato a casa mia, a Innsbruck.
Saranno state le sei e mezza del mattino’.
La belva del Tirolo fu catturata nuovamente in una malga a 2000 metri
tra il monte Tondo e il monte Piatto sopra Bolzano: era Guido Zingerle,
nato il 3 settembre 1902 a Ciardes, frazione di Castelbello, in Val Venosta.
(C. Arnoldi, Tristi montagne)