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Il principio della ‘politica correzionale’ fu incluso nel programma
del partito dall’VIII Congresso del partito comunista russo (dei
bolscevichi) del marzo 1919.
Ma l’organizzazione della rete di lager nella Russia sovietica coin-
cise esattamente con i primi sabati comunisti e più precisamente
con le delibere del Comitato esecutivo centrale panrusso del 15
aprile e 17 maggio 1919. Secondo queste delibere, i lager di lavo-
ro forzato dovevano essere obbligatoriamente creati (questo era
il compito della CEKA) in ogni capoluogo di governatorato (per
comodità, entro i limiti urbani, o in un monastero o possedimen-
to vicino) e in alcuni distretti.
Ogni lager doveva contenere non meno di 300 persone ed essere
gestito dalla Sezione punitiva del governatorato. I primi lager di
lavoro forzato ci appaiono oggi stranamente evanescenti.
Chi vi è stato sembra non aver raccontato nulla a nessuno, non
vi sono testimonianze. La narrativa, la moralistica, trattando del
comunismo di guerra parlano di fucilazioni e carcere, ma non di-
cono nulla dei lager.
Non vengono sottintesi neppure tra le righe, nel contesto.
E’ naturale che Michajlov abbia sbagliato.
Dov’erano quei lager?
Come si chiamavano?
Che aspetto avevano?
L’ordine del 23 luglio 1918 aveva decisamente il difetto di non men-
zionare differenze di classe tra i detenuti, ossia la necessità di tratta-
re meglio e altri peggio. Ma vi è descritto l’orario del lavoro e solo
da questo possiamo farci qualche idea.
….Per i ‘coscienziosi’ esisteva una facilitazione: potevano vivere in
alloggi privati e presentarsi al lager soltanto per il lavoro.
A chi dimostrasse una particolare ‘operosità’ si prometteva la scar-
cerazione anticipata. Ma tutto sommato mancavano indicazioni
particolareggiate sul regime e ciascun lager faceva a modo suo.
‘Nel periodo di edificazione del nuovo potere e tenendo conto
del sovraffollamento dei luoghi di pena, non era possibile pensa-
re al regime: l’attenzione era rivolta a ‘decongestionare le prigio-
ni’.
Sembra di leggere un testo in caratteri cuneiformi babilonesi.
Sorge immediatamente una serie di domande:
cosa succedeva in quelle povere prigioni?
Quali erano le cause sociali del sovraffollamento?
Cosa si deve intendere per ‘decongestionamento’: abusi…, fuci-
lazioni o smistamento dei detenuti nei lager?
Cosa significa ‘non era possibile pensare al regime’?
Dunque il Commissariato del popolo per la giustizia non aveva
il tempo di proteggere il detenuto dall’arbitrio del capo lager lo-
cale?
Non esistevano istruzioni sul regime carcerario, per cui negli anni
della ‘coscienza civile rivoluzionaria’ ogni ras poteva agire di testa
sua con il detenuto?
(prosegue….)
(A. Solzenicyn, Arcipelago Gulag)