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Al Pod’s & Jerry’s, uno speakeasy della 133a Strada famoso per il pollo
fritto e per i suoi pianisti, capitavano parecchi personaggi del mondo
dello spettacolo: gente come Fredric March, Franchot Tone e Tullulah
Bankhead, e capitavano parecchi musicisti.
Era chic farci una capatina dopo aver passato la serata al Cotton Club,
e ancora più chic restarvi fino al mattino avanzato, per uscire poi a
passeggiare in abito da sera per le strade di Harlem sotto il sole di
mezzogiorno. Lì Billie Holiday si conquistò una discreta popolarità
presso la gente ricca di Park Avenue, e poté essere ascoltata anche
da persone che più contavano nel piccolo mondo del jazz, e anzitutto
da John Hammond, Benny Goodman e Joe Glaser.
Quest’ultimo le offerse i suoi servigi come manager, e Hammond e
Goodman le fecero incidere il primo disco, alla fine del 1933, non
molto brillante in verità.
I primi dischi felicemente riusciti furono da lei registrati nel 1935
con l’accompagnamento di un complessino riunito da Teddy Wilson,
che sarebbe stato il suo ineguagliabile partner per alcuni anni.
Wilson era una delle tante scoperte di Hammond, che lo aveva
potuto ascoltare al Grand Terrace di Chicago, dove sostituiva Earl
Hines quando questi lasciava il locale per recarsi in tournèe.
Era stato Hammond a portarlo al Pod’s & Jerry’s per fargli ascoltare
la giovane cantante, e a rendere poi possibili le loro incisioni per
la Brunswick.
Queste venivano realizzate all’insegna dell’improvvisazione e dell’
economia: le canzoni venivano il più delle volte scelte e imparate
all’ultimo, l’arrangiamento era messo su in quattro e quattr’otto, e
gli assoli erano improvvisati. C’erano pochi soldi a disposizione,
ma con quelli Wilson, che aveva anche il compito di scegliere i
musicisti, faceva miracoli.
Con venti dollari a testa riusciva ad avere in studio tipi come Roy
Eldrige, Lester Young, Bunny Berigan, Johnny Hodges, Don Redman,
Cozy Cole, Benny Carter, Benny Goodman. A Billie venivano pagati
cinquanta dollari per ogni seduta.
Molti di quei dischi ebbero successo e contribuirono a far riempire
i locali di Harlem e della 52a Strada in cui la cantante si esibiva
normalmente in quel periodo. Non le evitarono tuttavia un grosso
fiasco al Grand Terrace di Chicago, dove fece solo una fugace appa-
rizione e da dove si allontanò dopo aver tirato un calamaio addosso
al direttore del cabaret.
Né l’aiutarono a rialzare le sorti della tournée che compì nel 1937
con l’orchestra di Count Basie, che allora era ancora alla ricerca del
consenso del pubblico e dei critici, e che l’aveva scritturata per
suggerimento di Hammond.
(A. Polillo, Jazz)