PRIMA PASSEGGIATA (seconda parte)

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prima passeggiata (seconda parte)

 

 






Non appena ho cominciato a intravedere la congiura in tutta

la sua estensione, ho perduto per sempre l’idea di ravvedere

il pubblico nei miei riguardi, da vivo; e poi, tale ravvedimen-

to, non potendo ormai essere reciproco, mi sarebbe affatto

inutile.

Con lo sdegno da essi ispiratomi, il loro commercio mi sarebbe

insipido e persino gravoso, e sono cento volte più felice della

mia solitudine di quanto potrei esserlo vivendo in mezzo a

loro.

 

prima passeggiata (seconda parte)


Hanno strappato dal mio cuore tutte le dolcezze della compagnia,

e non potrebbero germogliarvi di nuovo, alla mia età: è troppo

tardi.

Che mi facciano del bene o del male, ormai tutto mi lascia indif-

ferente, da parte loro; qualunque cosa facciano, i miei contempo-

ranei non saranno mai nulla per me.

Ma io contavo ancora sul futuro, speravo che una generazione

migliore, esaminando meglio sia i giudizi portati da questa a mio

riguardo, sia il suo comportamento con me, avrebbe sbrogliato a-

gevolmente l’artificio di quelli che la dirigono, e mi avrebbe final-

mente veduto tale come sono.

 

prima passeggiata (seconda parte)


Proprio questa speranza mi ha fatto scrivere i Dialoghi e mi ha

suggerito mille pazzi tentativi per farli giungere ai posteri.

Questa speranza, per quanto lontana, teneva la mia anima nella

stessa agitazione di quando cercavo nel secolo un cuore giusto; e

le speranze, che io avevo un bel gittare lungi, mi rendevano egual-

mente il trastullo degli uomini d’oggi.

Ho detto nei miei Dialoghi su che cosa fondassi quest’attesa.

M’ingannavo!

Per fortuna, me ne sono accorto abbastanza in tempo da trovare

ancora, prima degli ultimi momenti, un periodo di piena quiete

e di riposo assoluto.

Questo periodo, incominciato all’epoca di cui parlo, ho ragione

di credere che non sia per essere mai interrotto.

 

prima passeggiata (seconda parte)

 

 ….E’ tutto finito per me sulla terra: non mi possono fare né

bene né male. Non mi resta nulla da sperare o da temere, a

questo mondo.

Ed eccomi tranquillo in fondo all’abisso, povero mortale sven-

turato, ma impassibile come lo stesso Dio.

Tutto quanto sia esteriore, ormai non mi tocca.

A questo mondo non ho ormai né prossimo né simili né fratelli.

Sono sulla terra come su un pianeta straniero, quasi cadutovi da

quello che abitavo. Se riconosco qualcosa intorno a me, non sono

che oggetti dolorosi o strazianti per il mio cuore; non posso gitta-

re gli occhi su quello che mi avvicina e mi circonda senza trovar-

vi sempre qualche occasione di sdegno, che mi accende, o di dolo-

re, che mi affligge. 

 

prima passeggiata (seconda parte)


Sgombriamo pertanto dal mio spirito i penosi oggetti, di cui mi

occuperei dolorosamente quanto vanamente.

Solo per il resto della mia vita, dato che non trovo che in me

stesso la consolazione, la speranza e la pace, non debbo e non

voglio occuparmi d’altro che di me.

In questo stato, riprendo il séguito dell’esame severo e sincero,

che una volta chiamai le mie Confessioni. Consacro i miei ultimi

giorni a studiare me stesso e a preparare in anticipo il rendiconto

di me, che non deve  tardare molto.

Abbandoniamoci interamente alla dolcezza di conversare con la

mia anima, la sola che gli uomini non possono sottrarmi.

  

prima passeggiata (seconda parte)


….Voglio fare su me, sotto un certo aspetto, quello che fanno i fisici

sull’aria, per conoscerne lo stato giornaliero.

Voglio applicare il barometro alla mia anima; tali operazioni, ben

dirette e ripetute a lungo, potrebbero fornirmi risultati altrettanto

certi dei loro. Ma non intendo spingere sino a questo punto la mia

impresa: mi acconteterò di tenere il registro delle operazioni, senza

cercare di ridurle a sistema.

Io compio la stessa impresa di Montaigne, ma con uno scopo affat-

to contrario al suo: egli non scriveva i suoi Saggi che per il pubblico,

e io non scrivo le mie fantasie che per me stesso. 

Se nei miei tardissimi giorni, all’avvicinarsi del trapasso, resterò,

come spero, nella stessa situazione, in cui sono, nel leggerle mi sov-

verranno le dolcezze che provo a scriverle; e in questo modo, facen-

do rinascere per me il tempo passato, la mia esistenza, direi quasi,

ha da risultarne raddoppiata.

A dispetto degli uomini saprò provare ancora l’incanto della com-

pagnia, vivendo decrepito con un me stesso diverso, come se vives-

si con un amico vecchio…… 

(J.J. Rousseau, Le passeggiate solitarie)




 

 

prima passeggiata (seconda parte)

 

OLGA MIKHAILOVNA

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olga mikhailovna









(da harbin-2.html)……Parla inglese….

Puzza d’aglio e di vodka.

Sorride.

Arrossisce un po’.

Si sfagotta dai suoi cenci e dalle sue pellicce miserabili.

Che buon odore di acqua e di sapone!

Lei non ha un bagno in casa sua.

Permetterei che facesse un bagno?

E’ piuttosto brutta Olga Mikhailovna, con un fondo di antica

bellezza giovanile rimasto fra pelle e pelle sul volto avvizzito

da una esistenza di battaglia e di miseria.

Puzza di vodka e zoppica, Olga….

Ha un viso tormentato ed aspro, la carnagione ruvida, staffila-

ta dal freddo, flagellata dal vento, cotta dall’intemperie.

 

olga mikhailovna

 

Si spoglia.

Scopre una biancheria sudicia, povera, tutta consumata e ram-

mendata.

E’ l’immagine viva della misera, un povero avanzo della Grande

Russia, un coccio della Rivoluzione giocata in troppi cortili di

ambasciate decrepite, un vago tentativo della Guerra civile, or-

dinata dai suoi nuovi protettori.

Un batuffolo umano della gigantesca crisi dell’Asia….

 

olga mikhailovna

 

Dai cenci luridi esce un corpo ancora giovane che deve essere

stato all’inizio bellissimo, sformato ora un po’, ha difficoltà a 

tenersi in piedi e barcolla, resti di una vita di miserabili bagordi

nella quale qualcuno ignoto le ha macerato il destino.

Vizzi e cascanti sono i piccoli seni, gonfio il ventre, tutte peste

di lividi le gambe dal ginocchio in giù, mal conciate le braccia

dal gomito rozzo alle dita ordinarie, ma le giunture fini, la cur-

va ben modellata delle spalle, i fianchi falcati, l’incavatura sinuo-

sa del dorso, la rotondità dolce delle cosce e dell’avambraccio,

rivelano un esemplare umano di razza. 

Nuda, con solamente gli stivali, si scioglie i lunghi capelli biondi

e resta un po’ così a parlare, coprendosi con le mani il basso ven-

tre con un istintivo gesto di pudore che sopravvive ai colpi del

destino ed all’abbrutimento della vodka.

 

olga mikhailovna

 

Nella stanzetta cinese, tutta fradicia d’acqua e di saponata, intri-

sa del vapore delle emanazioni del bagno bollente, quel nudo

femminile bastonato dall’esistenza, aureolato dalla traboccante

capigliatura d’oro a riflessi fulvi, eretto sugli alti stivalacci di

pelo di lupo, inzaccherati, ha una linea scultorea ed una intona-

zione drammatica. 

La femmina non tenta di accarezzare.

Deve sapersi brutta.

Non cerca di baciare.

Deve sapere che puzza d’aglio e di alcole.

E’ un po’ ubriaca e un po’ scossa da quell’insolito incontro con

un bianco, ammorbidita dal tepore umido dell’ambiente, Olga

Mikhailovna deve sentire una specie di indeterminata gratitudi-

ne verso lo sconosciuto il cui capriccio le procura l’insolito ed 

inaspettato conforto di un luogo tiepido mentre fuori fa tanto fred-

do, d’un bagno caldo, d’un ritorno alla pulizia, d’un tè bollente, d’-

una conversazione gentile venata d’intimità…..

 

olga mikhailovna

 

A vederla così, nuda, fra l’oro dei capelli bellissimi e quel sedere

ancora in forma, si è colpiti dal contrasto che esiste fra il colore

rossiccio del volto, del collo, d’un angolo di petto, dei polsi, del-

le mani, di tutte le parti del suo corpo che sono abitualmente a

contatto dell’atmosfera e della quotidiana vita vissuta, e, viceversa,

la lattea magnificenza del resto della carne che i cenci luridi proteg-

gono normalmente dal contatto con l’esterno.

Poi Olga entra nella vasca, con la sua nudità assoluta….si ode 

un rantolo di piacere, forse l’acqua calda….

Olga Mikhailovna è cosacca…..

E’ una cosacca autentica dell’Ussuri.

Suo padre faceva parte d’uno squadrone cosacco dell’atamano

Semionof ed è morto nei dintorni di Urga, al servizio del baro-

ne Unzern-Stenberg, durante la mirabolante avventura mongo-

lica del barone baltico alla quale, bambina, ha partecipato di

accampamento in accampamento, di battaglia in battaglia, di

eccidio in eccidio, di infamia in infamia….. 

 

olga mikhailovna

 

Appiccicata alla gonna della madre che è poi morta in un bosco

sull’Amur, e lei ha continuato da sola la sua procellosa vita….

zingaresca, nel turbine della guerra civile, nel tragico caos degli

sconvolgimenti della Manciuria, ora a fianco di un cosacco ora

di un altro, amante successivamente accarezzata ed abbandonata,

preda di questo e di quello, vivendo di baci e di cipolle…e di

aglio, di schiaffi….e di vodka, su e giù per i boschi e per i villag-

gi, da Urga a Harbin, trastullo dei bianchi e di gialli, di mongoli

e dice anche di inglesi, a volte innamorata da una carezza calda

sotto una coltre pidocchiosa, altre volte forzata con brutalità al-

l’amplesso dalla violenza d’un vincitore sopra un letto di foglie

nell’asprezza del bosco, sempre lì lì per morire di fame o di stenti,

sempre salvata da un bruscolo di fortuna appoggiato nel bel mez-

zo delle sue cosce ardenti….

Ora Olga Mikhailovna si gira di spalle e mi mostra il suo bel 

di dietro, mentre geme nella tinozza calda…..corpo ardente

d’amore….e inizia il suo racconto…. 

(Mario Appelius, Al di là della Grande Muraglia)

 

 

 

 

 

olga mikhailovna