LA SCHIAVITU’ (male antico)

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la schiavitù male antico

 

 





L’aumento del numero degli schiavi costituisce una

delle più gravi conseguenze delle vittorie di Roma,

perché i nuovi schiavi venivano allora reclutati so-

prattutto tra i prigionieri di guerra.

Si ritiene che l’apogeo del sistema schiavistico nell’-

antichità debba esser posto verso la fine del II secolo

a. C.  La sorte degli schiavi divenne allora del tutto

diversa da quella degli inizi della repubblica, quan-

do la differenza tra lo schiavo e il figlio di famiglia

era ridottissima.

Nonostante l’aumento del numero degli schiavi, il

prezzo medio di uno di essi passò da duecento a

cinquecento denari tra il III e il II secolo.

 

la schiavitù male antico


Duri verso gli schiavi, i Romani sono benevoli nei

confronti dei liberti, ed aprono ai loro discendenti

l’ingresso alla cittadinanza.

Nel 73 scoppiò la sollevazione degli schiavi d’Italia.

Essa ebbe inizio nelle scuole di gladiatori di Capua:

i rivoltosi, comandati dal trace Spartaco, più greco

che barbaro, e dal gallo Crixus, occuparono il crate-

re del Vesuvio e vinsero il pretore che tentò di slog-

giarli.

Successivamente ricevettero rinforzi costituiti da

pastori dell’Appennino, e si divisero in due bande,

formate forse l’una da schiavi di lingua italica, l’-

altra da schiavi di lingua greca, comandate rispet-

tivamente da Crixus e Spartaco.

Essi diedero a saccheggiare l’Italia meridionale.

Crixus era dell’avviso di rimanere in Italia, Spar-

taco voleva riportare gli schiavi nei rispettivi

paesi d’origine.

Nel 72 il senato inviò contro loro i due consoli:

Crixus fu ucciso, Spartaco risalì verso il Piceno,

poi sconfisse nei dintorni di Mutina il governa-

tore della Cisalpina.

L’epilogo di tale vicenda si concluse con l’ucci-

sione di ben 6000 schiavi crocefissi lungo la via

Appia, tra Capua e Roma.

 

la schiavitù male antico


La guerra di Spartaco aveva messo chiaramente

in luce il pericolo che minacciava una società

‘schiavista’.

L’apogeo del commercio degli schiavi, stretta-

mente connesso con la guerra, con la pirateria,

con i bruschi trasferimenti di ricchezza, può

collocarsi tra il 200 e il 50 a.C..

E’ questo un tragico corollario della conquista

romana. 

Gli schiavi formano una specie di società sotter-

ranea, con i suoi costumi, il suo diritto, la sua re-

ligione e, per vie invisibili, si trasmettono le loro

parole d’ordine da un capo all’altro del Mediter-

raneo.

Esiste anche una psicologia dello schiavo carat-

terizzata dalla brutalità, dall’infingardaggine,

non è possibile affidare agli schiavi strumenti

delicati. 

Tra di essi, gli uomini più numerosi delle don-

ne: di qui una tendenza alla poliandria; la

‘communis amica’ è un personaggio tipico di

Plauto.

Gli schiavi hanno loro dèi particolari, soprat-

tutto ‘Sanctus Silvanus’, dio irsuto e poco so-

cievole, al quale essi stessi assomigliano.

Lo stato riserva loro pene speciali, alle quali

solo essi hanno diritto, la frusta e la croce.

Naturalmente, questa opposizione mantiene

vivo il terrore reciproco tra padrone e schiavo.

 

la schiavitù male antico


Le leggi eccezionali contro le violenze riguardano

particolarmente gli schiavi; la prima di esse è la

‘lex Lutatia’ del 78.

Silla fa votare una ‘lex Cornelia’, che ordina di

torturare tutti gli schiavi di un padrone assassina-

to: anche in questo caso egli si dimostra un precur-

sore di Augusto.

(A. Piganiol, Le conquiste dei romani)




 

 

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CHICAGO (3)

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chicago 3








(Da chicago-2.html)

– Duecento!,

rispose Phil, sbigottito.

– Che te ne fai di 200 $ a quest’ora? Sei ospite al Grand Ter-

race stasera, non ti serviranno soldi. 

– Oh, ci sono qui degli amici che mi hanno chiesto un favo-

re,

dissi.

– Amici?,

rispose Phil.

– Dove te li sei fatti? Li conosco bene, mi hanno quasi ro-

vinato, hanno mangiato e bevuto a sbafo per anni, per

mandarmi sul lastrico…amici?? Sei a Chicago da cinque

minuti. Amicizie così non te le fai mica in cinque minu-

ti. Dove sono….

– Sono quei due laggiù.

– Quei due pezzenti?,

sbottò Phil, affacciandosi oltre il vetro della cassa.

– Ok, digli di aspettare che vado qui accanto a chiede-

re a Joe Fusco.

Quando quei due udirono il nome, quasi sfondarono la

porta per scappar via. Così, dopo, potei andare al Grand

Terrace ad ascoltare Earl Hines per il resto della serata.

Tornato nella mia stanza, chiamai Mike Best al Cotton

Club e gli dissi della visita.

Rispose:

– Mio fratello è in Sud America, e se fosse venuto a chie-

derti dei soldi ne avrebbe chiesti 20.000, non 200. Resta

in linea…..

Mi passò all’altro telefono Owney Madden al quale ri-

petei il racconto.

– Non ti preoccupare, Duke, esclamò Madden.

– Sistemo tutto io, basta una telefonata, non avrai altri

guai.

Il giorno dopo, quando tornai in teatro, mi aspettavano

tutti e mi riempirono di complimenti e salamelecchi.

– Perché non ci hai detto che conosci gente grossa?

Pare che Madden avesse chiamato Al Capone, il quale

aveva ordinato:

– Duke Ellington non dev’essere disturbato in tutta la

zona…..

Ma dopo il primo spettacolo, mi telefonarono i due che

ora come allora si erano dati al commercio….

– Duke, ce li daresti venti dollari, per favore? Dobbiamo

lasciare la città, siamo di passaggio…. Il Loop scotta…

forse qualcuno ha soffiato….

– Come no,

dissi,

– Veniteli a prendere….

– Oh no,

fu la risposta,

– Qui tutti i locali scottano….. Falli mandare giù nell’atrio

dal tuo manager, ma per favore non dirlo a nessuno….

….. Grazie!

(Duke Ellington, La musica è la mia signora)






 

chicago 3

L’UOMO CON LA LUPARA

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l'uomo con la lupara

 

 







Da giovinetto si buccina che Tiburzi avesse indole perversa, il che

palerebbe per un delinquente-nato; tuttavia non risulta, all’esame

più diretto della sua vita, altro se non che da giovane era violento,

ed era pronto a reagire contro chi lo urtasse o gli facesse qualche

malestro.

Ma questi sono dati poco assodati; il fatto certo è che fino a trent’-

anni egli non aveva commesso alcun delitto e nemmeno alcuno di

quegli atti feroci in cui incappano sempre, e precocemente, i rei-

nati; fu a trentun’anno, nel 67, che egli per la prima volta uccise

un guardiano con cui aveva litigato; e pare che per quelle tristi

abitudini del Governo pontificio non venisse arrestato che molto

più tardi e condannato solo nel 69 a diciotto anni di galera.

 

l'uomo con la lupara


Ma nel 72 fuggiva e si imbrancava in una banda brigantesca.

Da allora in poi commise due assassini, cinque omicidi o tentati-

vi di omicidi, tre grassazioni, due furti, due ferimenti, quattro

incendi; soprattutto le sue erano estorsioni, ventiquattro circa;

né mai commetteva, almeno negli ultimi anni, grassazioni nella

pubblica via; perciò sdegnò, dopo i primi anni della triste carrie-

ra, di associarsi a briganti di professione come Menichetti e An-

suini. 

 

l'uomo con la lupara


In genere tutti i suoi delitti di sangue non furono effetto di quella

libidine di ferocia di cui sono affetti i rei-nati, ma di quelle vendet-

te e di quelle rivendicazioni che rappresentano la giustizia nei pae-

si barbari, e senza cui la triste professione brigantesca non potreb-

be esercitarsi.

Uccise per esempio, un pastore, il Pecorelli, perché aveva ammaz-

zato un maiale al figlio Nicola, ma prima ne verificò, contando i

chiodi delle scarpe e confrontandoli colle orme lasciate nel terreno,

la sua identità, come avrebbe fatto un giudice qualunque; uccise il

collega Pastorini in una specie di vero grossolano duello provocato

da insulto; uccise il Becchinelli per metter fine agli eccessi che com-

metteva e che lo avrebbero compromesso, uccise il Gabrielli perché

lo credette una spia.

 

l'uomo con la lupara


Insomma, i delitti suoi non erano a scopo di rapina, ma esecuzioni

di spie e di neobanditi che pretendevano invadere il suo dominio e

che turbavano la tranquillità dei suoi feudatari – vulgo mantenitori.

Più volte, potendo uccidere impunemente nella macchia guardie e

carabinieri, se ne astenne e mandò ad avvisarneli poi. 

‘Egli’, dice Sighele, ‘trasformò il crimine in un contratto, il frutto in 

una tassa. Metamorfosi strana, in cui non sai se più ammirare l’-

astuzia di chi la compie o la vigliaccheria di chi vi si presta’.

Ed un procuratore del Re confessava a Sighele che, ‘dopo che c’è

Tiburzi, i crimini nel comune di Viterbo sono notevolmente dimi-

nuiti, perché i malfattori hanno più paura di lui di quello che non

avessero per la giustizia’.

 

l'uomo con la lupara


Ed al processo di Viterbo un delegato di pubblica sicurezza di

Acquapendente disse che i proprietari consideravano il Tiburzi

come un ‘male necessario’, e gli pagavano le tasse sia per non es-

sere molestati, sia perché erano i briganti che facevano realmente

il servizio di pubblica sicurezza – confessione che equivale a dire

che il brigantaggio adempiva una vera missione sociale o politica. 

E non solo purgava le macchie dai banditi e vi teneva una relati-

va giustizia, ma esercitava perfino la polizia negli scioperi, obbli-

gando i mietitori scioperanti a tornare al lavoro, col solo dispie-

gamento delle forze sue proprie.

Coi castellani, coi cacciatori viterbesi conversava da gentiluomo,

del più e del meno, senza che alcun tratto indicasse l’uomo san-

guinario.

Come i land-lords inglesi, molti mesi dell’anno s’assentava egli

dai suoi domini e viveva a Roma, a Parigi da gran signore, senza

mai atto alcuno vanitoso o impulsivo lo tradisse, il che è prova di

quella forza di inibizione che si vede solo fra i criminaloidi, e non

nei delinquenti-nati.

 Per tutto ciò, per esercitare per più di ventiquattr’anni un domi-

nio incontrastato, occorse anche una singolare intelligenza, una

abilità amministrativa e strategica, ed una temperanza, una fa-

coltà di inibizione, come non hanno certo i criminali nati; ed an-

che una relativa, forse un’assoluta genialità d’azione; è il secolo

propizio che gli mancò per divenire uno Sforza, un Piccinino,

un Medici delle Bande Nere; ma quanto all’abilità personale l’-

aveva tutta, e forse era già pronta la dinastia.

E son tratti veramente Sforzeschi quelli in cui egli, solo accom-

pagnato da Fioravanti, si presenta in un cascinale ove son cin-

quanta mietitori, certo armati di falci o di flagelli, e intima loro

di farsi da parte e  lasciargli uccidere il Gabrielli.

(Cesare Lombroso, Delitto, genio, follia)





 

 

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NON ORA SIGNOR GREENSNAKE

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non ora signor greensnake

 

 

 

 

 

 



Il lavoro dei bambini in cucina, nella stalla e nei campi era

essenziale per la sopravvivenza delle famiglie povere dei

neri e i bambini ribelli che non collaboravano venivano im-

mediatamente rimessi in riga a suon di botte.

Le madri usavano la corda, le briglie, la legna da ardere:

qualunque cosa si trovasse a portata di mano. Ma era soprat-

tutto il palmo della mano indurita dal lavoro a colpire con

frequenza e vigore.

La soluzione migliore per il figlio era cercare di levarsi di

torno, rifugiandosi nella fantasia e nell’umorismo. 

 

non ora signor greensnake

 

‘Andavo spesso a caccia di conigli’, disse Will Stark sorridendo,

‘e non avevo mai più di due proiettili. Dovevo per forza riuscire a

prenderne uno, perché avevo fame, ma avevo solo due proiettili.

Sparavo al coniglio: se lo mancavo, poggiavo a terra la pistola e

facevo una corsa per raggiungerlo e tastargli i fianchi, per control-

lare se era grasso.

Se non lo era, lo lasciavo andare e me ne cercavo uno più grosso’.

Questa facezia provocò qualche debole risata e poi, all’improvvi-

so, dal fumo azzurrino che riempiva la bottega del barbiere, fece

capolino un racconto mitico, vecchio quanto il mondo: la storia

del giovane eroe che parte a cercare fortuna.

Non avevo ancora capito quanto fosse stretta la relazione tra

questo giovanotto e quelli del presente. Come nei romanzi di

Dickens, solitamente non aveva più di nove o dieci anni.

 

non ora signor greensnake

 

Nelle famiglie disgregate del Delta, un ragazzino di quell’età veniva

considerato capace di badare a se stesso e molte storie di vita di quel

tipo cominciano con un ragazzino di quell’età che se ne va di casa.

Il giovane eroe del Delta, come l’eroe di molte altre storie fantastiche,

solitamente incontra un padrone diabolico, un certo signor Greensnake.

L’appellativo ‘signore’ suggerisce che si tratti di un bianco e il suo

nome che sia una figura diabolica. 

Il signor Greensnake è l’uomo più veloce del mondo, un padrone

che nessun mezzadro, peone o prigioniero può sperare di eludere. 

Quando il ragazzino cerca di fuggire, il signor Greensnake lo riporta

prontamente in schiavitù, ma alla fine il ragazzo impara le magie del

padrone. Ne segue la classica fuga magica, piena di trasformazioni

improvvise.

 

non ora signor greensnake

 

E’ una storia che non ha epilogo.

Il ragazzino fugge e il signor Greensnake lo insegue: una rappre-

sentazione fedele del destino dei neri nel Delta alle origini del blues.

Asa Ware fece crescere la tensione raccontando la storia con la mag-

gior velocità di cui era capace, come un uomo che parli per aver sal-

va la vita:

 

non ora signor greensnake

 

Il signor Greensnake era uno degli uomini più veloci del mondo.

Era stato dappertutto e conosceva tutto e aveva fatto tutto.

C’era un ragazzino che aveva camminato tutto il giorno, aveva fatto un

sacco di chilometri di strada e aveva fame. Non c’era in giro nessuno a cui

chiedere qualcosa da mangiare. Il ragazzino entra in una casa, si siede a

tavola e comincia a mangiare.

 

non ora signor greensnake

 

La signora Greensnake sente che c’è qualcuno e va a chiedergli:

– Figliolo, che stai facendo qui?

– Be’, veramente sto mangiando.

Poi dice:

– Signora, per favore, mi nasconda da qualche parte,

e lei lo mette nell’armadio. Proprio mentre lo stava chiudendo torna a

casa l’uomo e dice:

– Vecchia, dov’è andato il ragazzo che era qui?

– L’ho messo nell’armadio.

Lo tira fuori, lo fa vedere all’uomo e a lui piace, così lo riporta a tavola per

farlo finire di mangiare. Dopo cena lo porta in un campo e lo mette a lavorare.

Il ragazzo lavorò, credo, per sei o sette mesi.

 

non ora signor greensnake

 

Greensnake cominciava a essere affezionato a quel ragazzo e gli insegnò

alcuni dei suoi trucchi. 

Il ragazzo si fece furbo e decise di scappare via da lui. 

Tornò a casa.

Nel posto dove viveva, in Texas, un giorno arriva un uomo che dice a

suo padre:

– Sam, domani porta in città le tue galline, che facciamo un combattimento.

– Ma io non ho galline!

Il ragazzo disse:

– Papà, digli che domani mattina sarai lì col tuo gallo da combattimento,

con gli artigli lunghi dieci centimetri e la cresta lunga sei.

Il ragazzo si alza, va in fondo al balcone fa una capriola si trasforma in gallo

da combattimento e canta tre volte. Il padre lo prende, lo porta in città e

fanno a pezzi tutti quanti.

 

non ora signor greensnake

 

Due o tre settimane dopo ci deve essere una corsa di cavalli. 

Il ragazzo comincia a sentirsi nervoso e dice:

– Papà, domani in città c’è una corsa di cavalli. Ci sarà anche un uomo, che

si chiama Greensnake, che vorrà comprarmi. Io mi trasformerò in un bellissi-

mo stallone nero con la sella d’argento, le briglie d’argento e le borchie di

bronzo.

Se lui mi vuole comprare e tu mi vendi, levami la cavezza.

Il padre dice:

– D’accordo!

Alle due la banda inizia a suonare e il ragazzo va in strada e comincia a

correre.

 

non ora signor greensnake

 

Vince tutti i premi in palio e mentre il padre si preparava a rientrare, 

Greensnake si avvicina e gli dice:

– Voglio comprare questo cavallo.

– Non lo venderei neanche per 5000 dollari.

– Te ne do 75.000.

– Affare fatto!

Quando Greensnake monta in sella l’uomo urla:

– Un momento, la cavezza non è compresa!

Greensnake risponde:

– Quando ho comprato il cavallo, ho comprato anche la cavezza.

Gli dice:

– La cavezza non la vendo neanche per 50.000 $!

– Te ne do 75.000.

Allora l’uomo dice al figlio:

– Figliolo, lascia che tuo padre sia ricco, per una volta nella vita.

E il figlio dice:

– D’accordo!

 

non ora signor greensnake

 

Greensnake aveva un altro ragazzo che lavorava per lui.

Gli dice:

– Ascoltami, qualunque cosa accada, non levare mai la cavezza di questo

cavallo. Deve tenerla sempre addosso.

Il ragazzo porta il cavallo al fiume per abbeverarlo e quello comincia a 

fare finta che la cavezza lo stia soffocando. Ma il ragazzo ha paura di

levargliela.

Per strada passa un uomo che trasporta un carico di legna: vede il cavallo

che soffoca e urla al ragazzo:

– Togli la cavezza al cavallo, così beve un po’ d’acqua.

Il ragazzo risponde:

– Il signor Greensnake mi ha detto di non levargliela mai.

L’uomo salta giù dal carro, corre dal cavallo e gli leva la cavezza.

Lo stallone fa una capriola, si trasforma in un pesce-gatto e salta in

acqua.

 

non ora signor greensnake

 

Il ragazzo corre ad avvisare il signor Greensnake dell’accaduto e lui gli 

corre incontro chiedendo:

– Dove si è tuffato?

– Proprio qui.

Il signor Greensnake fa una capriola e si trasforma in un alligatore lungo

cinque metri, si tuffa dietro al pesce-gatto e lo insegue per tutto il mare.

Il ragazzo capisce che Greensnake sta per acchiapparlo.

Salta sulla riva e si trasforma in un colibrì.

Greensnake si trasforma in un’aquila e lo insegue per tutto il mondo.

 

non ora signor greensnake

 

Il ragazzo capisce che sta per essere raggiunto.

C’era una bella ragazza che stava aspettando qualcuno, seduta sotto un

albero, nel suo giardino. 

Il ragazzo vola lì, fa una capriola e si trasforma in un anello infilato al

dito della ragazza. 

Greensnake scende giù, fa una capriola e si trasforma in un uomo vestito

di tutto punto: abito elegante, pantaloni a righe larghe, spilla di diamante,

e si mette a corteggiare la ragazza.

– Amore, amore, dammi quell’anello.

Stava quasi per convincerla a dargli l’anello che il ragazzo è saltato giù

dal suo dito, ha fatto una capriola e si è trasformato in un barattolo di

semi di sesamo, è volato in aria ed è esploso.

Greensnake ha fatto una capriola e si è trasformato in una gallina con

cento pulcini che si sono messi a beccare i semi di sesamo. 

A quel punto ..quando ho visto i pulcini…me ne sono andato…

(A. Lomax, La terra del Blues)



 

 

 

 

 

non ora signor greensnake

 

 

SECONDA PASSEGGIATA

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seconda passeggiata

 

 







La mia immaginazione, ormai meno vivace, non s’infiamma

come una volta alla contemplazione dell’oggetto che la com-

muove; m’inebrio meno del delirio delle fantasie; c’è piuttos-

to ricordo che creazione in quello che ormai esse generano;

un tiepido languore snerva le mie facoltà, lo spirito vitale si

estingue in me a grado a grado; la mia anima non si slancia

che con fatica fuori dal suo caduco involucro; e senza la spe-

ranza dello stato cui aspiro,

 

seconda passeggiata


sentendo di averne diritto non esisterei altro che nei ricordi,

di modo che per contemplare me stesso prima del declino,

bisogna che risalga indietro almeno di qualche anno, al tem-

po in cui, perduta sulla terra ogni speranza e non trovando-

vi alimento per il cuore, mi assuefeci a poco a poco a nutrir-

lo della sua propria sostanza e a cercare ogni suo cibo dentro

me stesso.

 

seconda passeggiata


Questa risorsa, che scoprii troppo tardi, divenne sì fecon-

da da bastare presto a compensarmi del tutto.

Assuefacendomi a rientrare in me stesso, perdetti infine

il sentimento e quasi il ricordo dei miei mali. E imparai

per mia propria esperienza che la fonte della vera gioia

sta in noi, e che non dipende dagli uomini di rendere ve-

ramente miserevole chi sa voler essere felice.

 

seconda passeggiata


Da quattro o cinque anni assaporavo le delizie intime

che trovano nella contemplazione le anime miti e amo-

rose.

I rapimenti le estasi che provavo talvolta passeggiando

da solo, erano gioie che dovevo ai miei persecutori: sen-

za di essi non avrei mai trovato e conosciuto i tesori che

portavo in me.

In mezzo a tante ricchezze, come tenerne un registro fe-

dele?

Volendo rammentare tante dolci fantasie, in luogo da

descriverle, ricadevo in esse. Un tale stato, il ricordo lo

ricrea; si cesserebbe subito di conoscerlo, cessando di

sentirlo.

Assai bene provai quest’affetto nelle passeggiate che

seguirono il disegno di scrivere il séguito alle mie…..

Confessioni, e soprattutto in quella di cui sto per

parlare.

 

seconda passeggiata


Giovedì, dopo pranzo seguii i boulevards sino alla via del

Chemin Vert, per la quale guadagnai le alture di Ménilmon-

tant; di qui, prendendo i viottoli per vigneti e praterie, tra-

versai sino a Charonne il ridente paesaggio che divide questi

due borghi; svoltai, quindi, per tornare in quelle stesse prate-

rie, prendendo un altro sentiero.

Mi divertivo a percorrerle col piacere e l’interesse che mi

hanno sempre dato i siti ameni, fermandomi talvolta a e-

saminare alcune piante nella verzura.

Ne scorsi due che assai di rado vedevo intorno


seconda passeggiata


a Parigi, e che abbondavano in quella parte: l’una era il

Picris hieracioides della famiglia delle composte, l’altra il

Buplevrum falcatum della famiglia delle ombrellifere.

La scoperta mi aveva rallegrato e divertito a lungo, ter-

minando con quella d’una pianta più rara, soprattutto

in una regione elevata, ossia il Cerastium aquaticum, che,

malgrado l’incidente accadutomi nello stesso giorno, ho

trovato in un libro che portavo con me, e ho messo poi

nell’erbario.

Con queste piante, i miei soavi ricordi veleggiarono a

quelle belle ninfe, che dagli alti monti son scese fin al

mare per allietarci con i loro colori, amori, passioni…

e beati piaceri…..

(J.J. Rousseau, Le passeggiate solitarie)




 

 

seconda passeggiata

 

UN BUSINESS CHE SPARA (3)

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un business che spara 3








(Da un-business-che-spara-2.html)


– …..Come no? E’ una invenzione della stampa e dei piedi-

piatti. Accettai anche di fare il discorso. Pensai che, a pre-

scindere dalle accuse e dalla condanna, aveva passato die-

tro i cancelli quasi 12 anni; bisognava lasciare che fosse

Dio, e non gli uomini, a pronunciare l’ultima sentenza.

– Che ne pensa del ‘Padrino’? C’è del vero?

– Mi è piaciuto moltissimo. Mi piace il carattere di don

Vito Corleone. Sul punto di essere rovinato da un ricat-

tatore, lo uccide per difendere la moglie e la famiglia.

Mostrando la sua forza, comincia a diventare qualcuno.

Non dico sia questo il modo di trattare il prossimo, ma a

volte la giustizia non può essere amministrata soltanto

in tribunale. Ho visto molte persone morire sulla sedia

elettrica, e mi sono sempre chiesto se la società aveva il

diritto di decidere.

– Padre Luigi, ma noi siamo meglio o peggio degli altri?

– Sa qualcosa della storia degli Stati Uniti? I genitori e i

nonni dei presidenti americani si sono sempre comporta-

ti in modo tale da non venire impiccati per un miracolo.

Sa cosa diceva Al Capone, questo compaesano diventato

simbolo del peccato?

‘MI HANNO ACCUSATO DI TUTTI I MORTI, TRANNE

DI QUELLI REGISTRATI DURANTE LA GUERRA MON-

DIALE!’.

– Padre Luigi, ma perché non ci vogliono bene?

La voce di Sinatra, il fumo, l’odore di aglio, rendevano an-

cora più cupa la notte e più tristi e stanche le parole…….

(Enzo Biagi, America)






 

un business che spara 3

BILLIE HOLIDAY (2)

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negli stessi anni

 

 






Nel 1938 ebbe una nuova, lunga esperienza con una grande

orchestra: quella di Artie Shaw, in quel tempo sulla cresta

dell’onda.

Ma era un’orchestra bianca, e lei era negra, e il pubblico, a

certe convivenze, non aveva ancora fatto l’abitudine.

Per lei, nonostante l’appoggio coraggiosamente datole da

Shaw e dai suoi uomini, fu un seguito ininterrotto di umilia-

zioni, che vennero ad aggiungersi come altrettante ferite ai 

traumi della prima infanzia, e infine la costrinsero a lasciare

la formazione, esasperata dalle misure discriminatorie di cui

era oggetto. 

Una lunga scrittura al Café Society, nel Greenwich Village, e

varie fortunate residenze nei locali della 52a Strada, e poi a

Chicago e a Los Angeles, consolidarono la sua fama; un matri-

monio andato a male, con Jimmy Monroe, e la morte del padre

e poi della madre fecero di lei una donna ancor più amareggia-

ta, risentita, aggressiva.

 

negli stessi anni

 

A complicare la sua esistenza c’era ora, sempre più esigente,

più tiranna, l’eroina di cui era succube da qualche anno.

‘Non tardai molto a diventare una schiava tra le meglio pagate’.

Ha scritto Billie, parlando del suo sciagurato vizio.

‘Prendevo anche mille dollari alla settimana, ma quanto a liber-

non ne avevo più di quanto ne potesse avere il più pidocchio-

so bracciante’.

Dopo aver preso parte, nel 1946, alle riprese del film ‘New Orle-

ans’, con Louis Armstrong, non senza aver vivacemente protestato 

per essersi vista assegnare il ruolo di una cameriera, si sottopose

a una cura disintossicante, che ebbe come unico risultato di met-

terle alle calcagna la polizia.

 

negli stessi anni

 

A Filadelfia, nel maggio 1947, fu arrestata per possesso e uso

di stupefacenti. Durante il processo che seguì, e che fece molto

scalpore, si sentì rivolgere parole molte dure dal Procuratore

Distrettuale.

‘Per sua disgrazia, devo aggiungere, essa ha incontrato la peg-

gior sorta di parassiti e di sanguisughe che si possa immaginare

fra coloro che appartenevano alla sua cerchia’.

Disse fra l’altro il P.D:

‘Abbiamo potuto appurare che negli ultimi tre anni ha guada-

gnato quasi 250.000 dollari, ma l’anno scorso la cifra era ridotta

a 56.000 o 57.000 ($) e ora non possiede più nulla di questo de-

naro’.

Fu condannata a un anno e un giorno di reclusione, che scontò

in un carcere di Alderson, West Virginia. Poté uscire nel febbraio

1948.

Subito dopo il suo ritorno a New York, gli amici organizzarono

per lei un concerto alla Carnegie Hall, che ebbe un grande suc-

cesso; nessuno poté però procurarle delle scritture nei locali

notturni cittadini perché la polizia le aveva ritirato la ‘cabaret

card’, una tessera necessaria per potersi esibire nei locali di New

York in cui fossero venduti alcolici.

 

negli stessi anni

 

Da allora in poi, e per alcuni anni, dovette quindi limitarsi alle

esibizioni in teatro, alla televisione o alla radio, nei locali not-

turni di altre città, e a incidere dischi. 

Per risolvere il suo problema si allestì per lei una rivista musi-

cale che andò in scena, col titolo ‘Holiday on Broadway’, al teatro

Mansfield, ma non resistette più di tre settimane.

Intanto quelli del Bureau of Narcotics non la perdevano di vista.

Non erano passati che pochi mesi dalla sua scarcerazione, che

fecero un’irruzione nella sua camera d’albergo, a San Fransisco,

dove si trovava per ragioni di lavoro.

Fu trovata in possesso di stupefacenti e fu arrestata insieme col

suo manager, John Levy. Questi però scomparve con tutto il

suo danaro e la lasciò sola a sbrigarsela al tribunale, che la man-

dò assolta.

In una corrispondenza da San Francisco, in data luglio 1949, il

‘Down Beat’ scriveva:

‘Priva di danaro e sola, dopo che il suo manager, John Levy l’ha

abbandonata lasciandole affrontare il processo in cui è stata

assolta, Billie Holiday ha deciso di ricominciare a …cantare…’

(A. Polillo, Jazz)



 

 

 

negli stessi anni

        

POD’S & JERRY’S

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pod's & jerry's

 

 







Al Pod’s & Jerry’s, uno speakeasy della 133a Strada famoso per il pollo

fritto e per i suoi pianisti, capitavano parecchi personaggi del mondo

dello spettacolo: gente come Fredric March, Franchot Tone e Tullulah

Bankhead, e capitavano parecchi musicisti.

 

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Era chic farci una capatina dopo aver passato la serata al Cotton Club,

e ancora più chic restarvi fino al mattino avanzato, per uscire poi a

passeggiare in abito da sera per le strade di Harlem sotto il sole di

mezzogiorno. Lì Billie Holiday si conquistò una discreta popolarità

presso la gente ricca di Park Avenue, e poté essere ascoltata anche

da persone che più contavano nel piccolo mondo del jazz, e anzitutto

da John Hammond, Benny Goodman e Joe Glaser.

 

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Quest’ultimo le offerse i suoi servigi come manager, e Hammond e

Goodman le fecero incidere il primo disco, alla fine del 1933, non

molto brillante in verità.

I primi dischi felicemente riusciti furono da lei registrati nel 1935

con l’accompagnamento di un complessino riunito da Teddy Wilson,

che sarebbe stato il suo ineguagliabile partner per alcuni anni.

Wilson era una delle tante scoperte di Hammond, che lo aveva

potuto ascoltare al Grand Terrace di Chicago, dove sostituiva Earl

Hines quando questi lasciava il locale per recarsi in tournèe.

Era stato Hammond a portarlo al Pod’s & Jerry’s per fargli ascoltare

la giovane cantante, e a rendere poi possibili le loro incisioni per

la Brunswick.

Queste venivano realizzate all’insegna dell’improvvisazione e dell’

economia: le canzoni venivano il più delle volte scelte e imparate

all’ultimo, l’arrangiamento era messo su in quattro e quattr’otto, e

gli assoli erano improvvisati. C’erano pochi soldi a disposizione,

ma con quelli Wilson, che aveva anche il compito di scegliere i

musicisti, faceva miracoli.

 

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Con venti dollari a testa riusciva ad avere in studio tipi come Roy

Eldrige, Lester Young, Bunny Berigan, Johnny Hodges, Don Redman,

Cozy Cole, Benny Carter, Benny Goodman. A Billie venivano pagati

cinquanta dollari per ogni seduta.

Molti di quei dischi ebbero successo e contribuirono a far riempire 

i locali di Harlem e della 52a Strada in cui la cantante si esibiva

normalmente in quel periodo. Non le evitarono tuttavia un grosso

fiasco al Grand Terrace di Chicago, dove fece solo una fugace appa-

rizione e da dove si allontanò dopo aver tirato un calamaio addosso

al direttore del cabaret.

Né l’aiutarono a rialzare le sorti della tournée che compì nel 1937

con l’orchestra di Count Basie, che allora era ancora alla ricerca del

consenso del pubblico e dei critici, e che l’aveva scritturata per 

suggerimento di Hammond. 

(A. Polillo, Jazz)




 

 

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