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Non appena ho cominciato a intravedere la congiura in tutta
la sua estensione, ho perduto per sempre l’idea di ravvedere
il pubblico nei miei riguardi, da vivo; e poi, tale ravvedimen-
to, non potendo ormai essere reciproco, mi sarebbe affatto
inutile.
Con lo sdegno da essi ispiratomi, il loro commercio mi sarebbe
insipido e persino gravoso, e sono cento volte più felice della
mia solitudine di quanto potrei esserlo vivendo in mezzo a
loro.
Hanno strappato dal mio cuore tutte le dolcezze della compagnia,
e non potrebbero germogliarvi di nuovo, alla mia età: è troppo
tardi.
Che mi facciano del bene o del male, ormai tutto mi lascia indif-
ferente, da parte loro; qualunque cosa facciano, i miei contempo-
ranei non saranno mai nulla per me.
Ma io contavo ancora sul futuro, speravo che una generazione
migliore, esaminando meglio sia i giudizi portati da questa a mio
riguardo, sia il suo comportamento con me, avrebbe sbrogliato a-
gevolmente l’artificio di quelli che la dirigono, e mi avrebbe final-
mente veduto tale come sono.
Proprio questa speranza mi ha fatto scrivere i Dialoghi e mi ha
suggerito mille pazzi tentativi per farli giungere ai posteri.
Questa speranza, per quanto lontana, teneva la mia anima nella
stessa agitazione di quando cercavo nel secolo un cuore giusto; e
le speranze, che io avevo un bel gittare lungi, mi rendevano egual-
mente il trastullo degli uomini d’oggi.
Ho detto nei miei Dialoghi su che cosa fondassi quest’attesa.
M’ingannavo!
Per fortuna, me ne sono accorto abbastanza in tempo da trovare
ancora, prima degli ultimi momenti, un periodo di piena quiete
e di riposo assoluto.
Questo periodo, incominciato all’epoca di cui parlo, ho ragione
di credere che non sia per essere mai interrotto.
….E’ tutto finito per me sulla terra: non mi possono fare né
bene né male. Non mi resta nulla da sperare o da temere, a
questo mondo.
Ed eccomi tranquillo in fondo all’abisso, povero mortale sven-
turato, ma impassibile come lo stesso Dio.
Tutto quanto sia esteriore, ormai non mi tocca.
A questo mondo non ho ormai né prossimo né simili né fratelli.
Sono sulla terra come su un pianeta straniero, quasi cadutovi da
quello che abitavo. Se riconosco qualcosa intorno a me, non sono
che oggetti dolorosi o strazianti per il mio cuore; non posso gitta-
re gli occhi su quello che mi avvicina e mi circonda senza trovar-
vi sempre qualche occasione di sdegno, che mi accende, o di dolo-
re, che mi affligge.
Sgombriamo pertanto dal mio spirito i penosi oggetti, di cui mi
occuperei dolorosamente quanto vanamente.
Solo per il resto della mia vita, dato che non trovo che in me
stesso la consolazione, la speranza e la pace, non debbo e non
voglio occuparmi d’altro che di me.
In questo stato, riprendo il séguito dell’esame severo e sincero,
che una volta chiamai le mie Confessioni. Consacro i miei ultimi
giorni a studiare me stesso e a preparare in anticipo il rendiconto
di me, che non deve tardare molto.
Abbandoniamoci interamente alla dolcezza di conversare con la
mia anima, la sola che gli uomini non possono sottrarmi.
….Voglio fare su me, sotto un certo aspetto, quello che fanno i fisici
sull’aria, per conoscerne lo stato giornaliero.
Voglio applicare il barometro alla mia anima; tali operazioni, ben
dirette e ripetute a lungo, potrebbero fornirmi risultati altrettanto
certi dei loro. Ma non intendo spingere sino a questo punto la mia
impresa: mi acconteterò di tenere il registro delle operazioni, senza
cercare di ridurle a sistema.
Io compio la stessa impresa di Montaigne, ma con uno scopo affat-
to contrario al suo: egli non scriveva i suoi Saggi che per il pubblico,
e io non scrivo le mie fantasie che per me stesso.
Se nei miei tardissimi giorni, all’avvicinarsi del trapasso, resterò,
come spero, nella stessa situazione, in cui sono, nel leggerle mi sov-
verranno le dolcezze che provo a scriverle; e in questo modo, facen-
do rinascere per me il tempo passato, la mia esistenza, direi quasi,
ha da risultarne raddoppiata.
A dispetto degli uomini saprò provare ancora l’incanto della com-
pagnia, vivendo decrepito con un me stesso diverso, come se vives-
si con un amico vecchio……
(J.J. Rousseau, Le passeggiate solitarie)