LA SELEZIONE

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la selezione

 

 

 

Il progetto della ‘belva himmleriana’ di Lublino che era Globocnik

si reggeva interamente su un sistema di selezione che, si voleva

scientifico.

Suo obiettivo di lungo termine era, secondo la pubblicazione clandes-

tina ‘Narod’ che riproduce fedelmente alcuni discorsi nazisti, ‘isolare

la popolazione polacca, relegarla su una sorta di isola etnografica

in un mare tedesco e condannarla così allo sterminio nazionale’.

Lungo il cammino verso questo destino collettivo, il ‘campo di

raccolta’ di Zamosc, metastasi del sistema concentrazionario, era

il luogo di transito di tutti gli ‘evacuati’ del paese, di cui non si

sapeva se, selezionati sarebbero stati elevati al ‘Deutschtum’,

tollerati, sarebbero stati ridotti a iloti o, privati della loro uma-

nità, sarebbero stati mandati ad Auschwitz o a Majdanek.

Mieczyslaw Czerniak, nato nel 1907 e internato dal 13 gennaio

1943 al 18 gennaio 1944, percepì chiaramente ciò che era in gioco:

 

la selezione

 

In primo tempo, al momento della registrazione, gli sfollati soggiornavano

nella baracca n. 5, la baracca di accettazione, se così si può dire.

Ci rimanevano generalmente due giorni. Durante quel lasso di tempo, gli

sfollati non ricevavano viveri.

Si procedeva alla registrazione nella baracca n. 2; lì i meccanografi registra-

vano i dati personali di ognuno e opponevano su tutti i (nostri) documenti

di identità il timbro di ‘sfollato’. Poi si passava alla baracca n. 3 con i nostri

documenti di registrazione e lì il medico specializzato procedeva all’esame

razziale.

Qui aveva inizio la segregazione.

Questo medico trascriveva sulla scheda un (numero) gruppo da I a V.

Il primo gruppo era costituito dai tedeschi, il secondo da quanti erano rico-

nosciuti di razza tedesca, il terzo da quanti erano idonei a partire per la

Germania per il lavoro coatto, il quarto da vecchi, gli infermi e i bambini,

il quinto da quanti si vedevano attribuire la sigla ‘KL’: campo di concentra-

mento. Poi le persone passavano davanti al medico, che valutava il loro

stato di salute.

Da lì si passava alla baracca n. 4, dove gli uomini della Gestapo distribui-

vano la gente per baracche dividendo le famiglie. I bambini più educati

erano perlopiù affidati a vecchie contadine, tra i sessanta e gli ottanta anni.

I figli dei contadini venivano assegnati a donne anziane dell’intellighenzia.

Spesso, dopo di ciò, avevano luogo scene atroci al momento della separa-

zione.

Le madri non volevano cedere i loro bambini, e allora gli uomini della 

Gestapo le picchiavano fino a che non perdevano conoscenza. Poi i 

polacchi in servizio conducevano queste persone alle baracche a cui

erano state rispettivamente assegnate.

Dopo la loro separazione, i membri di una famiglia non potevano più

incontrarsi, dal momento che le baracche erano divise dal filo spinato.

Nelle baracche più calde, cioè quelle destinate ai cavalli, erano sistemati

a un tempo i vecchi, i bambini e gli infermi.

C’erano dei letti a piattaforma, dei giacigli a dire il vero, dove non pote-

vano trovar posto tutti. Alcuni si stendevano sul suolo. In una siffatta

baracca c’erano circa 1700 persone. Ma la mortalità colpiva fino a trenta

persone al giorno.

Le madri non potevano vedere i propri figli. Quando, tuttavia, una di

lro andava fino al filo spinato e il boia del campo, Artur Schutz, coman-

dante del campo, la vedeva, sguinzagliava dapprima i cani contro le

donne e, quando questi avevano fatto a pezzi tutti i suoi abiti si avvici-

nava lui e picchiava la disgraziata, il più delle volte volte fino a farle

perdere conoscenza.

….E non passava giorno senza che i tedeschi uccidessero qualcuno.

(Conte/Essner, Culti di sangue)

 

 

 

la selezione

  

OPERAZIONE ZAMOSC

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operazione zamosc

 

 

Il 26 ottobre 1939 a mezzanotte il dottor Hans Frank assume

la carica di ‘governatore generale dei territori occupati’.

Quindici giorni dopo, il potentato nazista occupa il Wawel, la

cittadella dei re polacchi che domina la Vistola a Cracovia.

Il nuovo padrone di casa è accolto da un comitato d’onore

formato dai capi delle cosiddette comunità ‘di tedeschi etnici’.

Non appena insediatosi, Frank ordina la fucilazione di un

abitante di sesso maschile per ogni casa su cui rimanga affisso

uno dei manifesti attaccati in gran fretta quel 10 novembre, i

quali invitano la popolazione della città vinta a celebrare

pubblicamente l’indomani la festa dell’indipendenza della

‘Polonia resuscitata’.

Il tempo della ‘grande opera tedesca’ è scoccato.

 

operazione zamosc

 

La nuova entità vassalla del Reich è divisa in quattro distretti –

Cracovia, Lublino, Radom e Varsavia – ciascuno dei quali è sotto-

posto all’autorità di un governatore civile, la cui figura è affian-

cata tuttavia da quella di un Comandante della SS e della polizia.

 

operazione zamosc

 

Frank, al pari di Himmler, sogna una Polonia tedesca sotto il suo

controllo.

Pure, i due rivali hanno opinioni divergenti in merito ai modi e

tempi di questa infeudazione.

Il governatore generale auspica una germanizzazione profonda

ma lenta, della durata di circa una generazione.

Questo il suo modo di vedere le cose: ‘prima vincere la guerra,

poi ripopolare la Polonia’. Il Reichsfuhrer della SS per contro, è

impaziente, giacché vede nella colonizzazione del Governatorato

generale la tappa iniziale di un consolidamento del ‘Deutschtum’

di fronte al giudeo-bolscevismo’ e, di conseguenza, della domi-

nazione della SS sull’Europa centrale e orientale.

 

operazione zamosc

 

Le versioni successive del ‘piano generale per l’est’ europeo, elabo-

rato per Himmler all’università di Berlino dal professor Konrad

 Meyer-Hetling, traducono proprio questa volontà di potenza

ispirata a Hitler.

Il capo dell’ordine nero gioca d’anticipo su Frank proponendo

di fare del voivodato di Lublino la prima colonia di popolamento

tedesca. Himmler lancia la sua sfida all’autorità del signore del

Wawel durante una manifestazione del partito organizzata il

5 aprile 1941 nell’elegante borgo di Zamosc, che con i suoi 26.000

abitanti è il capoluogo della Zamojszczyzna, regione situata

a circa 90 chilometri sud-est da Lublino.

 

operazione zamosc

 

E’ in questa occasione che il Brigadefuhrer della SS Odilio 

Globocnik, comandante della SS e della polizia di Lublino e

uomo ligio a Himmler, annuncia la ‘depolonizzazione’ immediata

della ricca regione agricola.

All’epoca della conquista nazista della Polonia, la ‘regione di

Zamosc’ era suddivisa in tre circondari, corrispondenti con una

superficie complessiva di 6.353 chilometri quadrati, al terzo meri-

dionale del voivodato di Lublino.

 

operazione zamosc

 

Alquanto densamente popolata la ‘regione di Zamosc’ era abitata

da un ceto di piccoli proprietari contadini polacchi e ucraini, dediti

in particolare alla coltivazione dei cereali, della patata e del 

tabacco.

I 517.000 abitanti della regione erano ripartiti in diverse ‘nazionalità’:

 i polacchi, cattolici, rappresentavano circa due terzi della popolazione ,

gli ucraini, uniati, un quarto, gli ebrei un decimo.

 

operazione zamosc

 

Chi avrebbe mai potuto immaginare, nel 1939, che questa amena

regione sarebbe diventata un ‘laboratorio speciale della SS’, un

nucleo sperimentale di ‘ripulitura’ etnica e razziale?

Intendiamo ripercorrere qui questo destino singolare insistendo

sui modi in cui l’occupante ha saputo fomentare le differenze

culturali e religiose per svuotare questa regione del suo sostrato

umano. Condotta secondo le pretese avanzate dalla dottrina

di ‘sangue e suolo’, l’operazione Zamosc non poteva che essere

‘esemplare’.

(Conte/Essner, Culti di sangue)

 

 

 

operazione zamosc

   

24 NOVEMBRE 1963

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24 novembre 1963

 

 

Una volta ottenuto questo splendido risultato con l’opera di

mascheramento, era giunto il momento di passare allo stadio

della ratifica dell’assassinio.

I rappresentanti dell’esecutivo, da Lyndon Johnson a J. Edgar

Hoover, a Earl Warren e così via, si resero presto conto dei

vantaggi che derivavano dal sostenere la tesi che non era

stato colpo di stato e che la democrazia era al sicuro, che un

solitario individuo scontento aveva ucciso il presidente con 

un gesto assurdo e fortuito. 

24 novembre 1963

E molto presto compresero anche il messaggio di coloro che

avevano architettato l’assassinio, un’energica sollecitazione a

tornare alla Guerra Fredda degli anni pre-Kennediani.

I padroni delle armi e dell’acciaio ne erano entusiasti.

Non vi è nessuna prova che Jhonson, Hoover, Warren o Allen

Dulles siano venuti a conoscenza in anticipo del piano dell’

assassinio o che vi fossero coinvolti, ma non esiterei a definire

questi uomini successivamente dei complici.

24 novembre 1963

Appena gli elementi della comunità dell’intelligence, che

non avevano partecipato al piano, si resero conto che si era

verificato un colpo di stato, si affrettarono a sostenere la versione

ufficiale. Spinti in alcuni casi da una pura e semplice necessità

di autodifesa e in altri casi dalla convinzione che Kennedy

avesse firmato la sua condanna a morte, compromettendosi

troppo con i sovietici, gli esponenti del governo, dai rappresentanti

politici eletti fino ai capi dei dipartimenti e delle agenzie, si 

allinearono, aggiungendo le loro voci al coro in crescendo che

intonava la grande menzogna.

E’ in questo modo che vanno tutti i colpi di stato vincenti.

Agli inizi del XVII secolo, il poeta inglese Sir John Harrington

così lo descrisse in due righe:

Il tradimento non ha mai successo: Per quale ragione?

Perché se ha successo, nessuno osa chiamarlo tradimento. 

24 novembre 1963

L’inizio del processo della ratifica formale avvenne quando il

Congresso permise al presidente Lyndon Jhonson, l’erede del

potere, di incaricare la commissione Warren, comprendente l’

ex direttore della CIA, Dulles, di indagare sull’assassinio.

Il rapporto della commissione, sfruttando il prestigio e la 

credibilità del suo eminente e unanimamente stimato presidente,

mise il timbro ufficiale di approvazione del governo ad 

affrontare il coinvolgimento della CIA nella fase precedente

l’assassinio e la partecipazione delle altre agenzie al lavoro

di copertura, una ratifica del genere dovette apparire il modo

più facile per cavarsela.

In seguito, per un periodo di molti anni, i funzionari del

governo federale fecero del loro meglio per puntellare questo

edificio cadente sottoposto alle critiche più feroci e finirono

per ottenere il risultato che nessuno ormai credeva alla 

teoria dell’assassinio solitario. 

24 novembre 1963

I presidenti e i ministri della Giustizia che si succedettero, 

tutti con grandi risorse dell’FBI e con gli apparati alle dipend-

enze del governo a loro disposizione, non fecero nessuno

sforzo per raggiungere la verità su questo caso d’assassinio

chiaramente irrisolto.

Al contrario, quando feci il tentativo di svolgere una vera e

propria inchiesta, i funzionari governativi cercarono di impedire

l’emergere della verità. Non ottenni collaborazione alcuna

quando cercai di citare in giudizio dei testi chiave come Allen

Dulles. Scoprii che documenti federali fondamentali erano stati

distrutti.

Alla copertura e alla ratifica dell’assassinio ha contribuito anche

l’opera di disinformazione realizzata tramite il sistema dei

media. E’ l’ultimo ingrediente necessario al successo di un

colpo di stato, ed è una delle specialità della CIA. 

24 novembre 1963

Per molti anni l’Agenzia ha avuto segratamente nel suo libro

paga dei noti giornalisti che lavoravano per i principali organi

d’informazione, ma che di fatto facevano della propaganda 

a uso e consumo del popolo americano.

Si giunse inoltre a sovvenzionare la pubblicazione di più di

mille libri. Come ha affermato Richard Barnet, codirettore dell’

Institute forPolicyStudies:

La base su cui opera il sottobosco dell’intelligence è l’inganno.

Il suo scopo è di creare una realtà artificiosa, di fare in modo che 

le cose appaiono diverse da come sono, per riuscire a manipolare

e a sovvertire le situazioni.

Più di duecento agenti….in circolazione si atteggiano a uomini

d’affari. La CIA ha ammesso di avere avuto più di trenta giornalisti

sui propri libri paga dopo la seconda guerra mondiale.

Società, enti, biblioteche…e altre agenzie di facciata, false fondazioni,

organizzazioni studentesche, organizzazioni ecclesiali e così

via, fanno parte di quel mondo a doppio fondo che ha finito

per confondere il popolo americano e contribuire successivamente

alla cancellazione della verità storica.

Per ben venticinque anni il popolo americano (e non solo) è

stato bombardato da un’azione di propaganda che puntava

il dito su tutta una varietà di irrilevanti ‘falsi sponsor’ indicati

come presunti istigatori dell’assassinio di Kennedy.

Nel frattempo un interminabile flusso di nuove versioni gionali-

stiche, di articoli, di ‘inchieste’ televisive, di servizi speciali

di settimanali e di libri, rafforzarono continuamente quest’

opera di continuo disorientamento e continuano a volgere

l’attenzione dell’opinione pubblica nella direzione sbagliata.

(J. Garrison, JFK) 

 

 

24 novembre 1963

       

NON SI E’ MAI SOLI PER QUESTO MARE

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Da:

tibetan-protest-grows

 

(Dedicato all’anima di una donna ed alla….nostra…

causa…)

 

non si è mai soli per questo mare

 

 

Introduzione da il Libro Tibetano dei Morti

 

 

Il Bar do t’os sgrol è conosciuto dal pubblico europeo fin dal

1927, quando l’Evans Wents ne pubblicò la traduzione fatta

dal suo maestro il Kazi Dava-samdup e da lui messa in buon

inglese.

Il libro destò grande interesse e seguirono nuove versioni in 

altre lingue. Tutti ormai lo conoscono col titolo che gli dette

il suo primo divulgatore: il LIBRO TIBETANO DEI MORTI.

E’ un titolo letteralmente ben scelto; colpisce il lettore, e dà

a prima vista un’indicazione generica sull’argomento del

volume. 

non si è mai soli per questo mare

Il trattato si svolge ai morituri o ai morti: non serve ai vivi,

o serve soltanto perché, per ogni vivente, verrà il giorno della

morte, quando le cose dette in questo brevario dovranno tornar

chiare ed efficaci alla mente e confortare nel difficile momento.

Ma è anche vero che questo titolo può condurre fuori strada,

richiamando alla memoria il libro dei morti egiziano, il quale

esprime tuttavia una concezione religiosa ed escatologica tutta

diversa da quella tibetana.

Gli Egiziani cercarono di salvare il corpo dal corrompimento

che fatalmente dissolve ogni cosa creata: l’integrità del corpo

è necessaria per la continuazione della vita nell’oltretomba.

Per i Tibetani il cadavere si brucia o si squarta o si abbandona

sulle montagne, perché le bestie da preda e gli uccelli lo

divorino.

Per gli Egiziani la morte è definitiva, delimita due mondi.

La sopravvivenza nel mistero che essa dischiude è sopravvivenza

individua; cioè della medesima creatura che già visse in questo

mondo e così perdura con le stesse parvenze e lo stesso nome.

Per i Tibetani la morte è o il comincimento di una nuova vita,

come accade per le creature che la luce della verità non rigenerò

e trasse a salvazione, o il definitivo disparire di questa fatua

personalità – effimera e vana come riflesso della luna sull’acqua –

nella luce indiscriminata della coscienza cosmica, infinita 

potenzialità spirituale.

Continuare ad esistere in una qualunque forma di esistenza,

anche come dio, è dolore: perché esistenza vuol dire divenire,

e il divenire è l’ombra dell’essere, un sempre rinnovato corrom-

pimento, un non mai soddisfatto desiderio, una pena che mai

si placa.

La pace è, nel dissolversi inconsapevole in quella luce incolore

da cui tutte le cose traggono nascimento e che, senza che ne

siamo consapevoli, brilla in noi stessi.

Per dirlo con altre parole, quando si muore, sono due le vie

che a noi si aprano: o un definitivo spegnimento della creatura

singola che è la sorte degli Eletti; oppure la rinascita, che attende

chi non seppe comprendere che tutto è sogno. Per la qual cosa,

questo trattato dovrebbe essere piuttosto conosciuto, anziché

come il libro dei morti, col suo vero nome tibetano che significa

libro della salvazione, o traducendo alla lettera: ‘il libro che

conduce alla salvazione dell’esistenza intermedia per il solo sentirlo

recitare’, perché la sua recitazione evoca il principio cosciente

del morituro o del defunto la verità redentrice.

(Il Libro Tibetano dei Morti)

Da: 

non si è mai soli per questo mare

lazzari.myblog.it

 

 

 

non si è mai soli per questo mare

      

IL SABATO

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il sabato

 

 

…Noi non abbiamo un ‘sabato’ in quanto tale: le nostre festività

sono ‘giorni sacri’ e vanno osservate l’otto e il quindici di ogni

mese.

Si celebrano allora funzioni speciali, queste giornate vengono

considerate sacre e, normalmente, non si lavora in alcun modo.

Mi è stato detto che le nostre festività annuali corrispondono

in qualche modo alle festività cristiane, ma la conoscenza di

quest’ultime è del tutto insufficiente e non sono in grado di

esprimere un parere al riguardo.

…..Fa parte della nostra fede il credere che le probabilità del

futuro possano essere predette.

 

il sabato

 

Per noi, la divinazione, con qualsiasi mezzo, è una scienza,

e una scienza esatta.

Crediamo nell’astrologia.

A nostro parere, le ‘influenze astrologiche’ sono semplicemente

raggi cosmici che vengono ‘colorati’ o alterati dalla natura del

corpo che li riflette sulla terra.

Nessuno potrà negare che, disponendo di una macchina fotografica

e di luce bianca si possa ottenere l’immagine di un oggetto.

Sovrapponendo vari filtri alle lenti dell’apparecchio – o alla luce –

è possibile ottenere determinati effetti dell’immagine fotografica.

E’ possibile ottenere effetti ortocromatici pancromatici o infrarossi,

per non accennare che a tre di essi…tra i tanti.

Orbene, gli individui vengono modificati nello stesso modo dalla 

radiazione cosmica che influisce sulla loro personalità chimica

ed elettrica.

Buddha dice: ‘La contemplazione delle stelle e l’astrologia, la

predizione di eventi fortunati o sfortunati mediante segni, la

divinazione del bene o del male, tutte queste cose sono proibite’.

Ma una prescrizione successiva, in uno stato dei nostri ‘Sacri Libri’,

afferma:

 

‘Quelle facoltà che è data a pochi per natura, e in seguito

alla quale un determinato individuo sopporta dolori e sofferenze,

può essere utilizzata. Nessun potere psichico può essere utilizzato

per guadagno personale, per ambizioni terrene o per dimostrare

la realtà di esso potere. Soltanto così possono essere protetti

coloro che tali poteri non posseggono’. (Anche Cristo, quale

profeta…aveva di questi poteri…).

(T. L. Rampa, Il terzo occhio)

 

 

il sabato

    

19 NOVEMBRE 1930

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19 novembre 1930

 

 

E’ possibile osservare questo fenomeno sotto un’altra forma nell’

analisi dei sogni delle persone indiscutibilmente folli.

Vidi un caso di questo genere, in una donna cui mi imbattei

casualmente, una donna che era stata internata per vent’anni.

Mi raccontò spontaneamente i suoi sogni e io mi limitai a

trascriverne tutta la serie.

Quei sogni presentavano uno sviluppo assolutamente ritmico.

Diciamo, per esempio, un sogno che parlasse di distruzione,

una specie di sogni invernale, ove il mondo era svuotato ed

ella era quasi inesistente.

Poi inizia la primavera (la paziente convinta di strani poteri

che in realtà non gli appartengono..) si presenta qualche simbolo

positivo, magari sorge il sole, e i sogni assumono un aspetto

quasi piacevole, qualcosa che si avverte immediatamente come

vivo, positivo, al punto da far pensare: ‘Ah, ecco ci siamo’.

E allora eccolo che arriva, un magnifico simbolo di individuazione

o di rinascita.

Si pensa: ‘Adesso non può fare a meno di vederlo’.

Ma ella non lo vede, non può afferrarlo, e quello passa via come

una sorta di miracolo, una piacevole visione che accade non so

dove, su un’altra stella (ed ella è convinta che sia la sua stella)

…ma non ne viene toccata.

Il pilastro della vita le passa accanto e quindi ritorna l’inverno, 

la distruzione di tutto; è un ciclo regolare.

Se avesse potuto afferrarlo sarebbe stata salva, ma aveva perso

le mani, non poteva afferrarlo, e così l’opportunità è svanita. 

Anche se lei crea simmetriche opportunità, quella reale è

svanita. 

Come uno storpio che attende sulla riva dell’acqua risanatrice:

non sarà mai guarito perché non è in grado di tuffarcisi dentro.

Tutto ciò che può fare, è adoperare espedienti artificiosi, ma

l’anima che cercava è svanita.

Nella fase autunnale del ciclo l’inconscio sembra dedito alla

distruzione, ogni cosa viene dissolta, ogni cosa affonda, così

che si è indotti a concludere che la tendenza dell’inconscio sia

quella di riportare tutto allo stato elementare e che in ciò non

ci sia alcuna sintesi.

Nella fase primaverile del ciclo, invece, si perviene a una

conclusione totalmente diversa. Lì si vede che l’inconscio

vuole la sintesi: ogni cosa viene ricostruita e in ciò non vi

nulla di distruttivo.

E’ come se non ci fosse mai stata la volontà di distruggere.

Vedete perciò che tutto dipende dal momento in cui si osserva

l’inconscio.

In un certo momento è negativo, in un altro è positivo, e

contraddittorio in sé.

Altrimenti non vivrebbe, non si muoverebbe.

E questa contraddizione si spinge fino all’idea di non-esistenza

esistente. Il concetto buddhista di ‘nirvana’ è non-esistente esistenza,

o una esistente non-esistenza; non è semplicemente un nulla.

Il ‘nirvana’ è un non-essere positivo, e l’inconscio è esattamente

questo, un ‘sì’ e un ‘no’.

Distrugge se stesso sino al nulla assoluto e dal nulla crea

nuovamente se stesso.

Questo è l’atteggiamento degli Dèi.

Che Dio abbia creato se stesso e il mondo dal nulla è la concezione

cristiana.

(C. G. Jung, Visioni)

 

 

19 novembre 1930

 

19 NOVEMBRE 1930

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19 novembre 1930

 

 

Vorrei sollevare la questione se la differenza tra lo sciamano

e il santo non possa riferirsi al rapporto con l’anima, vale a

dire che il potere dello sciamano viene dall’accettazione del

principio dell’anima quale spirito del suo métier, mentre il

santo esclude rigidamente l’anima, sebbene entrambi siano

di fatto determinati da essa.

E non è forse lo sforzo di escludere il rapporto con l’anima

che costringe il santo nel suo atteggiamento di isolato

assolutismo, laddove lo sciamano, il cui métier affonda 

le radici nel rapporto con l’anima, è essenzialmente un

personaggio sociale e relazionale?

 

19 novembre 1930

 

Queste parole pongono l’intera questione nella giusta luce.

Il santo è un prodotto della differenziazione sociale e civilizzata,

mentre lo stregone è un prodotto della natura.

Il dottor Baynes lo attribuisce all’anima, ma l’anima è natura,

e lo stregone primitivo è avviluppato dall’inconscio, ne è parte,

l’inconscio funziona per suo tramite.

Mentre il santo si innalza al di sopra dell’incoscio, respinge l’

incoscio. Questo è il modo in cui è possibile esprimere questo

concetto, ma naturalmente si può andare oltre e affermare che

il santo risponde pienamente all’incoscio.

E’ paradossale, ma questa è la natura dell’incoscio.

Da un lato l’incoscio non è altro che natura, e dall’altro è il 

superamento della natura; è un ‘sì’ e un ‘no’ in sé, è due cose

in una. E’ per questo motivo che non capiremo mai che cosa

sia davvero l’incoscio, così come non capiremo mai che cosa

sia il mondo, perché ‘è’ e ‘non è’.

L’essere giunti a una tale antinomia denota che abbiamo raggiunto

il limite estremo delle nostre facoltà di ragionamento. Stiamo

battendo la testa contro un muro, ma il muro non cederà, per

quanto forte ci possiamo provare.

Questa è l’antinomia della ragion pura: si arriva al punto in cui

si deve dire: ‘è’ e ‘non è’.

Perciò il santo è una produzione dell’incoscio pur essendone

il superamento.

E’ possibile vederlo molto chiaramente nella psicologia del 

santo buddhista; ogni sua parola e ogni sua azione sono un

superamento dell’inconscio, un superamento dell’illusione. 

L’inconscio è illusione ed egli è in uno stato che va oltre l’

illusione.

Anche il santo cristiano sottomette l’incoscio e lo supera; ai

suoi occhi l’inconscio è il diavolo ed egli vince il diavolo.

Mentre lo stregone primitivo è, essenzialmente, il potere

dell’illusione, egli stesso è nel contempo oggetto del potere

dell’immaginazione e dell’illusione ed è creato per addentrarvisi.

Pertanto la maggior parte degli sciamani primitivi sono una

sorta di medium; cadono in uno stato di trance e vi si compenetrano,

il che significa, naturalmente, la totale sconfitta dell’individualità

umana in rapporto al potere dell’incoscio.

Ma è pur vero che anche il santo, incosciamente, è pressoché 

costretto dall’inconscio. Quando sapete ciò che il santo veramente

cerca e analizzate con attenzione il simbolismo nel quale egli 

crede, vedrete che si tratta nuovamente dell’incoscio che cerca

di superare se stesso.

(C. G. Jung, Visioni)

 

 

19 novembre 1930

        

LA CELLA

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gulag3.jpg

 

…Tuttavia quell’ingenuo Medioevo, per estorcere la confessione voluta,

ricorreva a drammatici e pittoreschi mezzi: la fune, la ruota, il fuoco,

la trebbia di ferro, l’impalamento.

Nel secolo ventesimo invece, ricorrendo all’evoluta MEDICINA e alla

non poca esperienza carceraria si è ritenuto tale concentrazione di

mezzi vigorosi superflua e ingombrante nel caso di applicazione in

massa (hanno mezzi più sottili, più incisivi, più vili….).

camera_tort.jpg

 

….Se hai vinto il duello con la demenza, superato tutte le prove della

solitudine e hai saputo resistere, ti sei meritato la prima cella.

A questo punto ti rianimerai.

Se invece ti sei arreso presto, hai ceduto su tutto e tradito tutti, anche

allora sei maturo per la tua prima cella comune; ma sarebbe meglio non

vivere fino a quell’attimo felice, morire vincitore in un sotterraneo senza

aver firmato neppure un foglio.

Ora vedrai per la prima volta uomini che non sono tuoi nemici (almeno

che non siano delatori, ma ti sono ancor più amici..).

Ora per la prima volta altri esseri vivi che percorrono il tuo stesso

cammino, li puoi accomunare a te con la gioiosa parola NOI.

La parola che forse disprezzavi da libero, quando fu sostituita alla tua

personalità ti si rivela, adesso, dolcissima: non sei solo al mondo.

Vi sono altri saggi esseri spirituali, UOMINI (almeno speri e credi…).

….Passavano gli anni, condivisi i pancacci, marciai in colonna, lavorai

nella stessa ‘brigata’ con molte centinaia di persone e sempre questo

misterioso relè, nella creazione del quale non avevo l’ombra d’un merito,

si metteva in funzione prima ancora che io ricordassi.

Funzionava alla sola vista d’una faccia, degli occhi, al primo suono

d’una voce: o mi aprivo completamente con la persona, o aprivo solo

uno spiraglio, o mi chiudevo ermeticamente.

Fu sempre a tal punto infallibile che tutto quel tramenio dei cekisti

per procurarsi i delatori cominciò a sembrarmi futile; infatti chi accetta

di fare il traditore lo porta scritto in faccia, impresso nella voce; c’era

chi fingeva con abilità, ma puzzava pur sempre di tradimento.

E al contrario il relè mi permetteva di individuare coloro a cui potevo

confidare, fin dai primi minuti dopo averli conosciuti, le cose più

recondite, i più profondi segreti, quelli che fanno mozzare le teste.

Passai otto anni di reclusione, tre di deportazione, altri sei come

scrittore CLANDESTINO, anni non certo meno pericolosi, e per

tutti quei diciassette anni mi aprii nella maniera più inconsulta a

decine di persone senza mai sbagliare una volta.

Non ho letto nulla su tale argomento e ne scrivo qui per CHI SI

DILETTA DI PSICOLOGIA!

A me sembra che tali facoltà spirituali siano racchiuse in molti

di noi ma, figli di un secolo troppo tecnico e razionale, trascuriamo

questo miracolo, non gli permettiamo di svilupparsi.

(A. Solzenicyn, Arcipelago Gulag)

 

 
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L’ARRESTO

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Un manuale d’uso pratico…per aspiranti ‘Dottori’:

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Alla regola che proibisce al ‘perfetto’ di mangiare da solo si univa

probabilmente uno speciale obbligo, quello di astenersi dal mangiare

in caso di arresto.

Questa è almeno la maniera di condursi all’inizio del XIV secolo.

La sentenza di Amiel di Perles, un compagno del notaio di Pietro

Autier, del 15 giugno 1309, ci dice che ‘dal momento della sua cattura

egli non volle più mangiare né bere, facendosi in qualche modo l’

assassino di se stesso’.

Belibasta, arrestato dalla spia dell’Inquisizione Arnaldo Sicre, si

comporta allo stesso modo, e Sicre racconta:


“Dal momento che detto eretico si mise in ‘endura’, temendo che morisse, gli

dissi che mi dispiaceva di averlo fatto catturare e che l’avrei fatto uscire di

prigione”.


Anche senza abiura, l’arresto comportava certe infrazioni alla regola,

almeno sul piano dell’alimentazione, e gli evasi erano sottoposti alla

riconsolazione e al digiuno, come fu il caso della giovane perfetta

Giovanna del Pas, la quale era potuta fuggire dal palazzo del

siniscalco del Conte a Tolosa, ed era ritornata alla macchia:

 

Il perfetto Raimondo du Mas (suo diacono) e il suo compagno la fecero

digiunare per tre giorni senza mangiare né bere. Passati i tre giorni, il

perfetto Pons di Sainte-Foy e il suo compagno arrivarono e la consolarono…

Dopo di che le ordinarono di digiunare a pane e acqua per una quaresima.

 

Quando fosse stato arrestato, il perfetto poteva difficilmente

dissimulare la sua qualità; non c’era neanche bisogno di ricorrere

al classico sacrificio di un pollo.

La regola di essere veritieri, anche in quei casi, era assoluta.

Il perfetto parlava, pur sapendo che lo aspettava il rogo.

I credenti d’altronde ne erano avvisati: se dei perfetti fossero

stati arrestati, non avrebbero mancato di fare il loro nome.

E’ chiaro che, se avesse rinnegato la sua fede, il perfetto non

avrebbe potuto fornire all’Inquisizione garanzia migliore

della propria sincerità che diventando suo collaboratore.

Ma anche in casi come questi può essere stato un accorgimento

tattico da parte della Chiesa catara.

Sotto il controllo della gerarchia, la denuncia poteva essere una

misura utile ad impedire l’ulteriore estendersi della repressione

in una situazione disperata.

Quando il diacono Raimondo Gros entra spontaneamente nel

convento dei Domenicani di Tolosa nel 1237 e fornisce l’elenco

dei credenti tolosani, questi ultimi si sottraggono in qualche

maniera all’interrogatorio in quanto si rimettono interamente

alle sue dichiarazioni.

Ora, ci sono due fatti da mettere in relazione: da un lato, l’elenco

degli abitanti di città condannati è assai limitato, almeno in

rapporto alla zona del Lauragais, e, dall’altro lato, Raimondo

Gros è morto restando di sentimenti catari.

Può parimenti esserci stato, da parte della Chiesa catara, un certo

intento di ostentazione, col manifestare la consistenza delle proprie

forze, oppure veniva adottata una politica della disperazione,

mirante a provocare, col far risaltare l’enormità dell’opera repressiva,

la stanchezza dell’Inquisizione, la compassione popolare, o ….. 

addirittura la rivolta.

Sembrerebbe essere stato questo il caso di Pietro Autier, il quale

avrebbe fornito a Bernardo Gui una quantità di rivelazioni verbali

o perfino scritte, senza che tuttavia abiurasse, mentre i suoi subalterni

si mettevano in ‘endura’.

Tale modo di comportarsi presentava un altro vantaggio: i credenti,

in quanto non dubitavano di stare per perdere la loro libertà e i loro

beni, avevano motivi urgenti per far evadere i perfetti arrestati.

All’epoca in cui c’era un’organizzazione di ‘resistenza’ dopo il trattato

del 1229, alle evasioni si provvedeva talvolta con la forza, ma il più

delle volte attraverso una consistente colletta presso la comunità,

che consentiva di comprare le guardie o i carcerieri.

I casi di evasione erano, in effetti, molto frequenti.

 

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